Talassemia: un nuovo trattamento per evitare le trasfusioni

È una malattia che ha la massima incidenza in alcune zone di mare del nostro Paese. Su un totale di 7 mila pazienti affetti da Talassemia in Italia, 1200 sono concentrati in Sardegna; gli altri sono in Sicilia, Regioni meridionali e Delta del Po. Nel mondo i malati sono circa 3 milioni e ogni anno nascono 330 mila bambini con sindromi talassemiche: il 17% è affetto da Talassemia major. Si tratta di una malattia del sangue legata a difetti di produzione di due catene proteiche (alfa e beta) che costituiscono l’emoglobina: è a trasmissione genetica, con carattere autosomico recessivo, ovvero da due genitori portatori sani, nel 25% dei casi nascerà un figlio talassemico.

La malattia si presenta in due forme: tipo alfa e beta; quest’ultima compare già nel primo anno di vita. Fino a pochi anni fa l’unica cura definitiva era il trapianto di midollo da donatore compatibile, con tutte le problematiche legate alla disponibilità del donatore. Per tenere sotto controllo la malattia, si devono praticare per tutta la vita trasfusioni di sangue e somministrare farmaci chelanti del ferro in grado di evitarne l’accumulo negli organi. Da oggi si può utilizzare una nuova molecola, luspatercept, frutto della ricerca di Celgene, che ora fa parte di Bristol Myer Squibb, che ha appena ottenuto l’approvazione in Europa per il trattamento di due patologie ematologiche, la beta-talassemia e le sindromi mielodisplastiche.

«I pazienti colpiti da queste due patologie dipendono dalle trasfusioni di sangue, con conseguenze gravi sulla loro qualità di vita», fa notare Maria Domenica Cappellini, Ordinario di Medicina Interna all’Università degli Studi di Milano. «Luspatercept è il primo farmaco, approvato in Europa, che promuove la normale maturazione dei globuli rossi e rappresenta una nuova classe terapeutica. È in grado di ridurre l’eritropoiesi inefficace, responsabile della grave anemia, consentendo così la produzione di globuli rossi maturi. In particolare, nelle persone affette da beta-talassemia, rappresenta la prima terapia in grado di ridurre la necessità di trasfusioni in un’elevata percentuale di pazienti, praticando una sola infusione sottocute ogni tre settimane, anziché sottoporsi a due/tre trasfusioni a settimana. La scoperta di questa molecola è avvenuta indirettamente durante il suo impiego in donne affette da osteoporosi: si è visto che le donne trattate con questo farmaco, registravano un miglioramento dell’emoglobina nel sangue, con aumento dei globuli rossi maturi».

La molecola è stata oggetto di un importante studio BELIVE, condotto su 336 pazienti di 65 centri in 15 Paesi nel mondo: l’Italia ha arruolato il maggior numero di pazienti. Lo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine a marzo 2020, porta la firma della professoressa Cappellini. Questo rappresenta un ulteriore esempio della rilevanza dell’Italia nel contesto della ricerca internazionale per offrire terapie innovative ai pazienti affetti da gravi malattie. «Tutti i pazienti arruolati nello studio erano affetti da beta-talassemia trasfusione-dipendente, che è la forma più severa di malattia», spiega la professoressa Cappellini. «I risultati sono stati molto incoraggianti e hanno evidenziato la riduzione del fabbisogno trasfusionale, dopo 12 settimane, dal 33% fino al 50%. In quest’ultimo gruppo, nel corso di un anno, ci sono stati anche soggetti che hanno raggiunto l’indipendenza trasfusionale», conclude la professoressa.

Questa nuova molecola ha ottenuto l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) e della Commissione Europea (EC) per il trattamento dell’anemia in pazienti adulti con beta-talassemia che richiedono trasfusioni di globuli rossi, ed è il primo trattamento autorizzato per questa condizione e per l’anemia dovuta a sindromi mielodisplastiche (MSD).

di Paola Trombetta

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