“MORIRE DI CREPACUORE”: PUO’ CAPITARE, SOPRATTUTTO ALLE DONNE

Il marito 80enne era stato ricoverato d’urgenza per un infarto. E la moglie, 78enne, arriva il giorno dopo allo stesso ospedale, con dolori al petto compatibili con un attacco al cuore. Gli esami di routine (ecografia e coronarografia) evidenziano però il perfetto stato delle coronarie, assolutamente libere da placche trombotiche. In questi casi non si può parlare di infarto, ma di cardiomiopatia da stress. Del resto, nel gergo popolare, capita spesso di parlare di “morte per crepacuore”, soprattutto nelle donne dopo un grave lutto, come la perdita del marito o di un figlio, un dolore fisico molto intenso, uno stress inaspettato. «Si tratta di una particolare cardiomiopatia, definita di “takotsubo”, dal nome del vaso giapponese usato per la caccia ai polpi, che richiama l’immagine del ventricolo sinistro allargato in basso, come fosse una palla», puntualizza il professor Francesco Prati, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia II dell’Ospedale San-Giovanni Addolorata di Roma e presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto, che ha organizzato in questi giorni a Firenze il congresso “Conoscere e Curare il Cuore”. «E’ una patologia complessa, di cui ancora non si conosce l’esatta eziologia. Sembra essere scatenata da una cascata di catecolamine, le sostanze infiammatorie che entrano in circolo quando c’è un forte stress nervoso, causato ad esempio da un lutto, da uno spavento in seguito a calamità naturali, da gravi crisi d’ansia e panico. Colpisce soprattutto le donne: su 100 infarti che arrivano in ospedale il 3-4% hanno questa patologia e al 90% sono donne. E sembra anche esserci una correlazione con determinati disturbi psichici, quali ansia e depressione. A differenza dell’infarto acuto, ha una prognosi più favorevole, con una completa ripresa della funzionalità ventricolare, entro un paio di settimane dall’inizio dei sintomi. Nei casi più fortunati, la disfunzione del ventricolo si risolve persino entro poche ore. Non bisogna però trascurare eventuali complicanze – fa notare il professore. –  Un recente studio clinico pubblicato sul New England Journal of Medicine evidenzia come la cardiomiopatia da stress e l’infarto acuto abbiano di fatto un rischio clinico simile nello sviluppare possibili complicanze, come lo scompenso cardiaco, che si sviluppa subito nella prima fase della malattia e potrebbe causare in seguito aritmie complesse, fibrillazione atriale e ventricolare, con rischio, pur minimo, anche di morte improvvisa. La mortalità intraospedaliera si verifica nell’1% dei casi ed è più alta negli uomini (8,4%) rispetto alle donne (3,6%)».

 

CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA SEMPRE MENO INVASIVA

Interventi al cuore sempre meno invasivi e più mirati, soprattutto per correggere difetti cardiaci presenti dalla nascita. E’ un altro filone di cui si è dibattuto al Congresso di Firenze. In particolare è stato presentato un nuovo approccio percutaneo, che si avvale di un catetere introdotto dall’arteria femorale, per correggere molti difetti valvolari presenti in diverse cardiopatie congenite.

«I più diffusi sono i difetti valvolari interatriali o intraventricolari, che interessano soprattutto le donne, tra cui l’insufficienza della valvola mitrale, che collega l’atrio con il ventricolo sinistro e della valvola tricuspide che mette in comunicazione atrio e ventricolo destro», fa notare il dottor Giancarlo Piovaccari, primario di Cardiologia all’Ospedale degli Infermi di Rimini. «L’approccio percutaneo per la cura di quest’ultima patologia, grave e a volte mortale, sta prendendo il sopravvento sulla chirurgia tradizionale. Si prevede addirittura un aumento di interventi con questa tecnica dell’8% all’anno nei prossimi 4 anni, estesi a molte patologie congenite, sempre più frequenti, ma soprattutto oggi sempre più curabili. E’ di questi giorni il caso di una nostra paziente 33enne che è riuscita addirittura a partorire un bel maschietto, nonostante una grave forma di cardiopatia congenita, con atrasia della valvola tricuspide e presenza di un solo ventricolo. Dopo due impegnativi interventi chirurgici da piccola, oggi può condurre una vita normale, tanto da essere riuscita a portare a termine persino una gravidanza».

 

PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE PERSONALIZZATA

Il futuro della cardiologia sarà la “prevenzione personalizzata”. Nuovi strumenti diagnostici, come l’OCT (Optical Coherence Tomography), una tecnica di imaging in grado di mostrare il lume interno delle coronarie e l’eventuale presenza di placche, potrebbe predire il rischio di infarto o re-infarto nelle persone che hanno già avuto eventi cardiovascolari. Lo studio Clima, condotto su 500 pazienti, ha registrato la presenza di importanti eventi cardiovascolari in 17 soggetti, durante i 12 mesi di monitoraggio con questa tecnica. Per la prevenzione, oltre ai nuovi strumenti diagnostici, è fondamentale integrare i dati della clinica con le informazioni che provengono dall’analisi genetica.

«Sapere in anticipo che una persona soffre di una malattia genetica come l’ipercolesterolemia familiare, consente di intervenire precocemente con farmaci appropriati ed evitare rischi di eventi cardiovascolari anche gravi», puntualizza il professor Bruno Trimarco, direttore del Dipartimento di Cardiologia dell’Università Federico II di Napoli e presidente della Siprec (Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare) che dal 17 al 19 marzo organizza un congresso a Napoli. «Nel nostro centro cardiologico stiamo seguendo da 15 anni circa 20 mila persone, che abbiamo sottoposto allo screening genetico. In alcuni pazienti, che avvertivano forti dolori muscolari usando le statine, abbiamo evidenziato la presenza di particolari alterazioni geniche che li rendevano intolleranti a queste sostanze: sostituendole con altri farmaci per il controllo del colesterolo, i dolori e i rischi connessi di un re-infarto sono praticamente scomparsi».

di Paola Trombetta

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