BPCO: il Covid ha fatto alzare la guardia, con un boom di prime visite

 

Respirare sembra un gesto naturale, ma i tre anni di pandemia ci hanno insegnato che non è così scontato. E che alla salute dei polmoni bisogna stare attenti. E’ il primo dato che si evidenzia dall’indagine condotta di recente da Doxa Pharma su 100 pneumologi per vedere se e come il Covid ha cambiato nella popolazione italiana la percezione delle malattie respiratorie, in particolare della BPCO. Il 41% degli intervistati dichiara che gli accessi in ambulatorio nel periodo post emergenza sono aumentati e il 46% che il motivo è da attribuire proprio a una maggiore consapevolezza verso la malattia, mentre un altro 20% dice che a spingere il paziente dallo specialista è la paura delle complicanze. La riacutizzazione è un elemento decisivo nel declino della capacità respiratoria. Tanto che le raccomandazioni internazionali GOLD 2023 suggeriscono la necessità di prescrivere la terapia massima, la triplice, già dopo il primo episodio. L’altro dato che emerge dall’indagine è la differenza di genere. Le donne (35% delle pazienti verso il 65% di maschi) sono più brave degli uomini, ma questa non è una novità. Hanno una storia di malattia inferiore: 9 anni rispetto a 12. Presentano una condizione e comorbidità meno gravi: disturbi dell’umore e osteoporosi, mentre gli uomini soffrono soprattutto di patologie cardiovascolari e di diabete. A fare la differenza è che le donne si preoccupano ai primi sintomi (41% contro l’11% degli uomini); sono più attente alla propria salute (62% verso 22%), alle prescrizioni e ai consigli del medico (39% rispetto al 21%), si curano meglio (39% contro il 24%). Le donne sono in terapia con la doppia broncodilatazione (LABA+LAMA), gli uomini con la triplice (ICS+LABA+LAMA).

A questi dati aggiungiamo un terzo elemento: la BPCO non è una patologia da vecchi. L’abitudine al fumo e la precocità nell’accendere la sigaretta ha abbassato l’età della diagnosi a 50 anni. In Italia sono 2,6 milioni le persone che soffrono di asma, 3,3 milioni di BPCO, più di 50 mila presentano infezioni delle basse vie respiratorie e oltre 60 mila sono malate di cancro ai polmoni. La BPCO, come tutte le malattie respiratorie croniche, vive il paradosso di essere tra quelle con le cure più efficaci, che però vengono ignorate dagli interessati: assunte spesso al bisogno, per poi essere lasciate nei momenti di tregua dei sintomi. La pandemia ha dunque risvegliato una certa attenzione. Ma il quadro che mostra Doxa Pharma presenta ampie sfumature di grigio. Otto pneumologi su 10 confermano che il Covid ha indotto un cambiamento sulla gestione e il trattamento dei pazienti con BPCO. I problemi maggiori sono: il follow up (57%); l’invio pazienti alla loro attenzione (42%); la diagnosi (28%). La maggior consapevolezza o l’apprensione ha modificato il rapporto medico-paziente per il 40% degli intervistati. Paziente che in primo luogo chiede di essere rassicurato: si sottopone a controlli più di frequenti (10%); anche attraverso la telemedicina (13%). Per 6 pneumologi su 10 le note più negative arrivano dal patient journey. A fronte di una maggiore richiesta di esami diagnostici (18%), ci sono da registrare ancora tempi di attesa lunghi (38%) e difficoltà nell’accedere alla spirometria (18%). Ed è su questo che si registrano le richieste dei malati: riduzione delle liste d’attesa (42%), ripresa di un follow-up adeguato (21%), il tema della diagnosi precoce (15%). Per gli specialisti la priorità è di aumentare il monitoraggio (35%), la spirometria prima di tutto, ma anche altri esami; ridurre i tempi di attesa per le visite (30%). Cosa fare allora? Il 79% ritiene che sia necessario strutturare una rete assistenziale con una più stretta collaborazione della sanità territoriale con quella ospedaliera. Uno pneumologo su due guarda inoltre agli strumenti digitali e ad infrastrutture per poter dare supporto e risposte adeguate ai pazienti.

Paola Trombetta

 

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