L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che ha stanziato un fondo dedicato allo screening gratuito dell’infezione da HCV (il virus dell’epatite C), riservato alle persone che vengono seguite dai servizi delle dipendenze, ai detenuti e alla popolazione generale nata tra il 1969 e il 1989. I dati sull’andamento dello screening fanno emergere una realtà con luci e ombre: al 30 giugno 2024, sono state testate oltre 2 milioni di persone e rilevate quasi 15 mila infezioni da epatite C. Solo il 12% della popolazione generale ha effettuato il test dell’epatite C di primo livello. Tra le Regioni che ad oggi hanno attivato lo screening la copertura più alta (40,3%) è stata riscontrata in Emilia-Romagna. Rimangono quindi ampie fasce di popolazione, soprattutto quelle più fragili o che hanno difficoltà a essere raggiunte dal servizio sanitario nazionale, o ancora quelle dove si stima una più alta prevalenza di infezione, che sono escluse dalla possibilità di essere diagnosticate.
<Un focus particolare va fatto sullo screening per l’epatite C, capace di individuare questa infezione asintomatica che dovrebbe essere curata precocemente, riducendo così le possibilità di trasmissione del virus e la progressione della malattia>, spiega Antonio Gasbarrini, Professore Ordinario di Medicina Interna della Università Cattolica e Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli IRCCS di Roma. <In Italia si stimano ancora oltre 300 mila persone infette da epatite C, asintomatiche e pertanto non diagnosticate. Uno screening allargato della popolazione generale sull’epatite C porterebbe a una riduzione in 10 anni di circa 5.600 decessi, 3.500 epatocarcinomi e/o oltre 3.000 scompensi epatici, rispetto a uno screening meno efficiente o semplicemente a una diagnosi tardiva”.
Nell’ottica di allargare lo screening e di raggiungere alcune di queste popolazioni è nato il progetto “Test in the city”, iniziativa di screening, promossa da Gilead Sciences in collaborazione con la Rete Fast Track Cities italiane e Relab, che ad oggi coinvolge 14 città ed è rivolta alle popolazioni migranti e persone che utilizzano sostanze. Grazie al progetto sono stati eseguiti finora circa 4.000 test per HIV, HCV ed HBV. Il 2,48% delle persone è risultato positivo a una o più infezioni: nel 60% dei casi avevano un’età compresa tra i 20 e i 40 anni e due terzi erano di sesso maschile. Nei casi di positività, le persone sono state accompagnate a un centro di cura per effettuare un esame più specifico e, una volta confermato l’esito, in quasi tutti i casi è stato attivato un percorso di presa in carico. <Il progetto ha consentito di validare percorsi di assistenza innovativi. È necessario collaborare con le comunità che vivono nei territori per capire quali possono essere le modalità e i luoghi più adatti per proporre lo screening. Grazie all’ efficacia dei test rapidi, oggi possiamo organizzare l’attività anche fuori dai contesti sanitari e, sempre insieme a mediatori culturali o a rappresentanti della comunità, garantire il counseling immediato e quindi favorire la presa in carico nei centri di cura di coloro che risultano positivi, abbattendo le barriere e facilitando l’accesso al sistema sanitario nazionale”, spiega Miriam Lichtner, Professore ordinario di malattie infettive dell’Università Sapienza di Roma.
P.T.