«Sono appena rientrata dallo Zambia e già mi assale la nostalgia. Purtroppo non ho potuto fermarmi a festeggiare il Natale con i “miei” bambini della scuola e dell’orfanotrofio: con loro tutto diventa festa. Da vent’anni, quando lascio l’Africa, la lascio con il corpo, ma il cuore rimane là. Lo Zambia non ha sbocchi sul mare, non ha diamanti, né oro, né petrolio. Ma è Africa, con i suoi tramonti, lo Zambesi, le cascate Vittoria, gli spazi enormi e gli elefanti. L’Africa non è solo povertà e tristezza. L’Africa è un luogo di speranza. È Luce. È spazio immenso!».
Si illumina Nuccia Invernizzi quando parla della “sua Africa”. Già due anni fa avevamo scritto un articolo sulle sue iniziative che stanno ora proseguendo, visibile al link: https://www.donnainsalute.it/2023/12/la-donna-che-da-potere-alle-donne/. Vent’anni fa, dopo la morte del marito, ha creato una Fondazione (www.nucciainvernizzi.foundation) per promuovere progetti sociali proprio qui nello Zambia, il Paese dove suo marito ha lavorato per tanti anni. E di cui lei si è innamorata. Per dare vita a questa terra, si era impegnata all’epoca a costruire pozzi in una zona in cui l’acqua è vita! Grazie ai pozzi la natura diventa rigogliosa, i paesaggi stupendi e tutto questo provoca quello che viene definito “il mal d’Africa”: una struggente nostalgia per questa terra, e soprattutto per la semplicità e genuinità della gente, povera, ma di grande dignità, a cui Nuccia ha dedicato il suo cuore con i molteplici progetti che a mano a mano sta realizzando e sono concentrati soprattutto tra la capitale Lusaka e la zona a nord di Luanshya, vicino al confine con il Congo.
«Tra questi un orfanotrofio costruito nel 2003 grazie a un amico italiano imprenditore, Elvezio Gilardi, che ha regalato la sua proprietà nella zona di Luanshya, dove è stata creata una vera “Casa famiglia”, oggi gestita dalle Suore del Redentore (Daughters of Redeemer) che ospita circa una ventina di bambine abbandonate», ci racconta Nuccia. «Poiché questo orfanotrofio è attivo da circa 20 anni, le bimbe di allora sono ormai diventate grandi. Per loro non c’era una dimora dove andare, perché per legge a 18 anni le ragazze devono lasciare l’orfanotrofio. Essendo orfane, non hanno parenti a cui rivolgersi: molte di loro sono rientrate nei villaggi e purtroppo non hanno fatto una bella fine, diventando schiave: alcune sono addirittura finite sulla strada, sfruttate dai mariti».
Un tetto per Mary e le altre. Cosa avete pensato per proteggerle?
«Abbiamo pensato di costruire, nel terreno che circonda l’orfanotrofio, una casa che possa ospitarle: l’abbiamo chiamata “Casa Verde” perché è immersa in un grande giardino», risponde Nuccia. «Non potevo abbandonare al loro destino queste bambine, oggi diventate donne! Adesso ospitiamo 8 ragazze, che aiutano le suore a gestire l’orfanotrofio. Alcune ragazze invece stanno proseguendo gli studi all’Università: 3 frequentano la facoltà di Medicina; un’altra segue la scuola alberghiera; 3 stanno frequentando Agricoltura e solo in questo caso ricevono una sovvenzione dal Governo. Poi ci sono altre due ragazze che si sono fermate nella Casa Verde e aiutano curando le galline, l’orto e le bambine più piccole. Un’altra è ritornata dal villaggio incinta e la stiamo ospitando e mantenendo. Accanto alla casa abbiamo costruito una scuola che ora accoglie più di 300 bambini. Abbiamo organizzato un pulmino per raccogliere i bambini al centro del villaggio e portarli a scuola: peccato che la capienza sia solo di una trentina e loro sono invece più di cento… Questi progetti sono gestiti da suore locali: Madre Emelda che si occupa del Progetto Donne, Sister Margareth che si occupa dell’orfanotrofio e poi Sister Geltrude che segue i ragazzi all’Università a Lusaka. Tra questi stiamo aiutando altri otto ragazzi, particolarmente capaci e volonterosi, che frequentano ingegneria, informatica, economia e commercio e sono seguiti e mantenuti dalla nostra Fondazione. Per gestire tutta questa impresa invio dall’Italia circa 80 mila euro all’anno», precisa Nuccia.
Tra i progetti che avete avviato, potresti parlare del Progetto Donna: in che cosa consiste?
«L’ho avviato circa quattro anni fa. Andando da Lusaka a Luasha, che è un lunghissimo tragitto, mi sono fermata a Chibombo dove era stata nel frattempo trasferita Madre Emelda, già Superiora delle Suore del Redentore, che gestiva alcune donne molto intraprendenti, intelligenti, attive», ricorda Nuccia. «Le ho chiesto di procurare un terreno da coltivare: l’obiettivo era di aiutare le donne che si caricano di lavoro e crescono da sole i figli. L’idea è stata quella di coinvolgerle, insegnare loro la prevenzione e le nozioni di igiene e metterle nelle condizioni di poter lavorare in team, con progetti mirati. Siamo partiti dall’allevamento e la cura dei pulcini, con la successiva vendita delle uova e delle galline al mercato. Poi abbiamo potenziato le coltivazioni dei terreni. E abbiamo avviato anche alcuni lavori di sartoria: vestiti da bambini, borse, piantine decorative che vengono portate al mercato. Oggi abbiamo una trentina di donne e quattro uomini che si occupano di questo Progetto e un numero sempre maggiore di donne vengono dai villaggi intorno a lavorare. È stato aggiunto anche un baby-care, una specie di asilo diurno, dove le donne possono lasciare i bambini mentre lavorano. Abbiamo avviato lezioni di inglese e di autodeterminazione, perché queste donne si affrancassero dalla sottomissione ai mariti. È stato coordinato il lavoro, in modo che il banchetto al mercato fosse sempre aperto per vendere la merce. Adesso le donne sono una trentina e si alternano anche per la coltivazione di un campo, lì vicino, dove coltivano soprattutto cavoli, ma anche banane, patate, cipolle e un pochino di mais che poi vendono al mercato, Abbiamo acquistato dei pulcini, più di 350, che poi diventano polli e vengono venduti al mercato.
È stata aggiunta anche una cucina, dove si prepara cibo, soprattutto pollo, uovo e una specie di polenta bianca. Abbonda la frutta, come mango, papaja, ananas, di cui i campi sono ricchi. In particolare si coltiva una pianta, che si chiama “moringa”, le cui foglie contengono dieci volte di più di vitamina C rispetto un’arancia. E questo permette di variare l’alimentazione, per mantenersi in salute. Un cambiamento che induce all’accettazione che le donne possono diventare protagoniste del loro lavoro e della loro stessa vita. È molto frequente vedere donne che portano sulle spalle i loro bambini, sulla testa e nelle mani hanno secchi d’acqua. E dietro l’uomo con le braccia conserte, perché questo lavoro non è considerato dignitoso. La donna in Africa ha maggiore resilienza, è più propensa al cambiamento. Sopporta di più la fatica e lavora con passione. Educare le donne vuol dire educare l’intera società: è la donna che trasmette queste competenze ai figli. E anche gli uomini cominciano pian piano ad accettare questo ruolo e condividere il lavoro delle donne. Il fine di questo “Progetto Donna” è infatti mettere al centro la donna. Il riscatto di questo bellissimo Paese si fonda infatti sul lavoro delle donne, ancora troppo spesso soggiogate alla potestà dei mariti. Sono loro il motore della famiglia e dell’intera società. Sono loro il futuro dello Zambia e dell’Africa».
Per donazioni: Fondazione Nuccia Invernizzi: IBAN: CH2800764175546832003; PAMO Onlus: IBAN: IT57U0306909606100000003471. Per chi fosse interessato a visitare questi luoghi, ogni anno Nuccia organizza un paio di viaggi per far conoscere queste zone.
Per info: +39/379/2706444.
di Paola Trombetta