Complici le serate e le cene prenatalizie, in aggiunta allo stress accumulato in questa frenesia delle imminenti festività e alle giornate corte e con poca luce, l’insonnia in questo periodo si accentua e provoca non pochi problemi durante il giorno in cui ci si sente stanchi e poco performanti. A soffrirne sono soprattutto le donne, per la loro attività multitasking, tra lavoro e gestione della famiglia e dei genitori anziani. In effetti il 60% delle persone che soffrono di insonnia sono donne, tra i 45 e 65 anni, mentre il 20% sono bambini e adolescenti. Secondo i dati della Società Italiana di Neurologia (SIN) e dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno (AIMS) in Italia circa 13 milioni di persone convivono con disturbi del sonno, mentre un adulto su quattro soffre di insonnia. Viene anche definita “sindrome delle 24 ore”, in quanto si caratterizza per “sintomi notturni”, come difficoltà nell’addormentarsi e nel mantenere il sonno, e “sintomi diurni”, come spossatezza, difficoltà di concentrazione, irritabilità e alterazioni dell’umore, con impatto sulla sfera sociale e cognitiva. E’ stato anche dimostrato che le alterazioni del sonno possono influenzare la salute cardiovascolare, aumentando il rischio di ipertensione, infarto, sindrome metabolica, obesità e diabete. Per non parlare delle gravi ripercussioni sulla salute pubblica e sull’economia nazionale, con costi diretti e indiretti stimati intorno a 14 miliardi di euro l’anno.
Come indicato in un paper “The need to prioritize Insomnia disorder in public health agendas: a wakeup callposition paper from European and Canadian experts in sleep and mental health”, pubblicato su Sleep Medicine, l’insonnia è classificata come un disturbo mentale e del sonno. I criteri di classificazione includono difficoltà nell’addormentarsi, nel mantenere il sonno o risvegli precoci, con impatto significativo sulla vita quotidiana per almeno tre mesi. Secondo la Classificazione Internazionale dei Disturbi del Sonno e il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, l’insonnia diventa cronica quando il paziente lamenta difficoltà nel sonno almeno tre notti alla settimana per un periodo di tre mesi consecutivi, nonostante adeguate opportunità di dormire e non siano meglio spiegate da un altro disturbo del sonno-veglia, non siano attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza e non siano spiegate da una condizione mentale o medica coesistente. L’insonnia cronica si stima colpisca circa il 6% della popolazione adulta italiana. Comporta un impatto sulla salute mentale e fisica di chi ne soffre, sia quando si presenta come disturbo primario, sia in associazione a comorbidità psichiatriche o mediche. Questo impatto non riguarda solo la notte e il sonno: oltre il 60% dei pazienti italiani con disturbi del sonno dichiara di subire un impatto negativo significativo sul benessere psicologico e il 43% dei pazienti riporta una compromissione della vita sociale. I disturbi del sonno incidono inoltre sulla partecipazione attiva al mondo del lavoro.
«Quando parliamo di insonnia non ci riferiamo solo alla mancanza di sonno ma di una malattia che ha un impatto molto importante anche sulla salute mentale e fisica dei pazienti», ha commentato il Professor Luigi Ferini-Strambi, Primario del Centro di Medicina del Sonno e Professore Ordinario di Neurologia alla Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Le principali cause dell’insonnia cronica sono multifattoriali: stress, disturbi psichiatrici e comorbidità. Questa aumenta il rischio di sviluppare disturbi, tra cui depressione, ansia, abuso di alcol, rischio suicidario, demenza e ictus, malattie cardiovascolari e disturbi metabolici, come obesità e diabete».
L’insonnia, nonostante interessi il 15% della popolazione, è ancora molto sottovalutata e solo pochi farmaci vengono rimborsati dal SSN. Come mai viene ancora trascurata?
«L’insonnia è una patologia sottodiagnosticata: solo il 40% dei pazienti riceve una diagnosi e solo il 21% viene trattato», ha sottolineato Emi Bondi, Direttrice del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale San Giovanni XXIII di Bergamo, Presidente uscente della Società Italiana di Psichiatria (SIP). «Serve un cambio di passo nella consapevolezza clinica e nell’accesso alle cure, per poter garantire a questi pazienti una vita normale. Riconoscerla è fondamentale per poter eseguire una diagnosi precoce e intervenire tempestivamente e permettere a chi ne soffre di tenere sotto controllo le comorbidità, anche gravi. Da una recente indagine condotta da Elma Research su 400 pazienti italiani è emerso che, del 58% dei pazienti che lavorano, l’86% lamenta ripercussioni negative: la metà ha perso giornate lavorative (in media 7 giorni l’anno), mentre l’82% dichiara una riduzione della performance per almeno 3 giorni a settimana. Il 24% ha perso il posto di lavoro a causa dell’insonnia. Non meno rilevante è il dato sugli incidenti: il 22% dei pazienti ha avuto un incidente negli ultimi 12 mesi, con il 38% dei casi che ha richiesto assistenza medica. Questi dati testimoniano concretamente quanto alto sia l’impatto della malattia sulla vita dei pazienti e quanto sia necessario trattarli nel miglior modo possibile». Come abbiamo visto l’incidenza dell’insonnia è nettamente maggiore nelle donne. Ci sono motivi specifici? «Il 60-70% di chi soffre di insonnia sono donne», ribadisce la dottoressa Bondi. «Le cause possono essere legate alla variazione di ormoni come gli estrogeni e i progestinici. Si è visto infatti che questo disturbo aumenta nella fase premestruale, prima della gravidanza e soprattutto durante la menopausa quando si interrompe la produzione di questi ormoni. Alcune malattie accentuano le problematiche dell’insonnia: tra queste artrite, artrosi e malattia osteo-articolari. Gli stili di vita sono un’altra componente che interviene nel peggiorare l’insonnia femminile, a causa del sovraccarico di lavoro per accudire i figli e i genitori anziani: lo stress è il principale nemico dell’insonnia».
Quali i rimedi per l’insonnia, dai consigli pratici alle nuove terapie farmacologiche?
«Tra i consigli pratici, occorre evitare situazioni di stress nelle ore serali. Prima di addormentarsi sarebbe opportuno spegnere i cellulari ed evitare l’uso dei computer: occorre impegnarsi a “staccare la spina” del cervello e cercare di non pensare o rimuginare situazioni vissute durante la giornata» raccomanda il professor Ferini Strambi. «Il trattamento dell’insonnia cronica in Italia si basa su un approccio integrato, che combina interventi non farmacologici e farmaci mirati. Le linee guida italiane e internazionali concordano sull’importanza della terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia (CBT-I). Questo protocollo, strutturato in 6-8 sedute, aiuta a modificare pensieri e comportamenti disfunzionali legati al sonno, riducendo l’ansia da prestazione notturna e ripristinando un ritmo sonno-veglia sano. Quando la CBT-I non è sufficiente, si ricorre ai farmaci. La farmacologia offre oggi soluzioni di nuova generazione, più rispettose dei meccanismi fisiologici del sonno rispetto ai farmaci tradizionali con effetto sedativo, che agiscono regolando i neuropeptidi della veglia invece di “forzare” il sonno attraverso la sedazione. Tra quelli più recenti, gli inibitori dei recettori dell’orexina, che è il neuromediatore della veglia, una sorta di “cocaina” endogena che consente alla persona di stare sveglia e agire in modo efficiente. Questi farmaci bloccano temporaneamente la funzionalità dell’orexina: avendo un’emivita di 7 ore, al mattino favoriscono il risveglio e non provocano sonnolenza, come avviene a volte con i sedativi tradizionali. In questo modo, il riposo recupera la sua architettura naturale e la persona ritrova un equilibrio più stabile anche nelle ore diurne. L’obiettivo di questi farmaci non è solo far dormire, ma restituire un sonno fisiologico, rigenerante, che migliori la qualità della veglia, l’energia, la lucidità e la capacità di affrontare la giornata».
di Paola Trombetta
Sindrome delle gambe senza riposo
«Soffro di questa sindrome da quando sono nato, essendo una forma genetica che è stata trasmessa da mia madre, così come purtroppo, mio malgrado, ho trasmesso a mia figlia, diagnosticata nel 2006 con una polisonnografia al San Raffaele. Oggi mia figlia ha 35 anni e riesce a conviverci. Così pure la mia compagna, che però ha una forma ben più grave». Da queste esperienze di malattia, vissuta in famiglia, Marco Rolandi ha deciso di fondare l’ Luigi Ferini-Strambi (www.rls-italia.it) , che si occupa delle persone che soffrono di sindrome delle gambe senza riposo e sta cercando di far riconoscere questa sindrome come una vera e propria malattia e rendere rimborsabili i farmaci indicati (antiepilettici come gabapentin) dal Sistema Sanitario Nazionale, essendo oggi a totale carico dei pazienti. Ma cerchiamo di capire in cosa consiste e cosa comporta? «Consiste in una smania terribile alle gambe che non riescono a stare ferme. Dalla 17 di sera alle 5 del mattino, si avverte questa frenesia alle gambe che costringe a muoversi sempre, impedendo di stare a letto e dormire. Quando è stata scoperta, nel 1600, veniva curata col laudano. Oggi esistono farmaci mirati: dapprima si usavano i dopaminergici che però, in alcuni casi, davano un effetto paradosso che peggiorava la malattia. Io stesso ho sperimentato questa situazione che mi impediva di stare seduto e mi costringeva a muovermi per tutta la sera, impedendomi di andare a cena con gli amici, di andare al cinema, di fare una vita normale». Analoga situazione è vissuta dalla compagna Elsa Bianchini che racconta. «Sono 35 anni che ne soffro, ma negli ultimi sei anni ho vissuto “l’inferno” perché i farmaci dopaminergici che assumevo mi hanno procurato l’effetto paradosso che mi impedivano di stare ferma e di dormire. Adesso sto assumendo oppioidi, che comunque non sono esenti da problemi. In più questa patologia incide negativamente su tutto il metabolismo del corpo, aumentano il rischio di malattie metaboliche, di pressione alta, di problemi cardio-vascolari. La nostra speranza è trovare un farmaco che possa funzionare, con minori effetti collaterali. E questo nuovo farmaco potrebbe essere per noi una speranza, soprattutto se riusciremo ad avere il rimborso dal SSN». P. T.