Vitamina D: quando ricorrere agli integratori

In estate l’esposizione al sole favorisce la produzione di Vitamina D e possiamo così fare il pieno per tutto l’anno. Ma spesso, l’uso eccessivo di creme solari può ridurne l’assorbimento. E allora ci ritroveremo in autunno con bassi livelli di vitamina D. E si dovrà perciò ricorrere agli integratori. Quando in realtà sono necessari? È stato da poco pubblicato su Nutrients un documento di consenso per il corretto approccio nei confronti del trattamento del deficit da Vitamina D, messo a punto da un gruppo di esperti AME, Associazione Medici Endocrinologi. «La Vitamina D svolge funzioni importanti per la salute delle ossa aiutando l’organismo ad assorbire il calcio, uno dei principali costituenti del nostro scheletro e prevenendo l’insorgenza di malattie ossee, come l’osteoporosi o il rachitismo», conferma Vincenzo Toscano, presidente AME. «L’eventuale carenza di questa vitamina viene valutata attraverso un dosaggio nel sangue: carenza <10 ng/mL; insufficienza: 10 – 30 ng/mL; sufficienza: 30 – 100 ng/mL; tossicità: >100 ng/mL». «I parametri attualmente adottati prevedono che i soggetti con un valore inferiore a 30 ng/dl possano essere dichiarati affetti da insufficienza di Vitamina D», puntualizza Roberto Cesareo, endocrinologo all’Ospedale S.M. Goretti di Latina e primo firmatario del lavoro. «A nostro avviso, questo limite andrebbe rivalutato in quanto troppo alto, soprattutto in assenza di forti evidenze scientifiche. L’adozione di tali livelli costituisce uno dei motivi per cui si finisce per dichiarare “carenti di Vitamina D” tanti soggetti che in realtà non lo sono. Nella Consensus abbiamo ritenuto opportuno definire ridotti i valori di Vitamina D quando sono al di sotto di 20 ng/dl. Sembra apparentemente una banalità, ma una buona parte dei soggetti dichiarati “carenti di Vitamina D” cadono proprio in questa forbice che va tra i 20 ed i 30 ng/dl comportando così una incongrua prescrizione di tale molecola. Al contrario, soggetti osteoporotici o pazienti che assumono farmaci per l’osteoporosi, sono significativamente più a rischio di carenza di vitamina D ed è quindi corretto che abbiano valori di Vitamina D superiori al limite di 30 ng/dl e quindi devono essere trattati. Abbiamo anche cercato di chiarire che, nonostante ci siano dati incontrovertibili che associano la carenza di Vitamina D ad altre malattie, come il diabete, alcune sindromi neurologiche e alcuni tipi di tumori, non sappiamo quali siano i dosaggi corretti di Vitamina D, utili per ridurre l’incidenza di queste patologie correlate. Riteniamo che sia giusto riportare questo dato in quanto far passare il messaggio che la Vitamina D sia l’elisir di lunga vita, oltre che scorretto, rischia di essere oggetto di iper-prescrizione, con il rischio di assumere questa molecola senza reali benefici».
«Va comunque ricordato che la prevenzione dell’ipovitaminosi D passa anche attraverso uno stile di vita corretto, cioè un’adeguata esposizione alla luce del sole e una dieta bilanciata», aggiunge Fabio Vescini, del Dipartimento di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Azienda Ospedaliero-Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine. «Con l’avanzare dell’età però l’efficienza dei meccanismi biosintetici cutanei tende a ridursi e perciò è più difficile per le persone anziane produrre adeguate quantità di Vitamina D con l’esposizione alla luce solare. Quindi, nei pazienti con osteomalacia o osteoporosi, negli anziani soprattutto quelli più esposti alle cadute, nei soggetti che non possono esporsi in maniera adeguata alla luce solare, il trattamento con l’integrazione di Vitamina D deve essere preso in considerazione. Una valida alternativa potrebbero essere le politiche di “fortificazione” dei cibi con Vitamina D, come avviene nei paesi dell’area scandinava, dove la radiazione solare è naturalmente meno ricca di raggi UVB. Anche nel nostro paese “definito il paese del sole”, comunque per lunghi periodi dell’anno (autunno-inverno) il sole non contiene una radiazione UVB sufficiente a far produrre Vitamina D nella cute. E paradossalmente ciò si può verificare anche in estate, in quanto l’opportuna applicazione di creme con filtri solari riduce la penetrazione dei raggi nella cute e la conseguente sintesi di Vitamina D. Un valore basso rilevato in autunno potrebbe essere il segno che le scorte di questa vitamina non sono state colmate nell’estate appena trascorsa ed è probabile che in primavera questo paziente abbia un’ipovitaminosi D».
Da notare poi che le molecole di Vitamina D non sono tutte uguali. «La forma inattiva, quella di più comune utilizzo, è il colecalciferolo», spiega il dottor Cesareo. «Questa molecola, prescritta in gocce o flaconcini da assumere giornalmente o una volta a settimana o a più lunga scadenza (mensile o anche bimensile), viene attivata in sede prima epatica e poi renale, per dare i suoi effetti finalizzati al corretto assorbimento di calcio a livello intestinale e al controllo del metabolismo fosfo-calcico nelle ossa. Trova la sua indicazione nei soggetti affetti da osteoporosi, che assumono farmaci per la cura di tale patologia. Ma esistono altre molecole che sono già parzialmente o del tutto attive. Tra queste merita attenzione il calcifediolo, che non necessita di essere attivato a livello epatico e, per le sue caratteristiche molecolari, è meno “liposolubile” cioè permane meno nel tessuto adiposo: è particolarmente indicato nei soggetti con insufficienza renale o che sono carenti dell’ormone paratiroideo. Il ridotto utilizzo nel paziente con semplice carenza di Vitamina D è dettato dal fatto che, rispetto al colecalciferolo, questa molecola espone il paziente a un maggior rischio di ipercalcemia e di aumentati livelli di calcio nelle urine. Entrambe queste molecole non danno, se prescritte a dosi corrette, problemi come alterazione dei livelli del calcio nel sangue o nelle urine. Il calcifediolo può trovare motivo di maggior utilizzo nei pazienti che hanno patologie epatiche di un certo rilievo e anche nei soggetti obesi e carenti di Vitamina D, in coloro che hanno problemi di malassorbimento intestinale».

Per maggiori approfondimenti: Nutrients 2018, 10, 546; doi:10.3390/nu10050546 – www.mdpi.com/journal/nutrients

di Paola Trombetta

Articoli correlati