Emicrania: una nuova terapia che blocca il dolore e previene le recidive

«Le tempie che pulsano come martelli pneumatici. Il fastidio alla luce e ai rumori. La ricerca spasmodica del buio e del silenzio totale. E l’obbligo di coricarsi. E così per giorni, settimane e mesi, senza tregua. Soffrire di emicrania è tra i disturbi più invalidanti che si possano sperimentare nella vita. E condiziona il lavoro, le relazioni sociali. Soffro di emicrania da quando avevo 4 anni (oggi ne ho 42) e questa malattia ha rubato i migliori anni della mia vita, soprattutto perché non viene gestita come si dovrebbe. Mi ha portato via l’adolescenza, che nessuno potrà restituirmi. Si prova di tutto per cercare di conviverci. Tanti farmaci sintomatici, che alla fine non risolvono il problema, ma rischiano solo di intossicare l’organismo. Come è accaduto nel mio caso: qualsiasi cosa avessi a disposizione lo utilizzavo in modo spasmodico, pur di risolvere il dolore. E questo mi ha portato a un ricovero in ospedale per otto giorni per disintossicarmi dai farmaci. A tutto ciò si aggiungono la paura, l’ansia, gli attacchi di panico… per il terrore che il dolore si ripresenti. Vivere con l’emicrania significa affrontare non solo il dolore intenso, ma anche la paura costante di avere nuovi attacchi, la fatica di spiegare una malattia invisibile e la frustrazione di non essere creduti. Significa vivere con una malattia che ruba felicità, sogni e voglia di vivere. Il peso psicologico è troppo spesso sottovalutato: ansia, senso di colpa e di impotenza, rinunce e isolamento rendono questa patologia ancora più invalidante. Alle difficoltà personali si aggiungono quelle del percorso di cura: ritardi diagnostici, scarsa consapevolezza tra gli operatori sanitari e disparità di accessi ai centri specializzati e alle terapie innovative. Rendere visibile l’emicrania significa riconoscerne l’impatto, restituire dignità, ascolto e cure tempestive. Nel mio caso, da circa cinque anni ho recuperato finalmente la mia vita: la malattia c’è, ma gli attacchi sono più lievi, più rari: posso lavorare, viaggiare e aiutare gli altri grazie alla mia esperienza del dolore. Dopo tanto peregrinare, ho avuto finalmente l’accesso alle terapie innovative con anticorpi monoclonali. Gli attacchi più rari mi permettono di lavorare. Finalmente sono in grado di guardare la malattia come una parte di me: perché è cambiato l’atteggiamento, il modo in cui la vivo».

La testimonianza di Alessandra Sorrentino, presidente dell’Associazione Alleanza Cefalalgici (Al.Ce) è significativa del disagio provato da chi da anni convive con l’emicrania, una malattia che interessa soprattutto il sesso femminile. Sei milioni le persone colpite, pari al 12% della popolazione, con una prevalenza 3 volte superiore nelle donne rispetto agli uomini. Secondo i dati del Global Burden of Disease, l’emicrania è la seconda causa al mondo di anni vissuti con disabilità (dopo la lombalgia) e la prima causa di anni vissuti con disabilità nelle giovani donne, in particolare nella fascia fertile (15-49 anni). Ogni anno il 2,5-3% dei pazienti con emicrania episodica evolve verso la forma cronica che spesso significa per la maggior parte delle persone, per più di 15 giorni al mese, dover interrompere ogni attività, rifugiandosi in una stanza buia e silenziosa per cercare di contenere il dolore pulsante, reso insopportabile da rumori, luci o odori intensi. Per conoscere più a fondo la malattia e soprattutto i nuovi approcci terapeutici, abbiamo intervistato la professoressa Cristina Tassorelli, ordinario di Neurologia presso il Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia e direttore del Centro per le Scienze delle Cefalee e la Neuroriabilitazione presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Nazionale C. Mondino di Pavia.

Professoressa Tassorelli, oggi disponiamo di una nuova arma contro l’emicrania: rimegepant. Qual è il meccanismo d’azione di questo farmaco e come cambiano l’approccio e lo scenario terapeutico rispetto ai trattamenti tradizionali finora utilizzati?
«Rimegepant blocca l’attività di un neuropeptide che si chiama “calcitonin gene-related peptide” (CGRP per gli addetti ai lavori), liberato dalle terminazioni del nervo trigemino che “sfioccano” attorno ai vasi delle meningi, i foglietti protettivi che avvolgono il nostro cervello. Il CGRP induce vasodilatazione e pulsazione dei vasi, causando la liberazione di sostanze ad azione infiammatoria e l’attivazione dei recettori che trasmettono il dolore. Il rimegepant si lega in maniera potente e selettiva ai recettori che vengono attivati dal CGRP e di fatto ne inibisce gli effetti per diverse ore».

In quali tipi di emicrania è indicato rimegepant e in quali fasce di età?
«Rimegepant ha dimostrato efficacia in soggetti che presentano da 4 a 18 attacchi di emicrania al mese. La rimborsabilità con il sistema sanitario nazionale è prevista per le persone che hanno da 8 a 14 giorni al mese di emicrania (episodica) e si associano a disabilità moderata su una scala specifica e che, in precedenza, non abbiano avuto beneficio da almeno tre trattamenti preventivi».

Quali benefici potrà portare nella gestione dell’emicrania della donna? Possiamo pensare a una riduzione dell’intensità, della durata o della ricorrenza degli attacchi, con un generale impatto sul miglioramento della qualità della vita?
«Certamente. Gli studi clinici controllati, che hanno condotto all’approvazione del farmaco, dimostrano che dimezza i giorni di emicrania mensili in quasi il 50% delle persone trattate, attenuando anche la gravità e la durata degli attacchi. Rimegepant, come gli altri farmaci che agiscono sul CGRP, funziona in entrambi i sessi e i benefici del trattamento si traducono ovviamente in una migliore qualità della vita dei pazienti. Ovviamente, essendo l’emicrania una malattia che colpisce soprattutto la donna, i maggiori benefici del suo utilizzo ricadranno proprio sul sesso femminile».

Sono già stati condotti studi clinici di efficacia e sicurezza su questo farmaco? Quali sono le principali evidenze?
«Tutti i farmaci approvati dagli enti regolatori per la convalida dei medicinali (EMA a livello europeo e AIFA a livello nazionale) devono effettuare un percorso di verifica della loro efficacia, che deve essere superiore al placebo o ad altri farmaci confronto, e della loro sicurezza. Questo è avvenuto anche per rimegepant che ha superato i test a pieni voti. Il suo utilizzo va tuttavia evitato in caso di gravidanza perché la molecola, pur avendo un profilo di sicurezza e tollerabilità ottimo, non è stata studiata in gravidanza e quindi mancano dati che confermino la sicurezza di utilizzo in questa condizione».

Quali sono gli orientamenti della ricerca: a cosa si punta per il futuro?
«La ricerca prosegue instancabilmente. Un altro peptide, il polipeptide attivante l’adenilato ciclasi ipofisario o PACAP, ha dimostrato efficacia in uno studio in fase II ed è ora in corso la sua valutazione sia con la somministrazione per via sottocutanea sia con quella endovenosa. In fasi più precoci di ricerca (studi in vitro o su modelli sperimentali) ci sono poi diversi altri target al vaglio, come i modulatori del sistema endocannabinoide, sostanze che agiscono sui recettori P2X3 e TRPV, che sono implicati nella neuroinfiammazione o nell’iperattività neuronale».

Auspicabilmente, si può sperare anche in un farmaco, testato prevalentemente al femminile o resterà ancora un bisogno insoddisfatto?
«Pur sapendo che ormoni sessuali femminili giocano un ruolo fondamentale negli attacchi di emicrania, ad oggi non abbiamo target terapeutici sesso-specifici, anche se la terapia con ormoni femminili nelle mani di un ginecologo con esperienza nella gestione dell’emicrania può contribuire a ridurre i giorni mensili di emicrania, ad esempio evitando la caduta dei livelli di ormoni ovarici che tipicamente si verifica in fase pre-mestruale e si associa in alcune donne emicraniche alla maggiore (o esclusiva) ricorrenza degli attacchi durante la mestruazione. In questo senso è importante notare che sono in corso studi che valutano l’efficacia di rimegepant nell’emicrania mestruale, caratterizzata da attacchi più lunghi, severi, disabilitanti e resistenti ai comuni sintomatici».

di Paola Trombetta

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