Diagnosi tardive, assenza di terapie risolutive, PDTA (Percorsi Diagnostico Assistenziali) che variano da regione a regione. Sono solo alcuni dei bisogni insoddisfatti della SLA, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, che aumentano ulteriormente le molte criticità di questa malattia neurologica, una fra più gravi e complesse che incide sul fisico, sulla quotidianità e sulla dignità del paziente e dell’intera famiglia. Oltre 6 mila italiani convivono con la SLA, secondo i numeri diffusi dalla Società Italiana di Neurologia (SIN) in occasione della Giornata Italiana della SLA (18 Settembre) in cui si promuovono anche le richieste e le necessità della malattia: più ricerca scientifica, maggiore equità di accesso alle cure, integrazione delle nuove tecnologie nei PDTA. «Nel corso di questi i ultimi anni – dichiara il Professor Alessandro Padovani, Presidente SIN – si stanno aprendo prospettive importanti: farmaci mirati, trial clinici internazionali, nuove tecnologie per il monitoraggio e la comunicazione. È fondamentale garantire a tutti i pazienti queste opportunità: un accesso tempestivo alla diagnosi, alle terapie aggiornate e a un’assistenza multidisciplinare, che coinvolga neurologi, pneumologi, terapisti, nutrizionisti, psicologi e assistenti sociali, indipendentemente dal luogo di residenza. Purtroppo, però questo bisogno e la qualità dell’assistenza ad oggi, variano molto da una regione all’altra ». I centri italiani che si occupano di SLA sono parte attiva di questi studi di ricerca, contribuendo sia allo sviluppo di terapie di precisione per le forme genetiche della malattia, sia alla comprensione e al trattamento della SLA sporadica, la forma predominante. Gli sforzi vanno ora concretizzati in contesti di pratica clinica, poiché il divario tra i risultati scientifici e la loro applicazione omogenea sul territorio nazionale è ancora troppo ampio. «Occorre dunque lavorare – aggiunge il Professor Massimiliano Filosto, coordinatore del Gruppo di Studio Neurogenetica e Malattie Rare della SIN – per rendere i modelli assistenziali più uniformi, accessibili e sostenibili su tutto il territorio nazionale». Un aiuto importante può arrivare dall’impiego di nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale che sta aprendo scenari promettenti per la diagnosi precoce, ai dispositivi di comunicazione aumentativa e alternativa (CAA), strumenti che consentono al paziente di mantenere l’autonomia anche nelle fasi più avanzate della malattia. «Anche questi strumenti – sottolinea il Professor Nicola Ticozzi, coordinatore del Gruppo di Studio Malattie del Motoneurone SIN – devono essere a beneficio di tutti e entrare stabilmente nei percorsi pubblici di cura, con criteri di accessibilità chiari e con un sostegno reale da parte del sistema sanitario. Come comunità scientifica, continueremo a lavorare per portare i risultati della ricerca dalla teoria alla pratica, riducendo sempre di più il tempo tra la scoperta e l’applicazione clinica. Per raggiungere questo obiettivo serve un impegno collettivo, affinché ogni progresso diventi una speranza concreta per i pazienti di oggi e di domani».
Francesca Morelli