BPCO: l’impatto su pazienti, famiglie e sanità di una malattia che non si vede ma si sente

In occasione della Giornata Mondiale della BPCO del 20 novembre, sono stati presentati i risultati dello studio ASTER che segna l’importanza dei medici di Medicina generale nella gestione della patologia in Italia. La ricerca, pubblicata sull’International Journal of Chronic Obstructive Pulmonary Diseases (COPD), mette in luce la realtà nazionale, partendo da dati raccolti nella vita reale. Lo studio, condotto su 385 pazienti italiani tra 40 e 80 anni con BPCO da lieve a moderata, evidenzia due aspetti importanti: una diagnosi precoce e la rivalutazione del trattamento (anche con l’utilizzo di terapie innovative come i LABA/LAMA), migliorano la funzionalità polmonare, riducendo le riacutizzazioni e favoriscono una migliore qualità di vita. Si sottolinea, ancora una volta, la necessità di rafforzare la collaborazione tra medici di medicina generale e specialisti, favorendo percorsi diagnostico-terapeutici condivisi e una maggiore appropriatezza prescrittiva sul territorio. In Italia soffrono di BPCO circa 3,5 milioni di persone, pari al 5,6% della popolazione. Un numero probabilmente sottostimato, poiché spesso la malattia viene diagnosticata solo in occasione di ricoveri per riacutizzazioni. Secondo il rapporto HealthSearch 2023, la prevalenza clinica della BPCO è del 2,7%, più alta negli uomini rispetto alle donne (3,2% vs 2,3%). Si tratta, dunque, di una malattia “invisibile” per il sistema sanitario, pur avendo un’incidenza rilevante nel singolo e sui costi assistenziali. Le Linee Guida GOLD 2025 ricordano come la BPCO si associ frequentemente ad altre patologie croniche (cardiovascolari, metaboliche, osteoarticolari, neuropsichiatriche e oncologiche) aggravando la complessità del paziente.

Tre mosse per dare scacco matto

Di fronte a questa patologia, che non si vede ma si sente, occorre puntare su tre mosse per darle scacco matto. La prima passa attraverso la diagnosi precoce e corretta, grazie alla spirometria. La seconda prevede la terapia appropriata già nello studio del medico di medicina generale, spezzando quella discrepanza tra bisogni dei pazienti ed effettivo riconoscimento del quadro. La terza mossa punta al miglioramento della funzionalità polmonare e della qualità di vita del paziente, con riduzione della dispnea e delle riacutizzazioni.
L’obiettivo di questo approccio sul territorio non è solo ridurre il peso della malattia per il paziente e i caregiver, ma anche favorire un ottimale controllo della spesa sanitaria grazie al minore rischio di ricoveri ospedalieri legati alle recidive. La conferma dell’importanza di queste tre mosse viene dallo studio ASTER, che ha visto protagonisti i medici di Medicina Generale. La ricerca mostra appunto come, grazie a un approccio su misura da parte del medico che opera sul territorio, sia possibile influire sul benessere dei pazienti con BPCO ottimizzando i trattamenti e favorendo l’appropriatezza prescrittiva e terapeutica.

«Dalla ricerca emerge chiaramente come sia fondamentale il ruolo dei medici di medicina generale italiani nella gestione della BPCO», commenta Alessandro Rossi, Presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG). «In presenza di linee guida chiare, sul territorio è possibile trattare e monitorare efficacemente i pazienti, riducendo l’impatto della malattia e migliorando i risultati a lungo termine». In queste condizioni, l’esame spirometrico deve rappresentare la “conditio sine qua non” per la diagnosi e l’inquadramento terapeutico del paziente. Attualmente, la spirometria appare sottoutilizzata nella medicina generale e lo studio ASTER dimostra che integrarla nella pratica clinica può fare la differenza. Soprattutto molti pazienti con BPCO non ricevono trattamenti conformi alle raccomandazioni. ASTER dimostra che una gestione più strutturata può portare a un miglioramento clinico significativo. Il che vuol dire modificare i percorsi di presa in carico per ottenere una gestione ottimale della BPCO, basata sulle linee guida, in grado di offrire benefici tangibili in termini di sintomi, riacutizzazioni e qualità della vita.

Sinergia tra medico di base e specialista

Lo studio ASTER offre quindi informazioni molto concrete sull’assistenza al paziente con BPCO nella vita reale. E puntualizza quanto e come la chiave del successo della gestione della patologia dipenda dall’integrazione tra le competenze di medici di medicina generale e specialisti. «Ai primi va il compito di intercettare precocemente la patologia, per poi gestire direttamente il paziente con le forme meno impegnative ed indirizzare allo pneumologo il malato più grave, per la presa in carico specifica», segnala Claudio Micheletto, Direttore dell’UOC di Pneumologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona e anche Presidente nazionale per il biennio 2024-2025 dell’Associazione Nazionale Pneumologi Ospedalieri. «Non bisogna mai dimenticare che quattro pazienti con BPCO su dieci vengono riconosciuti solo nelle fasi avanzate della malattia e quindi l’approccio alla problematica sul territorio è basilare. Si tratta di pazienti particolari, prevalentemente fumatori, che convivono con minimi sintomi nelle fasi iniziali, come la tosse con secrezioni e la difficoltà respiratoria da sforzo. Sono abituati a conviverci, non riconoscono il lento deterioramento e non si rivolgono al Medico. Tocca a noi andare a cercarli, per tentare di farli smettere di fumare, avviarli a una diagnosi e terapia».

I pazienti, dunque, non devono essere più “invisibili”, grazie all’efficacia della coordinazione tra medico di base e specialisti. Giovanna Elisiana Carpagnano, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Pneumologia presso l’Ospedale Universitario Policlinico di Bari e Direttrice della Scuola di specializzazione in Malattie dell’apparato respiratorio dell’Università di Bari sottolinea: «Il ruolo dei medici di medicina generale nella ricerca clinica, soprattutto negli studi osservazionali di fase 4 come ASTER, è cruciale per comprendere l’efficacia dei trattamenti nella pratica quotidiana e migliorare l’approccio terapeutico. Grazie alla loro conoscenza approfondita del territorio e alla stretta connessione con i pazienti, i medici di famiglia rappresentano un punto di riferimento fondamentale per raccogliere dati reali e validare strategie che possano ottimizzare la gestione di patologie croniche come la BPCO. Solo con una maggiore collaborazione tra medicina generale e specialistica, supportata da studi clinici di questo tipo, possiamo garantire diagnosi tempestive, trattamenti appropriati e un reale miglioramento della qualità di vita dei pazienti».

di Paola Trombetta

Articoli correlati