Diabete: arriva l’insulina da usare ai pasti

È finita l’epoca di iniettarsi insulina un’ora prima dei pasti. Da oggi è arrivata una nuova formulazione che si può assumere anche durante i pasti (da 2 minuti prima fino a 20 minuti dopo l’inizio del pasto). Molto comoda e flessibile, particolarmente adatta alle donne che non hanno mai orari per il pranzo e la cena, e sono spesso costrette a mangiare in tutta fretta. L’ultima nata è l’insulina aspart fast-acting, integrata con vitamina B3, che rende il suo assorbimento iniziale più veloce, e l’aminoacido L-arginina, che ne stabilizza la formulazione.
«Queste due sostanze rendono più rapido l’assorbimento dell’insulina», puntualizza Concetta Irace, Professore associato al Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università della Magna Grecia di Catanzaro. «In questo modo si avvicina maggiormente alla risposta naturale di una persona sana, assicurando una presenza in circolo più veloce (4 minuti anziché 9) rispetto alla precedente insulina aspart ad azione rapida, una delle più prescritte al mondo. Si è dimostrata anche più efficace nel ridurre la glicemia postprandiale a un’ora e in alcuni casi anche i livelli di emoglobina glicata, senza aumentare il rischio dei temibili episodi di ipoglicemia». Con questa formulazione si aggira anche il problema di dover misurare l’insulina dopo i pasti, un’abitudine che le persone con diabete sembrano avere solo due volte al mese, secondo un’analisi effettuata sui dati degli Annali AMD, Associazione Medici Diabetologi. L’insulina aspart fast-acting è rimborsata dal Servizio Sanitario Nazionale in classe A ed è disponibile, per adulti con diabete, in soluzione iniettabile per via sottocutanea in due formati: 100 unità/ml in penna preriempita e 100 unità/ml in cartuccia.

«Il mancato controllo della glicemia postprandiale è un’abitudine diffusa tra i diabetici», commenta Antonio Nicolucci, Direttore Coresearch-Center for Outcomes Research and Clinical Epidemiology. «Mentre la frequenza di controllo della glicemia a digiuno risulta adeguata, la glicemia postprandiale viene valutata in maniera del tutto insufficiente, tanto più che i due terzi delle persone con diabete presentano valori di glicemia postprandiale superiori ai 140 mg/dl, che è il valore di normalità indicato dalle linee guida».
Ma perché è così importante la valutazione della glicemia postprandiale? «Innanzitutto, contribuisce per circa un terzo alla glicemia media. A parità di glicemia media, le persone con glicemia postprandiale più alta hanno un rischio maggiore di sviluppare complicanze del diabete, in particolare quelle cardiovascolari, come l’infarto o l’ictus», puntualizza Edoardo Mannucci, diabetologo, professore associato al Dipartimento di scienze biomediche, sperimentali e cliniche Mario Serio dell’Università di Firenze. «Lo dimostrano diversi studi come il DECODE, il Diabetes Intervention Study o il più recente San Luigi Gonzaga Diabetes Study, che ha evidenziato come l’aumento della glicemia postprandiale si associ a un aumento del rischio cardiovascolare in maniera più evidente rispetto all’aumento della glicemia a digiuno, in una popolazione seguita per 14 anni di follow up». In uno studio pubblicato di recente su Diabetes Therapy emerge che, in alcune persone con diabete, l’iperglicemia postprandiale può avere ripercussioni negative a livello fisico ed emotivo, e può influenzare la vita di tutti i giorni, incluso il lavoro e i rapporti sociali. È stato ad esempio calcolato che, in seguito a un episodio di iperglicemia postprandiale, il 71 per cento delle persone con diabete riporta una diminuzione della produttività e il 54 per cento sostiene di avere difficoltà a concentrarsi nel lavoro.

di Paola Trombetta

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