Cosa fare quando vostro figlio ha la febbre

Quando arriva fa paura e l’apprensione, di fronte all’innalzamento di temperatura, condiziona l’autocontrollo delle mamme nella buona gestione della febbre. Inducendo persino ad adottare falsi rimedi o a correre, per troppo zelo, dal pediatra o al Pronto Soccorso, soprattutto se l’evento capita nel fine settimana o di notte.
Lo confessa una mamma italiana su 4, nell’ambito di una indagine SWG che ha coinvolto 100 donne tra i 20 e i 55 anni con figli tra 0 e 10 anni su tutto il territorio, presentata durante l’evento educazionale “Che Giungla Questa Febbre”, promosso dalla Casa Pediatrica Fatebenefratelli-Sacco di Milano.
Le giovani mamme sembrerebbero preparate all’evento febbre, perché nell’88% rispondono correttamente che è un meccanismo di difesa, utile all’organismo per combattere infezioni e attacchi da parte di agenti esterni. Ma il 59% di loro è incerta su quando e come misurare la temperatura ai propri figli – solo il 41% è sicura nel dire ogni 2 ore – mentre l’81%, per abbassarla, si affida ancora ai rimedi della nonna. «È importante mantenere sempre la calma – dichiara il dottor Jacopo Pagani, responsabile del servizio di Pronto Soccorso Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma – e fare tutte le valutazioni necessarie: considerando l’età del bambino che sotto i  3 mesi di vita necessita di una visita pediatrica immediata; nel caso il piccolo abbia tra i 3 e i 12 mesi è possibile farlo entro le 24 ore se la febbre non si accompagna ad altri sintomi, nel qual caso va invece valutato subito. Dopo l’anno di vita, se il bambino gioca, è sereno e vitale, si può attendere, senza allarmismo, tre giorni, prima di un eventuale controllo del pediatra». Che resta per le mamme la figura di riferimento (63%) sulla salute dei figli, a cui chiedere  un consiglio prima di somministrare un farmaco o da cui avere suggerimenti comportamentali e terapeutici.

In questa giungla di informazioni non sempre appropriate, derivanti anche da passa-parola e navigazioni in internet, ecco invece cosa sapere e fare correttamente quando il bimbo è febbricitante:

Non è una malattia. Bensì un sintomo che il corpo sta reagendo alla malattia, alleandosi con il sistema immunitario per combatterla. Tenendo conto che la temperatura corporea, regolata da un “termostato” interno che l’abbassa o la alza ciclicamente secondo i momenti della giornata, si può considerare febbre una temperatura che supera i 37.5°-38°, esclusi fattori condizionanti quali il caldo microclima dell’ambiente in cui si risiede, un’eccessiva vestizione, uno stato di eccitazione che ne possono aumentare i gradi corporei.

Come misurarla. La sede migliore per rilevare la temperatura è quella ascellare, meglio se effettuata con un termometro elettronico, efficace e sicura anche in bambini molto piccoli e neonati. Accettabile è anche la misurazione auricolare con un termometro a infrarossi, possibile anche in piccoli con più di 4 settimane e solo in ospedale  o nell’ambulatorio del pediatra, ma non perfetta in bambini più grandi. Mentre sono da evitare la misurazione sublinguale (che è poco sicura) e soprattutto quella rettale che segnala sempre qualche grado in più. In caso di febbre è possibile fare uscire il bambino, solo se la temperatura esterna è calda e lo consente.

Si tratta così. C’è un approccio non farmacologico che prevede cioè l’utilizzo di soluzioni rimedi pratici, molti dei quali seguiti da tante mamme, talvolta però poco efficaci o sconvenienti. Tra questi, non sono indicate le docce fredde, ad esempio, e neppure tenere il bambino vicino a fonti di calore come il termosifone, né fargli indossare indumenti troppo pesanti che non fanno altro che aumentare la sudorazione. Evitare anche ghiaccio e spugnature, che abbassano la febbre solo di qualche, per un periodo di breve durata e solo in superficie. Sono assolutamente vietate le spugnature con alcol, una sostanza che non viene metabolizzata dal bambino a livello epatico, tanto da potere risultare tossica a certe dosi.  È corretto e raccomandato invece far bere molta acqua. In caso di farmaci, si può fare uso di Ibuprofene, un antipiretico che ha un’azione analgesica e antinfiammatoria (ricordando che è controindicato in caso di varicella o nei bambini sotto gli 8 mesi e con peso inferiore a 5.7 kg), o di Paracetamolo che ha effetti molto simili. Di norma sono farmaci disponibili in diverse formulazioni: sciroppo, supposte, compresse orodispersibili o da deglutire, la soluzione migliore è però quella in gocce che può essere più facilmente ed efficacemente dosata in funzione del peso del bambino e delle esigenze per fascia d’età. L’antipiretico è consigliato con febbre a 38.5°, se il bambino prova dolore ed è abbacchiato, ma potrebbe essere evitato anche in caso di febbre più elevata se il bambino salta allegramente per casa. Ovvero: la regola è non esagerare con i farmaci che potrebbero risultare alla fine più pericolosi delle febbre stessa.

Quando chiamare il dottore. Subito in caso di piccoli con meno di 30 giorni con temperatura (di qualsiasi grado) perché la febbre potrebbe essere spia di malattie anche importanti;  tempestivamente (o andando anche al Pronto Soccorso) per bimbi con meno di 3 mesi e temperatura pari o superiore a 38°;  secondo il temperamento allegro o mogio in bimbi tra i 3-6 mesi. Ma occorre consultare subito il medico se la febbre, a qualunque età, si accompagna ad altri sintomi, soprattutto a respiro affannoso. Di norma, sopra i 6 mesi, la febbre non rappresenta di per sé un’urgenza: il medico che può essere contattato dopo 48-72 ore se lo stato febbrile persiste, per una diagnosi differenziale.

Le convulsioni. Non devono spaventare: è un fenomeno parafisiologico che avviene nel 3-5% dei bambini tra 6 mesi e 5 anni di vita e che non hanno conseguenze nella gran parte dei casi. È importante, in caso di convulsioni, annotarsi la durata della crisi (per poi riferirla al medico) e sdraiare il bambino, posizionandolo sul fianco, facendo attenzione che intorno non vi siano oggetti contro cui potrebbe sbattere. Non bisogna però mettere le mani in bocca per cercare di fargli tirare fuori la lingua. Devono invece preoccupare le convulsioni che avvengono dopo i 5-6 anni: in questo caso i piccoli vanno portati subito al Pronto soccorso, così come se l’attacco supera i 5 minuti o se si tratta di un primo episodio.

Per riconoscere il dolore… Nel bambino il dolore non deve mai essere trascurato e dopo i 3 anni può essere quantizzato con una scala di autovalutazione, mostrandogli cioè una scala da 0 (nessun dolore) a 10 (massimo dolore possibile) e delle faccine da sorridenti a piangenti, chiedendo di indicare la figura che meglio corrisponde a ciò che sta provando in quel preciso momento. La capacità del bambino di sentire dolore non è inferiore a quella dell’adulto, anzi è superiore, dunque meritevole di essere trattato in tutte le sue forme dolorose  – dal mal di gola al dolore muscolo-scheletrico, al mal d’orecchio, al mal di testa – ad eccezione di quelli alla pancia, con Ibuprofene o paracetamolo. Devono preoccupare maggiormente invece i dolori addominali che cominciano lievi con un andamento in crescita, specie se localizzati nella fossa iliaca destra poiché potrebbero essere spia di un’appendicite, o i dolori che svegliano di notte e che sono una sorta di “bandiera rossa”. Infine, in caso di dolori alle gambe, è bene rivolgersi a un centro del sonno ed effettuare un emocromo e sideremia per escludere che la causa sia una carenza di ferro.

di Francesca Morelli

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