DAL “BABY BLUES” POST-PARTUM ALLE PSICOSI: COME INTERVENIRE?

Dopo il parto il 70% delle donne soffre di una lieve forma di depressione (Baby Blues), mentre nel 10% dei casi assume forme gravi che possono anche sfociare in gesti estremi, contro se stesse o contro il proprio figlio. Sintomi quali tristezza, pianti immotivati, stanchezza, affaticamento, isolamento, pensieri negativi e rifiuto verso il bambino, potrebbero essere campanelli d’allarme, come pure esistono fattori di rischio (tra questi la predisposizione alla malattia psichica, squilibri ormonali, violenze domestiche). Sia il medico di base, che eventualmente lo specialista, non dovrebbero trascurare questi sintomi, cercando di persuadere le donne sulla possibilità di cura di questa loro sofferenza. Con l’aiuto della professoressa Silvana Galderisi, ordinario di Psichiatria all’Università degli Studi di Napoli e Presidente eletto dell’Associazione Europea di Psichiatria, cerchiamo di analizzare questa problematica e capire come sia possibile intervenire per poterla prevenire o curare.

 

La gravidanza potrebbe far emergere una patologia psichica pregressa?

«Il periodo post-partum rappresenta un momento molto particolare nella vita delle donne, che subiscono profondi cambiamenti nel loro stato ormonale, del loro corpo e repentine oscillazioni affettive. La maggioranza delle donne può soffrire di una forma lieve di stato depressivo definito “blues”. La depressione maggiore e il disturbo bipolare possono insorgere sia durante una gravidanza che nel periodo del post-partum; questo è il motivo principale per cui oggi si preferisce parlare di patologie psichiatriche perinatali. Donne che hanno una storia sia di depressione maggiore che di disturbo bipolare hanno un rischio maggiore di andare incontro a una recrudescenza della sintomatologia durante il periodo perinatale. In molte donne inoltre, questo periodo costituisce il momento in cui si verifica l’insorgenza dei disturbi psichiatrici. I fattori di rischio sono tanti e, tra questi, quelli che conferiscono rischio maggiore sono: una storia di patologia psichiatrica e la presenza di precedenti episodi di depressione maggiore o di disturbo bipolare. Altri fattori di rischio sono costituiti dalle difficoltà relazionali con il partner, dalla mancanza di supporto familiare, da eventi stressanti di vita, da condizioni socioeconomiche non favorevoli, da gravidanze non pianificate e da eventi avversi durante la gravidanza o la nascita».

 

Si parla, oltre che di depressione, anche di psicosi puerperale: in che cosa consiste e perché insorge?

«L’attuale nosografia psichiatrica ritiene la psicosi puerperale correlata alla diagnosi di depressione o disturbo bipolare con aspetti psicotici, oppure indipendente da disturbi dell’umore e rispondente alla diagnosi di disturbo psicotico breve, con esordio in gravidanza o nel post-partum. La cosiddetta psicosi puerperale, infatti, può insorgere durante la gravidanza o entro sei settimane dal parto con un’incidenza di 1-2/1000 nelle donne in età fertile. I sintomi più comuni includono euforia, labilità dell’umore, eloquio e comportamento disorganizzato, allucinazioni o deliri. Tuttavia, la presentazione e il decorso della psicosi puerperale possono essere diversi e complessi, con episodi di deliri di colpa, di persecuzione, confusione e attività eccessiva non finalizzata. A volte, il contenuto dei deliri ruota attorno al bambino, soprattutto che il bambino è posseduto, ha poteri speciali o è morto. L’infanticidio e il suicidio sono stati osservati nel 4% e il 5% delle donne che soffrono di psicosi puerperale. Domande precise e puntuali sui pensieri suicidi e infanticidi sono di fondamentale importanza durante la valutazione delle donne che soffrono di questa patologia. La corretta gestione richiede l’identificazione precoce dei fattori di rischio quali: essere alla prima gravidanza, complicanze ostetriche, taglio cesareo, mancanza di sostegno sociale, storia di disturbo bipolare, eventi di vita stressanti e una storia familiare di psicosi. È un’emergenza psichiatrica che richiede una valutazione urgente. Pertanto, l’identificazione precoce e il trattamento adeguato sono fondamentali. Il ruolo dei medici a cui è affidata la salute della donna e del nascituro deve essere una valutazione tempestiva dei sintomi e l’istituzione di programmi educativi appropriati per le donne e le loro famiglie, all’interno di una relazione medico-paziente, deve essere improntata all’empatia, al supporto e alla rassicurazione».

 

Quali cure si possono assumere in gravidanza o subito dopo per combattere queste malattie?

«Le patologie psichiatriche devono essere trattate in maniera adeguata durante la gravidanza per prevenire significativi eventi avversi, quali il ritardo della crescita prenatale e un più alto rischio di prematurità. Per le donne affette da depressione maggiore, l’obiettivo nel periodo prima del concepimento è quello di stabilizzare l’umore e mettere a punto un adeguato piano terapeutico. Il primo trattamento soprattutto per le forme lievi è la psicoterapia, con differenti approcci, tra cui la psicoterapia interpersonale, la cognitivo-comportamentale e quella di gruppo. Per le condizioni più gravi, il trattamento farmacologico è considerato un’opzione importante. Le evidenze più recenti indicano che esiste un certo rischio nel trattare farmacologicamente la depressione di donne in gravidanza; benché il rischio sia basso, è sempre opportuno illustrare in modo chiaro potenziali rischi e benefici alla coppia genitoriale e arrivare a decisioni condivise. I dubbi relativi alla terapia costituiscono il motivo principale per cui molte donne non vengono trattate farmacologicamente, oppure vengono trattate con dosaggi non adeguati, per timore di esporre il feto a rischi durante la gestazione. L’efficacia farmacologica è riconosciuta sia agli SSRI che ai triciclici. Inoltre, possono essere utilizzate le benzodiazepine, per il trattamento dell’ansia, ritenute relativamente sicure, a dosi terapeutiche. Tuttavia, è importante segnalare che nell’ultimo periodo di gravidanza se ne consiglia, se possibile, la sospensione, perché possono provocare un parto pretermine e nei neonati ipotonia, ipotermia, tremori, difficoltà respiratorie, transitorie alterazioni comportamentali, basso peso alla nascita. Gli stessi trattamenti sono efficaci anche nel post-partum, dove altresì è importante consultarsi con il pediatra perché comunque questi farmaci di norma passano nel latte materno e possono causare nel lattante una certa sedazione e difficoltà nella suzione. Un’analisi caso per caso del rapporto rischi/benefici è estremamente importante e sarebbe opportuno per le donne con pregresse patologie psichiatriche concordare eventuali opzioni terapeutiche prima ancora dell’inizio della gravidanza.

Per quanto riguarda il trattamento del disturbo bipolare, le linee guida internazionali raccomandano di sospendere durante l’età fertile il trattamento con acido valproico, a causa della sua provata teratogenicità e raccomandano cautela con il litio, a causa del maggiore rischio di malformazioni congenite. Un’attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio è necessaria e può determinare il passaggio a un farmaco meno rischioso oppure la sospensione della terapia. Tra le alternative farmacologiche, gli antipsicotici atipici sono sempre più usati nel disturbo bipolare e quindi nella psicosi puerperale; studi recenti indicano che questi farmaci mostrano un migliore profilo di sicurezza in gravidanza. La tipologia di trattamento da adottare resta una decisione complessa sia per il medico che per la madre e il suo partner, ed essa deve necessariamente seguire a un’attenta valutazione del singolo caso clinico e del rapporto rischio-beneficio sia per la madre che per il bambino».

 

di Paola Trombetta

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