Ricostruzione mammaria: cosa c’è di nuovo 

«Sono una maratoneta abituata a correre, ma ho capito, fin da subito, che questa corsa sarebbe stata ben più dura. Il 25 luglio – racconta Liliana Scibetta – mi è stato diagnosticato un tumore al seno. Raccolti tutti i documenti in una cartelletta che ho intitolato “Allenamenti maratona di Milano”, sono andata allo IEO (Istituto Europeo di Oncologia) di Milano alla ricerca di un “coach” che mi aiutasse a superare questa sfida. L’incontro con la dottoressa Viviana Galimberti è stato “provvidenziale”: ha percepito nel mio sguardo la paura di chi sta vivendo il dramma della malattia e, insieme, la voglia di continuare a correre come o più forte di prima, nella vita e in atletica. Quel giorno mi è stato proposto il programma terapeutico: mastectomia bilaterale con ricostruzione prepettorale, una nuova tecnica meno invasiva che avrebbe facilitato il mio rientro alle gare. Sono stata operata il 25 settembre in piena seconda ondata Covid, e a un mese dall’intervento ho potuto rientrare alle corse e riprendere la vita a mille. Grazie alla prevenzione e ai traguardi della ricerca».

Oggi la mastectomia rappresenta un intervento limite, attuato solo quando è inevitabile, ma in questi casi le donne possono contare su un “seno nuovo” che ricostruisce anche il rapporto con il proprio corpo, la femminilità, alleggerendo l’impatto psicologico, altrimenti pesante, dell’intervento. «Condividiamo con la paziente fin dal primo colloquio – spiega Mario Rietjens, direttore della Chirurgia Ricostruttiva in IEO in occasione del BRA Day 2020 – tutte le tappe del suo percorso terapeutico, dal tipo di intervento senologico alla ricostruzione, definito in funzione delle caratteristiche della malattia, della fisicità della donna, delle sue aspettative. Un programma che cerchiamo di rispettare, pure essendo pronti anche a un piano B, perché in sala operatoria potrebbero presentarsi delle incognite non preventivabili, come un muscolo intaccato che non può essere utilizzato o la necessità di togliere più cute del previsto». Soluzioni alternative, sempre innovative, rese possibili dall’evoluzione dei materiali e delle tecniche di chirurgia ricostruttiva.

Proprio a partire dalla tecnica prepettorale, l’ultima frontiera della chirurgia ricostruttiva. «Di norma protesi ed espansori – aggiunge Rietjens – vengono inseriti sotto il muscolo pettorale per proteggere la protesi, con l’“effetto collaterale” di alterare in modo permanente la muscolatura della mammella. L’introduzione di nuovi materiali, sia sintetici sia biologici, ha permesso di sviluppare questa tecnica sensibilmente meno invasiva perché la protesi viene posizionata davanti ai muscoli direttamente sotto la cute, dando alla ricostruzione un aspetto più naturale, con tempi di recupero molto più rapidi. Ci sono tuttavia delle controindicazioni: non possono sottoposi alla prepettorale donne fumatrici, con diabete o che hanno effettuato radioterapia o interventi chirurgici precedenti». È una tecnica indicata soprattutto per donne sportive, con Liliana Scibetta, che vogliono riprendere rapidamente l’attività fisica, anche molto intensa.

Le altre soluzioni ricostruttive? «In caso di un intervento conservativo di quadrantectomia – dichiara Cristina Garusi, chirurgo plastico di alta specialità in IEO – di norma si effettua un rimodellamento, cosiddetto di oncoplastica, con l’utilizzo di tessuto ghiandolare, senza l’inserimento di protesi, poco adatte ai successivi cicli di radioterapia. Dopo una mastectomia, invece, è possibile scegliere assieme alla paziente fra una ricostruzione protesica o con una espansore, ovvero una protesi temporanea che dovrà essere sostituita da protesi definitiva, e una ricostruzione autologa, cioè con un lembo cutaneo di norma prelevato da cosce, addome o dorso, usato per ricostruire il seno. Più difficili, ma sempre attuabili, sono invece le ricostruzioni dopo radioterapia o una precedente chirurgia».

Quali sono vantaggi e rischi dell’una e dell’altra tecnica? «L’intervento protesico – precisa la dottoressa – non è definitivo, occorre mettere in conto che nell’arco della vita la protesi possa e debba essere sostituita a causa di diversi fattori: una contrattura capsulare, cioè un reazione cicatriziale che porta alla formazione di una capsula fibrosa attorno alla protesi che rende la mammella dura, rigida e dolente; una asimmetria rispetto alla mammella naturale, avvenuta a seguito di un cambiamento di peso o la rottura della protesi stessa. Quest’ultima è difficile da riconoscere poiché non dà sintomi o segni clinici, ed è rilevabile solo radiologicamente; ecco perché consigliamo in donne portatrici di protesi un controllo annuale con una ecografia che ne descrive l’integrità. Poco conosciuto è il rischio, seppure bassissimo, di poter sviluppare un linfoma da protesi, tuttavia guaribile con una diagnosi precoce e l’asportazione della protesi stessa». Un evento, quest’ultimo, evitabile con una ricostruzione autologa che ha anche il vantaggio di essere davvero definitivo, preferibile in caso di una contrattura capsulare importante o di ricostruzione differita dopo la radioterapia. In entrambi i casi, se areola e capezzolo non possono essere risparmiati, si interviene su questo ‘dettaglio’ in un secondo tempo in anestesia locale, a distanza di alcuni mesi, quando si è ottenuta una forma perfetta della mammella, per collocarlo al posto giusto.

E se l’esito estetico non è perfetto? Si può correggere con il lipofilling. «Si preleva del tessuto adiposo da una parte del corpo – chiarisce Garusi – che viene centrifugato e reiniettato dà dove serve. Il lipofilling si esegue in anestesia locale, in Day Hospital, con dimissione lo stesso giorno dell’intervento, il ricovero è raro. La tecnica è indicata per riempire vuoti che si formano attorno alla protesi o per risolvere “l’effetto rippling”, cioè delle ondulazioni che compaiono sulla pelle del seno, dovute nella gran parte dei casi a un pettorale e un sottocute molto sottili. Invece non è consigliato eseguire una ricostruzione totale della mammella con il lipofilling (salvo casi molto ben selezionati e con mammella piccola, della 2° misura) anche perché nel 5-8% dei casi è possibile la formazione di piccoli noduli. Ovvero di cisti oleose che insorgono a causa del grasso non perfettamente integrato che nel caso siano molto grosse e fastidiose, possono essere risolte in 2-3 mesi, aspirando l’olio».

Ancora fra le più recenti innovazioni c’è la robotica. «Il vantaggio di questa tecnica – dichiara Rietjens – è l’esecuzione dell’intervento attraverso un taglio poco visibile di circa 3 cm, posizionato quasi sotto l’ascella, seguito da una ricostruzione prepettorale, con un ottimo impatto estetico finale. Il limite è che può essere effettuata in casi molto molto selezionati e in genere con mammella piccola».

Allora per ovviare a tutte queste problematiche o mettersi al riparo dal rischio di recidive o di tumori del seno controlaterale in donne che già presentano la malattia, non si potrebbe pensare a un intervento di profilassi? «La mastectomia preventiva – conclude Galimberti – è consigliata solo in caso di mutazioni genetiche per BRCA, il gene che espone a un maggior rischio di tumore del seno, o in donne con familiarità o con elevato rischio di malattia, le quali devono comunque intraprendere un “percorso di consapevolezza”, perché la mastectomia preventiva è un intervento da cui non si può tornare indietro».

Al di là delle indicazioni e scelte personali, la raccomandazione degli esperti è chiara e univoca: rivolgersi a centri di alta specialità, come IEO, in cui ricevere la consulenza migliore e più adeguata al proprio caso, e non abbandonare controlli e visite anche in epoca di pandemia perché gli ospedali sono Covid-free. Perché la prevenzione salva la vita.

di Francesca Morelli

Fate prevenzione anche in epoca Covid: salva la vita!

“Non trascurate la prevenzione, fate controlli diagnostici e visite senologiche nel rispetto delle campagne di screening offerte alle donne, aventi diritto, anche in epoca di pandemia perché gli ospedali sono Covid-safe, grazie all’attuazione di specifici percorsi e misure di sicurezza”. È questo l’appello unanime a tutte le donne da parte di alcuni fra i maggiori poli oncologici e centri di riferimento nella diagnosi e cura della patologia mammaria del territorio milanese e lombardo: l’Istituto Auxologico Italiano, l’Istituto Nazionale Tumori, l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano, l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, Fondazione Maugeri di Pavia e l’Ospedale San Gerardo di Monza. Perché il tumore è tempo-dipendente e non può attendere che l’epidemia passi, pena la ‘distrazione’ della malattia e il ritardo diagnostico, oggi pari a 6 mesi, dopo la prima ondata Covid, complice il lockdown da un lato e il timore di recarsi in centri specializzati dall’altro.

«La diagnosi precoce – spiega la dottoressa Myriam Bosco dell’Auxologico – va attuata nel rispetto di alcune regole suggerite dalle Line Guida nazionali e internazionali che consigliano mammografia con ecografia dai 40 anni con cadenza annuale a tutte le donne, ecografia dai 30 anni con cadenza annuale in caso di familiarità e anche risonanza magnetica con contrasto in donne a alto rischio con mutazioni BRCA 1 e BRCA2 accertate. Quest’ultima utile anche in caso di “problem solving” quando cioè eco e mammo non danno risposte sufficienti a chiarire se c’è una recidiva su cicatrice, ad esempio, se vi è un tumore nascosto che si manifesta con la comparsa di linfonodi all’ascella o malattia in mammella con impianti. Oggi la diagnostica senologica è ‘tailor-made’, studiata cioè sulle caratteristiche singole e specifiche della mammella densa o adiposa, e programmata con un ritmo di controllo variato a seconda del livello di rischio della donna di poter sviluppare la malattia». «Il nostro Sistema Sanitario Nazionale e le AST del territorio – aggiunge il Professor Fabio Corsi, a capo della Breast Unit della Maugeri – offrono alle donne in età di sottoporsi a mammografia ogni due anni nell’ambito di screening dedicati: non perdete questa opportunità. Lo raccomando, pur riconoscendo che la consapevolezza delle donne alla prevenzione è sensibilmente cresciuta anche grazie a campagne di sensibilizzazione e informazione».

Il valore della mammografia nella prevenzione è indiscusso. «Oggi resta un caposaldo della diagnosi precoce – precisa il dottor Riccardo Giovanazzi della Breast Unit del San Gerardo – ma è ipotizzabile che nel futuro si strutturerà o per livelli diversi, cioè anche mediante la valutazione della storia personale visto che i fattori di rischio sono invecchiamento e familiarità, oppure con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale potranno esserci nuovi algoritmi a supporto dell’attività diagnostica per scartare casi sani o per sollecitare a indagare ulteriormente aree sospette. Lo screening mammografico, inoltre, è il gradino di accesso alla Breast Unit, oggi presenti su tutto il territorio, “luoghi” di ampia ed elevata expertise nella gestione e cura di questa neoplasia». C’è una ulteriore raccomandazione degli esperti: «Nell’anno in cui non la donna non è richiamata dallo screening – suggerisce il dottor Alberto Testori della Breast Unit di Humanias – è importante che esegua comunque presso centri dedicati, una mammografia utile a identificare eventuali “tumori di intervallo” che insorgono cioè tra una mammografia di screening e la successiva». Molto e di più “raffinato” si potrà fare nella prevenzione diagnostica. «Come Fondazione Veronesi – dichiara il suo presidente, Paolo Veronesi nonché Direttore della Senologia Chirurgica di IEO – nell’ambito del progetto di ricerca “Pink is Good” dedicato ai tumori femminili e più specificatamente al tumore della mammella, stiamo finanziando un nuovo studio “Pink” che coinvolge numerosi centri radiologici in Italia e che ha già arruolato 23 mila donne su 50 mila previste, per definire una diagnostica ancora più personalizzata, ovvero trovare per ciascuna donna con quell’età, quei fattori di rischio e quel profilo, gli esami che aggiungono possibilità diagnostiche migliori rispetto ai casi rilevati con la sola mammografia biennale. Ma fin da ora raccomando: fate prevenzione – conclude Paolo Veronesi – perché oggi è la sola arma che abbiamo a disposizione per salvare la vita».  F. M.

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