Non più “palline da flipper”, sballottate tra specialisti e un’infinità di visite prima di ricevere una diagnosi di Fibrosi Polmonare che spesso arriva dopo anni, anche tre o più dalla comparsa dei sintomi, mentre la qualità di vita si impoverisce di giorno in giorno. L’aria che non arriva, la stanchezza che aumenta fino a diventare cronica, l’affanno e la mancanza di fiato che si fanno sentire al minino sforzo fisico e anche a riposo, via via che la condizione si aggrava. «Servono diagnosi precoci, rapide e certe, screening dedicati, percorsi di cura strutturati e condivisi, l’istituzione di un Registro Nazionale che consenta una migliore conoscenza della malattia e la mappatura della sua estensione sull’intero territorio, così da ottimizzare gli interventi terapeutici, il migliore sfruttamento della telemedicina».
Sono queste le principali richieste dei pazienti affetti da fibrosi polmonare espresse dalla voce, una per tutti, di Antonella Celano, presidente APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare) in occasione dell’evento “AiR, una nuova dimensione per le Fibrosi Polmonari” che ha ospitato anche una mostra, presso l’Archivio storico della Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Policlinico di Milano Ospedale Maggiore, con la presentazione di quattro opere di giovani artisti digitali che hanno interpretato il senso di vivere con la fibrosi polmonare. Bisogni che devono essere supportati anche a livello istituzionali tramite, ad esempio, l’attivazione di reti di collaborazione nazionali e internazionali a partire dalle Regioni più virtuose, come la Lombardia. Questa regione dispone infatti di strutture di eccellenza per la cura e la ricerca in ambito di malattie rare e fra queste il Policlinico Ca’ Granda di Milano, in grado di rendere più partecipi nella definizione delle politiche sanitarie e nei Tavoli di Lavoro i pazienti che sono la “misura” sul territorio degli effettivi bisogni, raggiunti e ancora insoddisfatti. Inoltre occorre migliorare la formazione professionale a partire dai Medici di Medicina Generale, prime sentinelle del sospetto diagnostico. Non è insolito, infatti, scambiare la fibrosi polmonare per altro, a causa di sintomi molto comuni, come la tosse secca e persistente, deviando la diagnosi verso altre patologie e malattie respiratorie. Ma a fare la differenza sono alcune “segnali” specifici, primo fra tutti, uno strano “vibrato” del respiro, riconoscibile all’auscultazione, dovuto all’accumulo di tessuto cicatriziale nei polmoni, che caratterizza la malattia, e che li rende ispessiti e rigidi.
«La fibrosi polmonare – spiega Lorenzo Cavagna, Professore Associato di Reumatologia Università degli Studi di Pavia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Coordinatore Gruppo Studi MIOsiti Network (SIR.MIO.NE, SIR) – può insorgere in molti tipi di malattie polmonari interstiziali (ILD), cioè che interessano l’interstizio del polmone, la rete di tessuto simile a un laccio che sostiene le sacche d’aria nei polmoni (alveoli). Esistono più di 200 ILD, di cui alcune associate o conseguenti a una causa nota, come le malattie autoimmuni reumatiche, tra cui la sclerosi sistemica e l’artrite reumatoide, oppure generate dall’esposizione a un antigene inalato come nel caso della polmonite da ipersensibilità. Altre forme come la fibrosi polmonare idiopatica (IPF), non hanno un fattore scatenate riconosciuto».
Ci sono poi fattori più comuni che espongono allo sviluppo delle fibrosi polmonari: il fumo di sigaretta, il reflusso gastroesofageo, continue esposizioni a virus respiratori o inquinanti ambientali o in alcuni casi una componente ereditaria, da cui l’importanza in fase diagnostica di fare anche l’anamnesi familiare. Sono molte le criticità che si legano alla malattia: innanzitutto il ritardo diagnostico che rappresenta uno dei principali ostacoli alla gestione efficace e tempestiva delle fibrosi polmonari e all’avvio a cure mirate in tempi brevi, aumentando il rischio di danni irreversibili alla funzionalità polmonare; lunghe liste di attesa per accedere ad approfondimenti diagnostici e visite specialistiche; insufficiente informazione sulla patologia.
«È fondamentale strutturare percorsi di presa in carico multidisciplinare, soprattutto per pazienti che già presentano condizioni di rischio, come la sclerodermia – dichiara Paola Canziani, presidente del GILS (Gruppo Italiano per la Lotta alla Sclerodermia) – che si avvalgono della collaborazione e confronto di più esperti – il medico di medicina generale e specialisti in particolare pneumologi, reumatologi e immunologie – per arginare, o comunque rallentare il decorso delle malattia e delle sue combinazioni, quindi ridurne gli effetti più devastanti delle due malattie in atto e/o di altre comorbidità. Ecco perché il ruolo delle associazioni è strategico, in grado di informare la popolazione di pazienti e veicolare le loro necessità reali a Istituzioni, medici e a tutti gli altri attori del sistema salute».
Le persone che convivono con la fibrosi polmonare devono infatti affrontare sfide quotidiane ed emotive importanti legate alla compromissione della funzionalità d’organo: «Tra queste le difficoltà respiratorie che nelle fasi più gravi di malattia possono richiedere anche il ricorso a ossigenoterapia, l’insorgenza di ansia e depressione, scoraggiamento e frustrazione – prosegue Antonella Celano – che possono portare a isolamento sociale per l’impossibilità della persona di prendere parte a una normale attività di relazione, che impattano anche sulla salute mentale, peggiorando lo stato generale della malattia. È necessario offrire ai pazienti con fibrosi polmonare e alle loro famiglie un adeguato supporto psicologico, dal momento della comunicazione della diagnosi all’accompagnamento nella malattia poiché anche i caregiver devono affrontare lo stress emotivo della cura del paziente, le preoccupazioni finanziare per sostenere i costi della malattia, il cambiamento importante degli stili di vita per adattarsi alle esigenze della persona con fibrosi polmonare. Non ultimo va garantito anche un supporto riabilitativo per stimolare il paziente ad essere attivo e ridurre il rischio di decondizionamento e sedentarietà». Servizi non sempre “in programma”: pertanto è cruciale incentivare la rete. «Questo significa avere una stretta collaborazione tra centri di riferimento (HUB) identificati sul territorio, in cui inviare e affidare il paziente evitandogli il travel journey – precisa il dottor Claudio Calogero, consigliere FIMARP (Federazione Italiana IPF e Malattie Rare Polmonari) – centri spoke (satelliti) e territorio, quindi medici di medicina generale e specialisti, così da garantire un precorso di cura integrato, efficiente e sicuro incentrato sui bisogni reali della persona, verso cui risposte importanti possono arrivare dalla compilazione di un Registro Nazionale».
Tra le ulteriori proposte di policy messe sul tavolo per assistere meglio la patologia ci sono anche il sostegno alla ricerca scientifica: ad oggi infatti non esistono cure risolutive, sebbene i più recenti trattamenti abbiano migliorato sensibilmente le prospettive di vita dei pazienti, quindi accelerare l’accesso alle nuove terapie e favorire la continuità terapeutica e, non ultimo, adottare delle linee guida nazionali per la definizione del percorso del paziente con fibrosi polmonare finalizzato a una presa in carico multidisciplinare e multidimensionale.
La mostra-evento AiR è stata promossa da Boehringer Ingelheim, in sinergia con quattro associazioni di pazienti impegnate sul territorio nazionale: ANMAR, APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare), GILS e FIMARP.
di Francesca Morelli