GLI OPPIOIDI CONTRO IL DOLORE NON DEVONO PIÙ FARE PAURA

«Alzati, non piangere, non fare la femminuccia!». Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase quando un bambino cade, vedendo in quei lacrimoni la “debolezza” femminile di fronte a un male fisico lieve o importante che sia. Un retaggio culturale, quello della bassa tolleranza al dolore da parte della donna, ancora fortemente radicato nell’opinione collettiva, invece da sfatare. Perché la scienza, ormai da tempo, ha dimostrato che vi è una differenza di percezione e prevalenza del dolore tra l’uomo e la donna: più intenso, persistente, cronico in quest’ultima rispetto alla popolazione maschile. «La ragione – spiega il Professor Enrico Polati, direttore del Dipartimento Emergenza, Terapie Intensive e Terapia del Dolore, AOUI di Verona e presidente AISD (Associazione Italiana per lo Studio del Dolore) – è imputabile al diverso assetto ormonale che predispone maggiormente la donna, soprattutto in età fertile, al dolore ma anche a un maggior numero di riacutizzazioni in forme dolorose croniche, quali ad esempio l’artrosi, o a un livello di dolore più acuto a parità di lesioni algogene con il maschio».
Uno studio della Stanford University americana, pubblicato sul Journal of Pain, condotto tra 11mila persone di entrambi i sessi affette da diversi tipi di dolore, ha infatti evidenziato come in contesti di dolore acuto sovrapponibili, le donne, in una scala dolorosa da 0 a 10, riferiscono un grado di intensità mediamente pari a 6 punti contro il 4,9 degli uomini, ovvero superiore del 20%. Differenze che tendono ad attenuarsi, tra uomo e donna, con l’andare degli anni. «A ciò si aggiunga il fatto – dichiara ancora Polati – che diverse patologie, causa di dolore cronico, sono a prevalenza nettamente femminile: tra queste la fibromialgia, da 7 a 10 volte più ricorrente nella donna rispetto all’uomo, o l’artrite reumatoide 3 volte più probabile nella donna, ma anche emicrania, osteoartrosi, osteoporosi, colon irritabile o ancora dolori solo femminili legati alla dismenorrea e/o all’endometriosi».
Sembra invece non risentire di differenze di sesso la risposta terapeutica a FANS e oppioidi, i due farmaci di norma utilizzati nella gestione del dolore secondo l’intensità e la tipologia, ugualmente efficaci nelle due popolazioni. Una cosa è certa: in qualsiasi condizione, forma e contesto la sintomatologia dolorosa va controllata: «Il dolore non adeguatamente trattato, tanto più se cronico – commenta il dottor Vittorio Guardamagna, direttore dell’Unità di Terapia del Dolore e Cure Palliative dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano – è fonte di un deterioramento globale della persona con serie ripercussioni a livello fisico e psichico a tal punto da poter causare modifiche strutturali del sistema nervoso, pregiudicare la qualità della vita e nei casi più gravi anche compromettere la riuscita delle terapie o essere motivo di sospensione di trattamenti oncologici (radioterapia e chemioterapia) in corso».
Secondo i dati EFIC Pain in Europe, soffrono di dolore cronico non oncologico, che è anche quello più diffuso, 80 milioni di europei; una persona su 4 in Italia con una prevalenza del 26% e una durata media di 7 anni, riferibile nel 63% dei casi a mal di schiena, osteoartrosi (4 milioni di casi), emicrania, nevralgia del trigemino, artrite reumatoide, dolore post-chirurgico o da arto fantasma. Un dolore che generalmente immobilizza, causando all’incirca 500mila giorni annui di astensione dal lavoro tra la totalità degli europei, e costi stimati tra l’1,5 e il 3% del pil. Tuttavia, nonostante le forti implicazioni e i numeri importanti, il dolore ancora oggi non viene trattato in un caso su tre, o viene gestito con terapie poco appropriate come accade una volta su 2 in pazienti oncologici. «A dispetto dell’allerta di AIFA e EMA – aggiunge Guardamagna – è ancora diffuso nel trattamento del dolore oncologico l’impiego prolungato di antinfiammatori non steroidei (FANS), che non andrebbero somministrati oltre le 3 settimane, per la loro tossicità a livello gastrico, epatico, renale e cardiovascolare».
Benché la Legge 38 abbia promosso una maggiore attenzione al problema della sofferenza inutile e una migliore appropriatezza prescrittiva, ancora alcuni tipi di farmaci per lenire il dolore fanno paura. Primi tra tutti gli oppiacei, attorno ai quali ruotano ancora vecchie barriere culturali e timori, smentiti dalle indicazioni di tante Linee Guida che indicano gli “oppioidi forti” come riferimento per la cura del dolore cronico moderato-severo e consigliano il trattamento con bassi dosaggi soprattutto in pazienti fragili come gli anziani o, anche ad alte dosi, in casi di patologie importanti come quelle oncologiche. «I “nuovi” oppioidi – aggiunge Polati – hanno infatti un profilo di sicurezza e tollerabilità molto superiore ai precedenti. In particolare l’associazione ossicodone/naloxone, che combina l’azione di un oppiaceo (ossicodone) al suo antagonista (naloxone), riduce sensibilmente gli effetti avversi prodotti dagli oppioidi a livello gastrointestinale, quali la stipsi, nausea e vomito senza perdere in efficacia».
Elevata tollerabilità e azione analgesica che vengono mantenuti anche ad alti dosaggi e a lungo termine: «Il dosaggio massimo giornaliero dell’associazione ossicodone/naloxone a rilascio prolungato – commenta Guardamagna – approvato in Europa nel luglio 2015 è stato innalzato a 160/80 mg al giorno dall’Ente regolatorio europeo (EMA), dopo i risultati positivi in termini di efficacia, sicurezza e tollerabilità emersi da uno studio (OXN 3505) condotto su 243 pazienti con forme di dolore severe, riferibili a patologie oncologiche o cronico-degenerative».
«I dati dello studio OXN 3505 – dice il professor Polati – tranquillizzano e confermerebbero la possibilità di impiego dei due farmaci a basse dosi nel trattamento del dolore osteoarticolare, condizione che in Italia colpisce 4 milioni di persone di cui la maggior parte over 65, in politerapia per diverse patologie, per cui bisognosi di farmaci con un elevato profilo di tollerabilità».
Forte di queste premesse, la ricerca in tema di dolore continua e su più fronti: «Nel prossimo futuro – conclude Amedeo Soldi, Medical Director di Mundipharma Pharmaceuticals – sarà disponibile un dispositivo inalatorio non narcotico per il controllo del dolore in emergenza, come quello traumatico ad esempio, e alcune promettenti molecole per il trattamento del dolore neuropatico di norma poco responsivo alla terapia farmacologica».

di Francesca Morelli

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