Malattie del cuore nelle donne: una priorità anche in Parlamento

Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte in Italia, con circa 220 mila decessi all’anno, e di ricovero ospedaliero (quasi 673 mila dimissioni). Si tratta di malattie che riguardano persone di ogni età e genere, ma interessano specialmente le persone avanti negli anni, considerato che quasi l’80% dei pazienti ne ha più di 60, e le donne, non solo perché vivono mediamente più a lungo degli uomini, ma perché hanno segni e sintomi diversi da quelli tradizionali e in molti casi sovrapponibili a quelli di altre patologie che possono causare un ulteriore ritardo diagnostico. I sintomi si presentano dunque in maniera diversa: mentre nei primi cominciano a manifestarsi intorno ai 40 anni, in piena età lavorativa, nelle donne si presentano almeno 10 anni dopo: l’incidenza di malattia cardiovascolare è relativamente bassa prima della menopausa e aumenta dopo i 60 anni, con una accelerazione dopo i 70. Considerando l’aspettativa di vita più lunga, nelle donne quasi il 30% dei casi prevalenti totali si concentra dopo gli 80 anni, rispetto al 20% negli uomini. La ragione principale dell’esordio tardivo è dovuta al fatto che, durante l’età fertile, gli estrogeni proteggono le arterie dall’aterosclerosi, una delle prime cause di cardiopatia ischemica, ma anche di arteriopatia e dilatazione, causa di aneurisma. Questa discrepanza è legata anche a un ritardo diagnostico: i segni e i sintomi associati alle patologie cardiovascolari nelle donne spesso sono diversi da quelli più “tipici” e in molti casi sovrapponibili ad altre patologie; a ciò si aggiunge che le donne tendono a prestare meno attenzione degli uomini alla propria condizione di salute. Nelle donne inoltre sono in aumento i fattori di rischio: secondo i dati del Progetto Cuore dell’ISS relativi al biennio 2018-2019, il livello di sedentarietà è maggiore nelle donne (43%) rispetto agli uomini (33%) e anche l’aumento di peso e l’abitudine al fumo nelle donne sono in aumento rispetto agli uomini. Motivi per cui si evidenzia un incremento del tasso di mortalità proprio legato alle malattie cardio-cerebro-vascolari che rappresentano il 37,5% del totale dei decessi femminili, rispetto al 31,6% degli uomini; inoltre, il 59,8% delle morti annuali per malattie cerebrovascolari, come l’ictus, riguardano le donne.

A causa dell’allungamento dell’aspettativa di vita – nel 2050 un italiano su tre avrà più di 65 anni – la prevalenza delle malattie cardiovascolari è destinata ad aumentare e diventerà sempre più importante avere un sistema socio-sanitario e assistenziale in grado di garantire un’assistenza di prossimità, sfruttando le strutture di cura intermedie come le Case e gli Ospedali di Comunità e promuovendo, quando possibile, una presa in carico domiciliare, per questi pazienti. Per sensibilizzare le istituzioni è stato presentato in Senato l’Intergruppo Parlamentare per le Malattie cardio, cerebro e vascolari, su iniziativa della Senatrice Elena Murelli e nell’occasione è stato illustrato il Rapporto “Malattie cardio, cerebro e vascolari: una priorità della Sanità pubblica. L’importanza e l’urgenza di avere un Piano Nazionale”, redatto dal Gruppo di Lavoro di Meridiano Cardio, piattaforma di The European House – Ambrosetti sulle Malattie cardio, cerebro e vascolari, sostenuta da Amgen, Edwards Lifesciences, Alliance BMS-Pfizer e W.L. Gore & Associati. «Le malattie cardio, cerebro-vascolari sono state per troppo tempo ai margini dell’agenda della sanità», ha affermato la Senatrice Elena Murelli, Componente della Commissione Affari Sociali, Sanità, Lavoro pubblico e privato e Previdenza sociale e Promotore dell’Intergruppo parlamentare sulle Malattie cardio, cerebro e vascolari. «Perciò, anche in questa legislatura, il Parlamento intende fare la sua parte, continuando il percorso avviato dall’Onorevole Boldi e dagli altri colleghi del precedente Intergruppo. Il nostro primo impegno sarà la richiesta di istituire un Tavolo di lavoro ministeriale, aperto alle più importanti società scientifiche, alle associazioni di pazienti e agli esperti del settore, per elaborare un Piano Nazionale, anche guardando gli esempi di altri Paesi europei, come la Spagna, in cui il paziente viene preso in carico da una struttura ospedaliera del territorio, dalla diagnosi della patologia cardiaca fino alle dimissioni e all’assistenza domiciliare successiva».

L’importanza di garantire un’assistenza continuativa in un’unica struttura ospedaliera viene ribadita dal Rapporto di Meridiano Cardio che dal 2020 collabora con l’Intergruppo Parlamentare. «Alla luce del contesto demografico ed epidemiologico di riferimento, diventa ancora più urgente agire su alcuni ambiti prioritari per migliorare la presa in carico dei pazienti, sensibilizzando tutte le figure correlate: stakeholder, società scientifiche, associazioni di malati», puntualizza Daniela Bianco, responsabile Area Healthcare di The European House – Ambrosetti. «Nel documento elaborato abbiamo individuato 6 ambiti prioritari: Prevenzione primaria e secondaria e diagnosi precoce; Accesso all’innovazione, sia diagnostica che terapeutica; Aderenza terapeutica; Telemedicina e altri strumenti di sanità digitale; Continuità di cura tra i setting assistenziali; Coinvolgimento dei pazienti. Per ognuno di questi settori è stato individuato un obiettivo e una serie di azioni concrete da realizzare. La proposta che stiamo portando avanti è di avviare un Piano di gestione per queste patologie, da portare avanti a livello istituzionale, come già esistono Piani per le patologie oncologiche, per le Malattie Rare, per la Salute mentale. In questo contesto, la prevenzione rappresenta un elemento imprescindibile per contenere la diffusione di tutte le patologie croniche, in particolare delle patologie cardio, cerebro e vascolari: un’efficace attività di prevenzione potrebbe evitare più di tre morti su 4». Tuttavia, dall’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità, il 98% degli italiani è esposto ad almeno un fattore di rischio cardiovascolare, mentre il 41% presenta 3 di questi fattori.

«Promuovere stili di vita sani che possono modificare i fattori di rischio come fumo, alcol, inattività fisica e scorretta alimentazione, anche ricorrendo a strumenti poco usati come la Carta per la valutazione del rischio cardiovascolare, è fondamentale», afferma Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC (Società Italiana di Cardiologia)Responsabile PI di Cardiomiopatie ed ipertensione polmonare, AOU Federico II. «A differenza delle malattie oncologiche, quelle cardiovascolari sono “prevenibili”, e insegnare comportamenti corretti può veramente salvare delle vite. A volte però la prevenzione primaria non basta, perché molte persone sviluppano queste patologie per predisposizione genetica, fattori congeniti o come conseguenza di altre condizioni come diabete e ipertensione, per cui diventa altrettanto fondamentale la prevenzione secondaria e terziaria, che implica screening per i soggetti a rischio, monitoraggio continuo delle condizioni cliniche e riabilitazione cardiologica. È per questo che la SIC insieme alla FIMMG, SIMG e FOFI ha promosso una campagna educazionale sulla prevenzione cardiovascolare rivolta a cittadini e medici con un sito (www.iltuocolesterolo.it ed una app CardioRisk) che conta sulla alleanza con i medici di medicina generale e i farmacisti per diffondere la cultura della prevenzione».

La riduzione dei fattori di rischio cardiovascolari e il miglioramento degli outcome di salute dipende anche dall’aderenza terapeutica e dalla disponibilità di terapie farmacologiche e tecnologie all’avanguardia: l’accesso a farmaci e tecnologie innovative, più sicure e meno invasive per i pazienti, rappresenta una priorità sia in fase di prevenzione secondaria che di trattamento. «Nonostante nuove terapie, tecnologie e strategie interventistiche innovative abbiano consentito di ridurre la mortalità del 64% negli ultimi 40 anni, in Italia si evidenziano ancora gravi ritardi nell’accesso all’innovazione, legati al costo della singola terapia o tecnologia piuttosto che al valore del prodotto sull’intero percorso di cura», rileva Giovanni Esposito, Presidente GISE (Società Italiana di Cardiologia Interventistica) e Direttore UOC di Cardiologia, Emodinamica, UTIC, AOU Federico II. «Per ridurre questi ritardi, si può promuovere la prescrivibilità di alcuni farmaci in ambito ambulatoriale, come ha fatto la Campania con gli inibitori PCSK9i per il controllo dell’ipercolesterolemia, o prevedere un fondo per l’accesso alle tecnologie sanitarie innovative, sul modello di quello esistente per i farmaci, da estendere anche a quelli biologici e per le procedure interventistiche, che sono ancora sottoutilizzate rispetto ai principali Paesi europei».

Anche Gaetano Lanza, Presidente SICVE (Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare) e Direttore UO di Chirurgia Vascolare presso l’Ospedale MultiMedica di Castellanza, ha sottolineato l’importanza dell’innovazione tecnologica. «La chirurgia vascolare ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni e gran parte dei trattamenti delle malattie arteriose, e anche venose, sono oggi eseguiti con tecniche mininvasive, dette endovascolari, che comportano vantaggi per il paziente e per il sistema in termini di minor durata degli interventi, della degenza e del recupero postoperatorio. Ma la mancanza di un sistema di codifica DRG adeguato e specifico rende complicato far rientrare i costi delle endoprotesi, superiori a quelli della chirurgia tradizionale. La revisione dei DRG nazionali, come hanno iniziato a fare alcune Regioni, tra cui la Lombardia, non è più prorogabile». Sempre nell’ottica di garantire una gestione ottimale dei pazienti cardio, cerebro e vascolari, è necessario rivedere il rapporto tra ospedale e territorio, dotare il sistema di risorse umane, infrastrutturali e tecnologiche adeguate ai bisogni di salute e rendere i servizi socio-sanitari sempre più integrati e prossimi al cittadino.

«I dati pubblicati da AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) evidenziano come, mentre negli anni il tasso di mortalità a 30 giorni per infarto acuto e ictus si è ridotto significativamente, a testimonianza di una buona capacità di gestione dell’emergenza, la mortalità a un anno diminuisce più lentamente, evidenziando persistenti criticità nella presa in carico sul territorio», fa notare Fabrizio Oliva, Presidente designato ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri) e Direttore della SC Cardiologia 1, Emodinamica presso l’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano. «Per garantire una migliore continuità assistenziale dobbiamo istituire o rafforzare Reti e percorsi non solo tra sistemi ospedalieri e distrettuali, ma anche all’interno delle singole strutture, tenendo conto delle opportunità offerte dal PNRR in tema di prossimità delle cure e digitalizzazione e del Decreto Ministeriale 77/2022 che riforma l’assistenza territoriale».

Anche i risultati delle Reti di emergenza cardiologica evidenziano gli attuali limiti nella continuità assistenziale: a fronte di differenze significative nella dotazione tecnologica e di personale delle strutture e nell’adempimento ad autorizzazioni e accreditamenti, le Regioni hanno già buona parte dei requisiti di base e operativi, ma i dati di esito sono più bassi e definiscono un evidente divario Nord-Sud. «Con le nuove proposte di indicatori del Gruppo di lavoro AGENAS sulle reti delle emergenze cardiologiche, si intende sfruttare la Rete dell’urgenza cardiologica per migliorare i risultati meno incoraggianti della fase post-acuto», sottolinea Giuseppe Musumeci, Direttore SC Cardiologia, AO Ordine Mauriziano di Torino. «I nuovi indicatori saranno importantissimi anche nella valutazione, sia a livello locale che regionale, dell’efficacia e dell’appropriatezza delle misure implementate col Piano, che rappresenta a oggi un’esigenza per garantire la sostenibilità socio-sanitaria ed economica del Sistema».

di Paola Trombetta

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