Vitiligine: cosa c’è da sapere su quelle macchie bianche

Una macchia o aree bianche, più o meno estese, su differenti parti del corpo, che contrastano con il colorito roseo o bruno se la pelle è abbronzata. È la vitiligine, una malattia che rappresenta ancora uno stigma: ne è temuta la contagiosità, e non lo è affatto, non è tutelata dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN) non essendo ritenuta invalidante. Ha invece un forte impatto psico-emotivo, sociale e relazionale. Insomma, la vitiligine è “costosa” dal punto di vista economico, per la spesa diretta e indiretta, e a livello personale. «Si tratta di una patologia infiammatoria cronica recidivante – spiega Mauro Pigato, Professore UniCamillus International University di Roma e coordinatore della Task Force europea sulla vitiligine – in cui il sistema immunitario attacca le cellule, i melanociti, che producono il pigmento che colora la pelle. Ciò significa che la vitiligine può accompagnarsi ad altre patologie autoimmuni, come la tiroidite, presente nel 25-40% di pazienti con vitiligine, il diabete su base autoimmune, la psoriasi, l’artrite reumatoide, la malattia di Addison, una patologia delle ghiandole surrenali, che può riattivarsi sotto l’impulso di diversi fattori: meccanici, fisici, termici, traumatici, come una caduta dalla bicicletta che facilmente lascerà, in un soggetto con malattia, una macchia bianca sulla cute. Oppure può essere scatenata da fattori psicologici, quali lo stress o un periodo di particolare tensione. Tutti questi eventi causano l’aumento di catecolamine, molecole come l’adrenalina prodotte dalla pelle stessa che, se presenti in eccesso, possono danneggiare i melanociti, generando un processo infiammatorio che richiama le cellule immunitarie e lo sviluppo di autoimmunità». La vitiligine ha una componente genetica e familiarità nel 30-40% dei casi, ma non è ereditaria: si può però trasmettere la predisposizione al suo sviluppo.

«Va spiegato al paziente – aggiunge Pigato – che la macchia bianca sulla cute è il risultato della patologia, la malattia “vera” è la distruzione delle cellule con pigmento che causano la macchia bianca». Nel mondo si stima un’incidenza generale tra 0,5 e 2%, di cui 50% sotto i 20 anni; in Italia non ci sono attualmente dati certi, in attesa di quelli che potranno essere forniti dalla Società Italiana di Dermatologia (SIDeMaST) che sta mettendo a punto un registro sulla vitiligine per calcolare quante persone sono affette, consentire loro l’accesso a nuovi farmaci, ma anche favorire un miglior rapporto medico/dermatologo e paziente che si traduce nella migliore aderenza terapeutica. La terapia oggi ha ancora alcune criticità: non esiste un trattamento specifico per la vitiligine, ma si ricorre a terapie mutuate da altre problematiche cutanee, ad esempio la dermatite atopica o la psoriasi. «La terapia più indicata è la fototerapia – prosegue il professore – cioè l’irraggiamento della cute con raggi UVB a banda stretta, che riattiva i melanociti a produrre melanina, svolgendo un’azione anche antinfiammatoria, eventualmente abbinata ad alcuni farmaci, come il cortisone topico o sistemico. Non sempre, tuttavia, la risposta è così efficace o uguale da paziente a paziente; molto dipende dall’età della persona, ovvero dall’efficienza del sistema immunitario più attivo nei giovani rispetto ai senior, e dalla sede della lesione: viso e tronco sono più facilmente trattabili delle mani maggiormente esposte al sole, o dall’età della lesione».

Grazie alla ricerca qualcosa sta cambiando. In America è stata approvata ed è già in uso la prima terapia specifica per la vitiligine, che dovrebbe essere disponibile in Italia entro il 2023.

«Si tratta di una piccola molecola – precisa Pigato – che agisce inibendo la via di segnalazione delle Janus chinasi (JAK), particolarmente sovraespressa in pazienti con vitiligine. Blocca cioè il meccanismo d’azione alla base, attivando una serie di citochine e di processi antinfiammatori contro i cheratinociti stessi, responsabili in buona parte della distruzione dei melanociti e dunque dell’insorgenza delle macchie bianche. Studi a due anni in pazienti in terapia mostrano un miglioramento della condizione clinica, progressiva e funzionale alla continuità del trattamento: tanto più a lungo si prosegue la terapia, quanto migliori saranno i risultati, più evidenti se la terapia viene avviata in fase precoce di malattia». La tempestività della diagnosi e della cura fanno la differenza: dunque alla comparsa della prima lesione bianca sospetta è bene rivolgersi direttamente al dermatologo, lo specialista della vitiligine, con un sensibile guadagno in qualità della vita e in costi gestionali della malattia, che sono elevati.

Lo Studio VALIANT, ad esempio, ha messo in luce importanti risvolti psicologici della malattia. «In 3 pazienti su 5 – dichiara Francesco Saverio Mennini, Research Director, Economic Evalutation and HTA, CEIS, Università degli Studi “Tor Vergata”, Roma – la vitiligine incide sull’autostima: 9 pazienti su 10 subiscono lo stigma e 1 su 4 sviluppa ansia e depressione, possibili disturbi dell’alimentazione o anche disturbi mentali più gravi». Anche la spesa economica è impattante, come attesta un altro studio di Real Word che ha calcolato i costi dell’assistenza ospedaliera, farmaceutica e specialistica ambulatoriale, nel periodo 2014-2018, nella ASL 2 in Regione Umbria, facendo rilevare una variabilità da 1.600 euro annui, dove il ricovero ospedaliero rappresenta il 50% della spesa, fino a 5 mila euro in pazienti anziani o con altre comorbidità presenti. «È importante che anche i decisori conoscano i costi della vitiligine a carico del SSN, compresi quelli indiretti, quali la perdita di produttività della persona che ne è affetta – commenta Mennini – per definire una corretta pianificazione e programmazione per il trattamento della vitiligine, anche nell’ottica di un Livello Essenziale di Assistenza, specifico per patologia e dei nuovi farmaci in arrivo. Occorre investire oggi per non spendere domani, con una continuità assistenziale importante». Anche le Associazioni pazienti possono contribuire a migliorare l’approccio alla malattia: «Fondamentale – conclude Ugo Viola, Presidente dell’Associazione nazionale Amici per la Pelle, Onlus (ANAP) – è che il paziente si rivolga quanto prima al dermatologo, a cui spesso giunge dopo aver consultato il medico di medicina generale. Come Associazione siamo impegnati affinché ogni paziente possa trovare un percorso all’interno del SSN soprattutto perché non tutte le regioni offrono uguale accesso a terapie innovative, e la stessa fototerapia è penalizzata con un rimborso di soli 80-90 euro a seduta. All’interno della regione ci sono territori che soffrono della carenza di strutture o specialisti che somministrano cure adeguate. Una scelta che ha esclusivamente ragioni economiche». Sulla “pelle” della persona e del sistema Paese.

di Francesca Morelli

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