Infertilità: non è più un tabù, ma una patologia da curare

«La mia è una storia a lieto fine, ma con un percorso tortuoso. Ho iniziato a cercare una gravidanza a 31 anni, ma dopo un anno di rapporti non protetti, non riuscivo a rimanere incinta. Allora mi sono rivolta al ginecologo che all’inizio aveva sottovalutato il problema, consigliandomi semplicemente di programmare i rapporti nei giorni fertili. Ma anche questa strategia non aveva dato risultati. Allora, a 35 anni, mi sono decisa con mio marito di rivolgerci dapprima a un ospedale pubblico, dove c’erano però 15 mesi di attesa. A questo punto abbiamo optato per un centro convenzionato specializzato in PMA (Procreazione Medicalmente Assistita)», racconta Enza Perna, che ha fondato l’Associazione “Mamma in PMA” per raccontare e documentare quotidianamente il suo percorso e tutti gli ostacoli che una coppia deve affrontare. «Innanzitutto abbiamo sperimentato un forte carico psicologico, legato soprattutto alla solitudine e al disorientamento che derivavano dalle poche informazioni disponibili. Per non parlare dell’impegno economico che abbiamo dovuto sostenere: tra cure preliminari di diagnosi e stimolazione ovarica, e soprattutto il costo della tecnica e della conservazione e impianto di un embrione, abbiamo sostenuto una spesa di circa 3.500 euro. Durante un ciclo di fecondazione, ho anche avuto un aborto spontaneo. Dopo il terzo ciclo, da alcuni esami più approfonditi, ho scoperto di avere un’occlusione tubarica, che richiedeva a questo punto di ricorrere alla tecnica ICSI, ovvero alla fecondazione in vitro utilizzando però i nostri gameti. Finalmente a 36 anni sono diventata mamma di Manfredi. E non escudo ora di ripetere il percorso di fecondazione utilizzando l’embrione che nel frattempo abbiamo congelato. Il vissuto di questa mia esperienza mi ha indotto a raccontare la mia storia, aprendo una pagina Instagram (@cominciamo 1 2 3), dove mi scrivono tantissime donne per chiedere consigli su come affrontare questa problematica. È stato mio marito a suggerirmi il nome, per far capire come abbiamo “cominciato” questo percorso. E ho voluto trasformare la mia rabbia per la mia infertilità e i miei insuccessi in qualcosa di buono, così da aiutare le tante donne nelle mie stesse condizioni. Ma questa pagina Instagram, pur essendo molto seguita da migliaia di followers, non era sufficiente, anche se ho conosciuto tante ragazze con cui ho condiviso in questi anni gioie e dolori. Per dare un’informazione più scientifica, ho deciso di fondare anche l’associazione “Mamma in PMA”, costituita da pazienti, affiancate da un vero e proprio comitato scientifico composto da ginecologi, psicologi e professionisti di PMA, in grado di dare informazioni scientifiche e indicazioni, soprattutto in questo momento importante di transizione e approvazione dei nuovi LEA».

PMA riconosciuta nei nuovi LEA

Dal 1° gennaio 2024 sono entrati in vigore i nuovi LEA, Livelli Essenziali di Assistenza, che sanciscono l’ingresso della Procreazione Medicalmente Assistita nel Servizio Sanitario Nazionale. Con i LEA l’infertilità viene riconosciuta come una patologia da curare. Un cambiamento epocale, che coincide con la ricorrenza del ventennale della legge 40 che ha dato il via al riconoscimento delle tecniche di PMA. I dati più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità, da poco presentati, dicono che in Italia sono 340 i centri di PMA; oltre 86mila le coppie che si sono sottoposte a tecniche di fecondazione assistita e 16.625 i bambini nati attraverso questi percorsi, pari al 4,2% del totale delle nascite. Un passo importante, quello dell’inserimento delle tecniche di PMA nei LEA, che sancisce un diritto alle cure per le coppie che altrimenti avrebbero difficoltà ad avere un figlio. Un cambiamento epocale, dunque, che ha come obiettivo quello di uniformare l’accesso a questi trattamenti e invertire la tendenza del calo demografico. Con l’entrata in vigore dei LEA, l’obiettivo è di arrivare al 7% dei nati nel 2025.

«Con i LEA abbiamo ottenuto la legittimazione delle cure, che diventano un diritto per tutte le coppie che ne hanno necessità, in linea con quanto sancisce il nostro Sistema Sanitario Nazionale», puntualizza Antonino Guglielmino, Fondatore della S.I.R.U. – Società Italiana della Riproduzione Umana. «Questo è il primo passo di un lavoro più ampio che coinvolge le Regioni. Infatti, attraverso i nostri delegati regionali, abbiamo chiesto la costituzione di tavoli tecnici per affrontare le criticità locali: in primo luogo accrediti e convenzioni, da declinare in base alle esigenze della singola Regione, alle domande attese e alla capacità di risposta dei centri a disposizione. Sarà fondamentale anche la creazione di percorsi diagnostico terapeutici assistenziali sulla base di linee guida già presentate dalla S.I.R.U».

«Si tratta di un importante strumento normativo per garantire un accesso più equo e migliorare la qualità dei servizi», aggiunge Paola Piomboni, presidente S.I.R.U. «In questo modo si farà il possibile per far diventare la PMA una tecnica sempre più ambulatoriale, umanizzando e personalizzando un percorso che oggi è troppo medicalizzato. Nei casi di PMA, sia omologa (con gameti della coppia) che eterologa, si è definita l’età limite della donna a 46 anni e 6 i cicli di fecondazione possibili. Con queste condizioni favorevoli ci aspettiamo un incremento della richiesta da parte delle coppie, che saranno invogliate dai finanziamenti che dovrebbero essere a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale».

«L’entrata in vigore del nuovo “Nomenclatore tariffario” presenta un’opportunità per il Servizio Sanitario Nazionale e in particolare per le Regioni che non possono erogare prestazioni non appositamente tariffate con Decreto Ministeriale. Pertanto, nel caso specifico, le Regioni con risorse di bilancio autonomo, hanno potuto erogare le prestazioni di PMA. Si tratta di una prestazione di assoluta rilevanza e correlata all’età della donna», spiega Antonella Caroli, Dirigente del Servizio Strategie e Governo dell’Assistenza Territoriale – Rapporti Istituzionali e Capitale Umano, Regione Puglia. «La Regione Puglia in virtù dell’entrata in vigore delle Nuove Tariffe di specialistica ambulatoriale sta predisponendo un Regolamento per la definizione dei requisiti per l’accreditamento al fine di garantire prestazioni di PMA con oneri a carico del SSN. L’entrata in scena dei nuovi tariffari LEA apre il dibattito sulla copertura dei costi dei trattamenti. «È un problema da affrontare, per evitare discriminazioni nei percorsi», sottolinea Adolfo Allegra, Presidente di CECOS Italia. «Le valorizzazioni delle voci PMA sono in molti casi inferiori ai costi. Quindi probabilmente sarà necessaria un’integrazione che o verrà sostenuta dalle Regioni o, purtroppo, graverà sui pazienti».

E per le tecniche di fecondazione eterologa?

Un esborso economico riguarderà certamente anche le tecniche eterologhe, cioè quelle che richiedono l’utilizzo di gameti estranei alla coppia. «Infatti, i nuovi LEA non prevedono l’acquisizione dei gameti all’estero, ma nel nostro Paese nel 97% di casi è invece necessario acquistare i gameti da banche estere. Anche qui ci sarà probabilmente una disparità regionale: in alcune è stata attivata la banca regionale centralizzata che acquisisce i gameti e li invia al centro che ne fa richiesta. Nelle regioni in cui invece le banche non sono state ancora istituite, il costo di acquisizione dei gameti rimarrà a carico della coppia».

L’obiettivo dovrebbe essere quello di estendere il modello di una banca regionale centralizzata a tutte le regioni italiane che già oggi dispongono di banche pubbliche per la conservazione di cellule e tessuti. Le tecniche eterologhe sono state autorizzate anche in Italia grazie a una sentenza della Corte Costituzionale nel marzo 2014, che ha di fatto modificato la legge 40. Tra poco saranno dieci anni e, ciò nonostante, molte coppie ancora non sanno che possono seguire questo percorso nel nostro Paese.

«L’entrata in vigore dei LEA deve essere anche l’occasione per promuovere una maggiore informazione su questi temi, sia sul territorio, sia durante il counselling effettuato prima di iniziare il percorso e campagne di solidarietà per la donazione dei gameti», sottolinea Walter Vegetti, Responsabile di Struttura Semplice Centro PMA Fondazione Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. «Questo vale per tutto, compresa l’età. Nei LEA, la PMA è possibile fino al compimento dei 46 anni della donna e questo non fa che alimentare l’illusione che funzioni sempre e comunque. Ma è bene sottolineare che le tecniche di PMA non devono essere considerate una terapia per l’età e lo dicono anche i dati: dopo i 43 anni le nascite sono pari al 2%, con un rapporto rischio-beneficio per la donna e costo-beneficio per il SSN, che pesa in negativo». Resta da sciogliere anche il nodo relativo alla diagnosi preimpianto. Infatti, anche questa non è prevista dai

LEA. Qui, la questione non è infatti la fertilità, ma la possibilità di evitare di avere un figlio affetto da una malattia genetica. «Il test preimpianto consente di verificare se l’embrione è sano oppure malato», sottolinea il professor Allegra. «In questo modo, si evita l’eventuale aborto terapeutico di un feto malato, con tutto ciò che questo può comportare a livello psicologico per la donna. I LEA non prevedono neppure il prelievo degli spermatozoi mediante la tecnica TESE e quindi direttamente dal testicolo, tecnica che invece oggi viene praticata in circa il 40% dei casi dei pazienti azoospermici».

Dalla nascita di Alessandra Abbisogno nel gennaio 1983, prima bambina concepita in provetta in Italia, ad oggi, la ricerca nell’ambito della PMA ha fatto passi da gigante. «Le innovazioni hanno permesso a coppie di diventare genitori, pur essendo in condizioni che un tempo sarebbero state definite irrisolvibili», precisa il dottor Vegetti. «Penso non solo all’avvento della ICSI, che consente la fecondazione e la gravidanza quando il seme è molto povero di spermatozoi o con spermatozoi di ridottissima motilità; ma anche alla tecnica di crioconservazione mediante vitrificazione, che permette una migliore sopravvivenza dei gameti, degli embrioni e delle blastocisti, sia al congelamento, sia allo scongelamento, con possibilità di gravidanza simili a quelle ottenibili con gameti ed embrioni cosiddetti a fresco».

di Paola Trombetta

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