Come affrontare la maternità con una malattia reumatica

Il 30% delle donne con una malattia reumatica (in Italia sono 1,5 milioni le persone con queste patologie) ha paura di affrontare la maternità e ci rinuncia. Forse per mancanza di un approccio mirato sull’argomento da parte degli specialisti e per scarsa conoscenza della malattia e delle possibili terapie. Se un tempo veniva sconsigliata, oggi la situazione è cambiata, grazie anche ai nuovi farmaci che possono essere assunti in gravidanza. Tra le patologie più frequenti, le poliartriti croniche, patologie infiammatorie come l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica e le spondiloartriti che rientrano nella ben più vasta categoria delle malattie reumatiche. Per conoscere più da vicino queste patologie e rassicurare le donne sulle nuove cure, compatibili con la realizzazione di un progetto di maternità, abbiamo intervistato la professoressa Angela Tincani, ordinario di Reumatologia all’Università degli Studi di Brescia e Direttore UO Reumatologia e Immunologia Clinica degli Spedali Civili di Brescia.

Qual è l’impatto di malattie come l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica e la spondiloartrite assiale sulla qualità di vita dei pazienti e, in particolare, delle donne?
«Stiamo parlando di malattie croniche invalidanti, che hanno un impatto importante sulla vita delle persone che ne soffrono. Tuttavia, le malattie reumatiche incidono maggiormente sulla vita delle donne poiché si tratta di patologie che, nel loro decorso, cambiano l’aspetto fisico in modo evidente, ed è questo un fattore importante per l’universo femminile. Questo vale, ad esempio, per malattie come l’artrite reumatoide o l’artrite psoriasica che modificano l’apparato muscolo-scheletrico in un caso e la cute nell’altro. I cambiamenti indotti dalla malattia e dai trattamenti rendono più difficili i rapporti interpersonali, con ripercussioni sul piano sociale e affettivo: la donna che subisce delle trasformazioni a causa della malattia si piace sempre meno, comincia a isolarsi e ogni rapporto diventa più complicato, anche dal punto di vista professionale».

Le donne in età fertile con una patologia autoimmune si sono spesso trovate davanti a un bivio, riguardo la possibilità di diventare mamme, combattute tra il dover continuare le terapie, mettendo a rischio la salute del proprio bambino, oppure sospenderle con un alto rischio di riacutizzazione della malattia. È possibile oggi affrontare una gravidanza in tutta serenità e senza questi dilemmi?
«Assolutamente sì! In passato, si consigliava alle pazienti di non avere figli, ma oggi la situazione è molto cambiata e le donne con patologie reumatiche autoimmuni possono pianificare una gravidanza e diventare mamme con serenità paragonabile a quella delle altre donne. A questo scopo, è importante effettuare una valutazione attenta del grado di malattia e del momento più adatto per procedere con la gravidanza, che dovrebbe coincidere con una fase di remissione della patologia, e intraprendere un percorso terapeutico definito, in modo da evitare rischi, sia per la salute della futura mamma, sia per quella del bambino. In generale, nessuna gravidanza è priva di potenziali rischi o problemi anche in condizioni ottimali di salute; le donne con malattie reumatiche in età fertile hanno oggi la possibilità di pianificare e vivere una maternità con “rischi normali” grazie a nuovi approcci di cura e gestione della patologia».

Quante donne rinunciano a pianificare una gravidanza a causa della malattia? Esiste un “modello di counselling” mirato alle donne in età fertile per guidarle correttamente verso una scelta consapevole?
«Purtroppo non esistono dati aggiornati: l’ultima indagine risale al 2015 e dimostrava come il 30% delle pazienti affette da queste patologie non avesse avuto figli, forse anche a causa di un approccio da parte degli specialisti non mirato e poco approfondito sulla tematica della pianificazione familiare. Partendo da quel dato, abbiamo lavorato per cambiare “rotta” nell’approccio al problema, sia dal punto di vista medico che da quello psicologico. Il ruolo del medico è quello di informare la paziente su come si potrà evolvere la gravidanza, considerando le possibili complicazioni e accompagnarla in questo percorso, offrendo un corretto supporto psicologico prima della decisione di diventare mamma, durante la gravidanza e dopo il parto. Lo specialista è il punto di riferimento anche per chiarire eventuali dubbi in merito alla terapia: spesso però lo specialista pensa in prima battuta a far stare meglio la paziente, alleviando le sofferenze causate dalla malattia, e solo in seconda battuta prende in considerazione la volontà espressa dalla donna di diventare mamma. Non sempre infatti il desiderio di maternità viene espresso dalla donna fin dall’inizio della malattia: spesso ne parla con il ginecologo, ma non con il reumatologo. Ci sono poi situazioni che purtroppo non sono compatibili con una gravidanza o per le quali la maternità viene consigliata solo in un secondo momento, richiedendo in questo caso un cambiamento terapeutico. Oggi, con appositi test, si possono individuare alcuni biomarcatori (anticorpi) associati a una prognosi negativa della gravidanza: in questi casi, occorre rimandare la progettualità della maternità,finché questi anticorpi vengono neutralizzati. Inoltre, quando la paziente pianifica una gravidanza, è necessario impostare una terapia che lo consenta e non abbia effetto teratogeno e sul feto. Se questa cura coincide con quella già in uso dalla paziente, siamo sicuri della risposta terapeutica e ciò consente una valutazione più rapida nei confronti della possibile gravidanza; viceversa, cambiare la terapia comporta tempi più lunghi e nuove valutazioni circa l’efficacia del trattamento, prima di intraprendere una gravidanza. Un ultimo punto riguarda il fatto che le difficoltà non si esauriscono con la nascita del bambino: la gestione del puerperio è complessa anche in condizioni “normali” ed è ancor più necessario supportare la donna con malattia reumatica con una terapia efficace».

Esistono farmaci testati apposta per essere utilizzati durante la gravidanza, che si sono rivelati efficaci e sicuri, sia per il controllo della malattia nella donna, sia per minimizzare i possibili effetti negativi sulla crescita e il benessere del bambino?
«L’anticorpo monoclonale Certolizumab pegol è ad oggi il farmaco biologico più testato e sicuro per la donna in gravidanza, dal momento che diversi studi ne hanno assicurato l’efficacia in gravidanza e in allattamento, mostrando un passaggio nullo del farmaco, sia attraverso la placenta che nel latte materno.Un ulteriore aspetto positivo è che la terapia viene somministrata mediante un dispositivo a iniezione elettronica, per rendere più semplice l’auto-somministrazione, ma anche per migliorare l’aderenza alla terapia, che è totale solo in un terzo dei pazienti.Esistono altri farmaci “tradizionali” che possono essere utilizzati in gravidanza, con la sicurezza che deriva dall’esperienza di molti anni: tra questi l’idrossiclorochina o la ciclosporina A, così come i corticosteroidi a basse dosi e gli antinfiammatori non steroidei, questi ultimi però evitando la somministrazione nel terzo trimestre. Anche altri farmaci biologici, inibitori del TNF-α, possono essere utilizzati in epoca pre-concezionale e nel primo trimestre di gravidanza, ma non ci sono dati sufficienti per confermarne la sicurezza per tutta la durata della gestazione. Parlando dell’assunzione di farmaci durante l’età riproduttiva, la paura maggiore è il possibile effetto teratogeno, che possano cioè causare malformazioni. I farmaci biologici, data la loro natura proteica, non dovrebbero avere questo temibile effetto; tuttavia, essendo potenti immunosoppressori, si teme che il loro passaggio transplacentare dalla mamma verso il bambino si associ a potenziali rischi di deficit del sistema immunitario del bambino».

di Paola Trombetta

Al via la campagna #anchiomamma e l’(H)Open day sulle malattie reumatiche

Per informare la popolazione femminile sulle malattie reumatiche autoimmuni, guidarle e supportarle nella gestione quotidiana della malattia e vivere più serenamente la propria maternità, sono in programma in questi giorni diverse iniziative, promosse dalle Associazioni nazionali Pazienti reumatici (ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici Onlus e APMAR, Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare) assieme a Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, con il contributo non condizionato di UCB Pharma.

#anchiomamma è la prima campagna social di informazione su malattie reumatiche e pianificazione familiare promossa da ANMAR e APMAR, che nasce per fornire informazioni, fare chiarezza sul percorso per diventare mamma, pur vivendo con una malattia reumatica, favorire il dialogo medico-paziente e rendere le pazienti consapevoli di pianificare la gravidanza, condividendo la decisione con il reumatologo. Il portalewww.anchiomamma.itè il cuore della campagna, il “luogo” in cui trovare approfondimenti, validati da un board di medici, sui vari aspetti legati al diventare mamma: l’intimità, la pianificazione familiare, la gravidanza, il parto, la maternità. Il progetto si trova sulle pagine Facebook e Instagram,per condividere informazioni, esperienze, aggiornamenti, opportunità.

Onda, Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, promuove la seconda edizione dell’(H)-Open Day dedicato alle malattie reumatiche, in collaborazione con le Associazioni di Pazienti AMRER, (Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna), ANMAR e APMAR, con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità e di SIR, Società Italiana di Reumatologia. L’iniziativa è in programma venerdì 10 maggio ecoinvolgerà oltre 95 ospedali aderenti al network Bollini Rosa che apriranno le loro porte a tutte le donne per offrire gratuitamente differenti servizi clinico-diagnostici ed esami strumentali, oltre a dedicare momenti informativi (consulenze, colloqui, conferenze, info-point). Le Associazioni di pazienti, grazie al coinvolgimento delle sezioni locali, saranno presenti per garantire l’accoglienza e orientare le donne verso una migliore gestione della malattia e supportarle all’accesso ai servizi clinico-diagnostici ed esami previsti durante la giornata. «Nonostante il grande numero di persone con malattie reumatiche croniche, ancora oggi queste patologie sono poco conosciute dalla popolazione e per questo bisogna continuare a lavorare insieme per informare sulle conseguenze personali, familiari, sociali e professionali che queste malattie comportano», commenta Silvia Tonolo, Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici.«Iniziative come queste svolgono un compito fondamentale: informare e sensibilizzare la popolazione femminile sulle malattie reumatiche nelle loro diverse sfaccettature e diffondere la consapevolezza sui sintomi, le opportunità di prevenzione, diagnosi precoce e disponibilità di cure», commenta Antonella Celano, Presidente dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare.«Questi appuntamenti rappresentano occasioni preziose per sfatare il mito che le malattie reumatiche interessino solo le persone anziane. Al contrario, sono malattie che hanno spesso un esordio in età giovanile e colpiscono soprattutto le donne in età fertile, con conseguenze gravi sul piano non solo fisico, ma anche psicologico e relazionale».  P.T.

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