Il dermatologo deve saper andare “sotto la pelle” del paziente

È passato il tempo in cui il dermatologo prescriveva solo pomate. Oggi lo specialista è la “sentinella” che osserva la pelle per scoprire se segnali in superficie possono annunciare disagi più profondi che coinvolgono anche altri organi interni, come nel caso di alcune malattie infiammatorie coniche, ad esempio l’artrite psoriasica che può colpire le articolazioni, o i tumori della cute. Ancora meglio il dermatologo è il “pivot”, l’esperto attorno a cui ruota la diagnosi di attacco preliminare della malattia e la presa in carico iniziale del paziente, in funzione delle proprie competenze e del Centro di appartenenza, gestito da una rete strutturata di specialisti, così da garantire il miglior trattamento possibile erogato in modo più agile, multidisciplinare. «L’evoluzione della disciplina – spiega Francesco Cusano, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dermatologia dell’Azienda Ospedaliera San Pio-P.O. “Gaetano Rummo” di Benevento e Presidente dell’Associazione Dermatologi Venereologi Ospedalieri Italiani e della Sanità Pubblica (ADOI) – ha richiesto al dermatologo da un lato di lavorare sulla prevenzione, ovvero sui fattori che determinano l’insorgenza di una specifica patologia, limitando possibili complicazioni e ricadute su organi importanti come, nel caso della psoriasi, sull’apparato cardiovascolare, il sistema metabolico o muscolare: grazie all’uso di farmaci innovativi, che vanno a modificare il comportamento dell’intero organismo o anche nei tumori, con esiti migliori se gli interventi terapeutici sono tempestivi e globali». Un approccio che domanda al “nuovo” dermatologo di formarsi anche in competenze di altre specialità, quale ad esempio la reumatologia, prima di dialogare in maniera sistemica con il reumatologo per la gestione congiunta della malattia, quando diviene più complessa.

Non solo scienza, dunque: Covid è stato un altro complice del cambiamento del ruolo del dermatologo. «La pandemia – precisa Ketty Peris, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dermatologia del Policlinico Gemelli di Roma e Presidente della Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST) – ha costretto il dermatologo a ricorrere, nei casi di malattia stabile o di forme non gravi, a visite a distanza, rese possibili dalla telemedicina, video-consulti o telefonate, sebbene una diagnosi “per foto”, anche se ben fatte e di alta risoluzione, non rappresenti la regola. A pazienti in fase acuta invece abbiamo sempre garantito visite urgenti».

L’intento, infatti, è offrire al paziente la migliore cura e assistenza possibile, da cui l’istituzione da parte di SIDeMaST di una Task Force per dermatologia “di genere”, composta in gran parte da dermatologhe, che ha prodotto ad esempio un opuscolo dedicato a donne in età fertile. «Le malattie della pelle – commenta Peris – si manifestano in maniera uguale in entrambi i sessi: ciò che cambia è il vissuto, l’accesso alle cure, l’impatto differente della malattia negli uomini e nelle donne. Pensiamo ad esempio al peso di una forma di psoriasi grave in una donna, che necessita di farmaci biologici o di terapie immunosoppressive, quando desidera una maternità oppure deve programmare di ricorrere alla Procreazione Medicalmente assistita, o anche a donne affette da malattie che possono interessare organi genitali femminili in maniera importante, con un impatto pesante sulla sfera sessuale, psicologica, sociale e lavorativa, i cui risvolti rispetto al maschio sono sensibilmente differenti».

Molte delle malattie dermatologiche “convivono” ancora oggi con una forte stigmatizzazione: tutto ciò che è visibile sulla pelle, dal volto alle mani, viene percepito come fastidioso in chi osserva, persino contagioso, nonostante i farmaci topici o le terapie sistemiche, oggi disponibili e in uso anche in caso di forme di psoriasi lievi, abbiano migliorato sensibilmente i quadri clinici e visivi. «Il dermatologo – dichiara Cusano – deve spesso fare anche da psicologo capace di entrare nella vita, nella mente, nelle esigenze, “sotto la pelle” dei pazienti. Ecco perché la telemedicina costituisce un limite alla cura, alla relazione empatica medico-paziente e alla comprensione del malessere della persona. Una foto può aiutare a comprendere il problema clinico, ma la dimensione psico-emotiva va costruita con un rapporto nel quale dermatologo e paziente navigano “a vista”. Soprattutto in questo momento di difficoltà generale, il dermatologo ha dunque un compito e un ruolo importanti, che non possono essere ridotti meramente a sistemi tecnici e tecnologici a distanza». Da qui l’importanza di dare diversa dignità alle malattie infiammatorie croniche della cute, in particolare alla psoriasi, facendole rientrare nel Piano della Cronicità: una risposta concreta all’impatto clinico, economico, psicologico e sociale che pesano sulla persona e sulla collettività.

di Francesca Morelli

 “DA CAPO”: un cortometraggio per “dialogare” con la psoriasi

Provi vergogna, depressione e isolamento? Temi in una recrudescenza della psoriasi o che una recidiva ti faccia cadere ancora in un loop di brutte sensazioni? Anche a te è dedicato il cortometraggio “DA CAPO”, prodotto dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, con la regia di Paolo Santamaria e interpretato dagli attori Nicola Nocella e Maria Vittoria Casarotti Todeschini, che intende comunicare le sensazioni e il vissuto associato alla psoriasi, in modo innovativo, attraverso una metafora creativa. Ovvero il linguaggio universale della musica che fa risuonare la fatica e l’impegno necessari a Giulia – musicista al suo debutto con la Sonata per pianoforte n.14 “Al chiaro di luna” di Ludwig Van Beethoven – per affermare la propria voce “unica e originale” e il timore di essere valutata dal Maestro solo “in superficie”. Invece le risponde: “Io vedo la tua pelle, ma sotto la tua pelle palpita qualcosa di straordinario: la tua voce”. È uno dei punti più toccanti del corto: il dialogo, all’inizio timido e impacciato, fatto spesso di sguardi e parole che faticano a emergere, diventa sempre più sicuro e consapevole. Un percorso che deve dar voce anche al rapporto medico-paziente: «L’importanza di vincere le proprie paure – dichiara Valeria Corazza, presidente dell’Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza APIAFCO – e sentirsi liberi di esprimersi senza limitazioni, è il forte messaggio del cortometraggio. Come Giulia, anche le persone con psoriasi possono gestire efficacemente la propria malattia, attraverso un dialogo franco e diretto con il dermatologo che li aiuterà a superare gli ostacoli grazie al “supporto” di nuovi progressi della ricerca scientifica e indirizzarli verso una vita libera dal peso quotidiano della malattia».  Perché gli strumenti terapeutici, oggi ci sono: «Abbiamo gli anticorpi monoclonali – spiega Francesco Cusano, presidente dell’Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani – che possono aiutare a raggiungere e mantenere una remissione delle placche psoriasiche e una pelle quasi o completamente pulita, in un’alta percentuale di pazienti già dopo le prime somministrazioni, con risultati che si mantengono nel tempo e un profilo di sicurezza molto elevato. Inoltre i dati di molti studi dimostrano un significativo miglioramento della qualità di cura, anche nelle forme di malattia moderata-severa». “DA CAPO”, presentato in occasione dell’evento virtuale “Psoriasi, un corto per liberare le proprie emozioni”, è un’iniziativa promossa da AbbVie con il patrocinio dell’Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza APIAFCO, realizzato nell’ambito della campagna internazionale “Let Me Be Clear”, una piattaforma digitale per invitare le persone con psoriasi (quasi 2 milioni in Italia) a condividere la loro storia e accedere a strumenti per facilitare il dialogo con il dermatologo. Il corto è visibile su tutti i social e disponibile online sul portale: www.vicinidipelle.it che raccoglie anche informazioni generali sulla psoriasi e altre malattie della pelle.  F.M.

Rosacea: una campagna guida alla conoscenza della malattia

Guardare una problematica “dritto negli occhi”, conoscerla, prenderne coscienza e consultare un esperto per trovare la soluzione più efficace. Sono i punti chiave della campagna “Faccia a faccia con la rosacea”, iniziativa di sensibilizzazione alla rosacea, realizzata da Galderma, che intende “educare” ai suoi sintomi più classici, quali un arrossamento transitorio o persistente del viso o manifestazioni infiammatorie tra cui papule o pustole, come a quelli invisibili, pizzicore, dolore e bruciore del viso, spesso correlati a stress emotivo. Fino alla possibile comparsa di occhi rossi, secchi o pruriginosi, che non vengono considerati dal paziente un problema o sottovalutati durante un consulto medico. Un’indagine internazionale, condotta su oltre 700 pazienti con rosacea e 500 medici, ha rilevato, infatti, che la poca attenzione riservata ai sintomi minori è spesso causa di insoddisfazione dei pazienti con rosacea, tanto che l’82% degli intervistati dichiara di non ritenere la propria malattia sotto controllo e, uno su 5 di aver modificato in modo sostanziale alcune abitudini quotidiane per il forte impatto psico-emotivo che la malattia porta con sé. Tra questi imbarazzo o vergogna per i segni sul volto, guance e naso, ansia e l’impatto sulla vita sociale. La campagna, dunque, è un invito a chi soffre di rosacea a non arrendersi, ma a dialogare con il dermatologo per trovare la soluzione personalizzata alle proprie necessità, di norma da impiegare a lungo termine. «È molto importante – spiega Giuseppe Micali, Direttore della Sezione di Dermatologia e Venereologia, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Università di Catania – che la persona con rosacea esponga chiaramente al dermatologo la sintomatologia e le ripercussioni psicologiche, anche se queste spesso non sono strettamente legate alla gravità dei segni cutanei, così da rispondere efficacemente anche ai bisogni che il paziente percepisce come più invalidanti e poter personalizzare la terapia». I fattori scatenanti della rosacea sono ormai noti: cibi piccanti o bevande alcoliche, stress emotivo, esposizione solare, bagni caldi, la presenza sulla pelle di acari Demodex, generalmente innocui, ma che possono alimentare la malattia. La campagna è attiva al sito www.facciaafacciaconlarosacea.it e guida gli utenti, con una serie di domande, a descrivere i propri segni e sintomi della rosacea, l’impatto emotivo e i trattamenti utilizzati: genererà una guida ad hoc per la visita dermatologica personalizzata, facilitando il dialogo con l’esperto.  F.M.

Le mascherine non sono controindicate per le malattie della cute

Acne, rosacea o altre malattie della cute non sono una controindicazione all’uso della mascherina. Né questa può essere un fattore di rischio per l’aggravamento o la riacutizzazione della problematica. A tranquillizzare i quasi 8 mila italiani che, dai 10 agli oltre 55 anni, soffrono di una patologia infiammatoria cronica della pelle sono gli esperti dermatologi in occasione del 94° Congresso nazionale della SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse), tenutosi dal 3 al 6 novembre in modalità virtuale. C’è solo una raccomandazione: l’adozione di alcune misure cautelative e preventive, che mettono al riparo da qualunque effetto collaterale all’uso quotidiano e prolungato della mascherina. «Occorre fare attenzione all’igiene, rinfrescando e pulendo la pelle del viso con detergenti non aggressividichiara Giuseppe Monfrecola, dell’Università Federico II di Napoli – e impiegando prodotti come un dermocosmetico che, laddove necessario, possa contribuire a spegnere le infiammazioni. Raccomando maggiore cura nello spalmare e fare ben assorbire creme o altre soluzioni, prima di indossare la mascherina, sia essa Ffp2, chirurgica o di stoffa, per non creare una doppia copertura, quella della crema e della mascherina, che può mandare la pelle in sofferenza». In caso di pelli sane, la mascherina è doppiamente efficace: protegge dal Sars Cov 2 e migliora l’idratazione della pelle, in quanto con il respiro si crea un microambiente caldo umido. Dunque il solo rischio ad oggi è non indossare la mascherina. Come per il viso, altrettanta cura va riservata a mani e unghie per lenire effetti associati all’uso frequente di gel alcolici. «Entrambe sono sottoposte a maggiore stress – aggiunge Bianca Maria Piraccini, Direttrice della Scuola di Specializzazione di Dermatologia e Venereologia dell’Università degli Studi di Bologna – in quanto si è passati dal lavare le mani dalle 6 alle 10 volte quotidiane, a un numero sensibilmente superiore. Senza contare che solo una persona su 10 usa un detergente leggero e solo una su 30 applica la crema idratante dopo la detersione, a cui si somma l’uso di sostanze chimiche, come gel detergenti e antimicrobici, almeno 20-30 volte al giorno. La conseguenza è una forte disidratazione sulla cute, l’indebolimento delle unghie, la maggiore esposizione allo sviluppo di dermatite irritativa. Il consiglio è privilegiare l’uso di acqua e sapone rispetto al gel sanificante per lavarsi le mani, avendo cura di usare sempre una crema idratante dopo la detersione».  F.M.

Articoli correlati