Orticaria cronica: diagnosi difficile, ma oggi c’è la cura

Paola oggi ha 54 anni, ma quando sono comparsi i primi segni dell’orticaria, malattia con la quale convive da 10 anni, ne aveva solo 44. Pomfi ed edemi quotidiani del volto, accompagnati da prurito, sono stati i primi segnali, che hanno influenzato pesantemente la sua vita, anche affettiva. E dopo un continuo peregrinare tra medici, specialisti di vario genere, finalmente l’approdo al Servizio di Allergologia della Clinica Dermatologica di Modena, dove, in seguito a una visita e ad alcuni esami e test clinici, è arrivato il verdetto: orticaria cronica spontanea. Per anni è stata in cura con antistaminici e cortisonici, che hanno fatto regredire temporaneamente la malattia. Finché, qualche anno fa, dopo la morte del cane a cui Emilia era particolarmente legata, ecco la ricomparsa dei sintomi in forma grave. Il caso di Emilia è simile a quello di circa 480mila persone che in Italia soffrono di orticaria grave, una malattia che prevale nelle donne, con un’incidenza doppia rispetto agli uomini e colpisce soprattutto la fascia d’età tra 20 e 40 anni. Per conoscere meglio questa malattia, e conoscere un’importante novità terapeutica –  i farmaci biologici –  abbiamo intervistato la dottoressa Patrizia Pepe, docente a contratto presso la Scuola di specializzazione in Dermatologia e in Allergologia e Immunologia Clinica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.

L’orticaria cronica spontanea ha una diagnosi difficile. Quali sono i campanelli d’allarme, se ce ne sono? E a chi è opportuno rivolgersi?
«L’orticaria può comparire all’improvviso, senza segnali d’allarme, magari dopo una malattia da raffreddamento, una virosi, con eruzioni cutanee (pomfi), magari con gonfiori in alcune parti del corpo (occhi, labbra, mani, piedi) e prurito, tali da impedire a volte anche il sonno. Quasi sempre ci si rivolge in prima battuta al medico di medicina generale o, se l’orticaria ha una manifestazione particolarmente grave, si va al Pronto Soccorso. Nell’uno e nell’altro caso non sempre viene riconosciuta subito la vera natura dell’orticaria che, nella maggior parte dei casi, è di origine auto-immune/auto-allergica, con un’eziologia ancora non completamente nota. Bisogna infatti ricordare che ogni orticaria inizia con una fase acuta; tuttavia quando le manifestazioni cutanee perdurano per più di sei settimane (limite che distingue la forma cronica da quella acuta), siamo di fronte a un’orticaria cronica che può durare anche mesi fino a decine di anni. Non sempre però viene diagnosticata come tale. Spesso, dopo il medico di famiglia, e dopo innumerevoli accessi al PS, ci si rivolge a più specialisti senza una diagnosi definitiva ma soprattutto senza terapie efficaci, tanto che il labirinto diagnostico si complica e il paziente si rivolge al reumatologo, allo pneumologo, al dietologo, all’omeopata… Molti pazienti, disillusi, smettono di cercare aiuto, mettendo in atto rimedi “fai da te” e solo una parte approda finalmente a un centro specializzato».

Qual è il percorso diagnostico corretto?
«Il primo accesso è dal medico di famiglia, che dovrebbe prescrivere un antistaminico di seconda generazione. Se non si riesce a controllare il problema, perché si ripresentano manifestazioni cutanee, è corretto, se queste sono molto diffuse e accompagnate da angioedema, suggerire l’accesso al Pronto Soccorso, dove il paziente dovrebbe venire trattato e tranquillizzato, in particolare essere informato del fatto che non si tratta di una reazione allergica acuta. Se le manifestazioni perdurano oltre le sei settimane, il paziente va indirizzato a un centro dermoallergologico di riferimento, in cui è possibile anche approfondire la diagnosi differenziale tra l’orticaria cronica nella sua forma spontanea, o nelle sue forme inducibili, come l’orticaria ritardata, quella da freddo o da calore, quella solare, o ancora quella colinergica, riconoscibili grazie a test fisici specifici».

Quali test si utilizzano per avere la diagnosi di orticaria cronica spontanea?
«Dapprima sono sufficienti i test di routine: un esame emocromocitometrico completo, la determinazione degli indici di infiammazione, come il dosaggio della proteina C reattiva (PCR) e la velocità di eritrosedimentazione (VES), e valutazione della triptasi sierica per escludere la presenza di malattie sistemiche come la mastocitosi. In alcuni casi, in base all’anamnesi e alle caratteristiche cliniche, si può ricorrere ad altri test più approfonditi, come il test di funzionalità tiroidea, il dosaggio di autoanticorpi o agli screening per malattie infettive e altre indagini fino alla biopsia cutanea, nel caso di sospetta vasculite. I test allergologici possono essere utili per escludere allergie rilevanti. Una volta escluse altre malattie immunologiche, vanno escluse anche le cause fisiche, dopo esecuzione di test specifici, e solo allora si può parlare di orticaria cronica spontanea».

Esistono particolari accorgimenti, magari negli stili di vita o nella dieta, che si devono seguire?
«Tra i fattori che potrebbero aggravare l’orticaria ci sono sicuramente lo stress e l’ansia. È dimostrato che l’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei, molto utilizzati per i dolori articolari e dai cefalalgici, possono indurre una riacutizzazione dei sintomi nel 20-30% dei pazienti. Un altro fattore da considerare è la dieta. Sembra infatti essere indicata una dieta a basso contenuto di pseudo-allergeni, come additivi (coloranti e conservanti) e di alimenti ricchi di istamina (formaggi stagionati o fermentati, albume d’uovo, cacao/cioccolato, pesce conservato, come tonno, sardine, acciughe, aringhe, salmone, crostacei e frutti di mare), ma solo per un periodo limitato a poche settimane; fondamentalmente, la dieta non modifica il decorso della malattia».

Alla diagnosi, si evidenziano reazioni differenti della donna rispetto all’uomo?
«Le donne sono sicuramente più traumatizzate soprattutto quando le manifestazioni cliniche sconvolgono i tratti del volto con segni anti-estetici, che insorgono spontaneamente durante le ore notturne o nella prima mattina, accompagnati da intenso prurito, talvolta con angioedema, quindi rigonfiamento di alcune parti molli del corpo come il labbro, l’occhio, i genitali, le mani o i piedi. L’orticaria quando è acuta, ha una storia naturale di pochi giorni fino a poche settimane; oltre le 6 settimane si parla di orticaria cronica. Mentre gli uomini in genere affrontano più razionalmente la malattia e sono disponibili a seguire qualunque tipo di cura, le donne hanno un atteggiamento a volte più critico, ansioso e di  sconforto, soprattutto se non vedono subito i risultati. Sono spesso le donne ad abbandonare le terapie o a seguirle in modo saltuario, in quanto non accettano di non poter attribuire una causa alle loro manifestazioni. È stato il caso della signora Paola che continua da 10 anni a curarsi con diversi antistaminici e preferisce utilizzare il cortisone in modo inappropriato, piuttosto che provare la terapia con il farmaco biologico che potrebbe invece dare una svolta  alla  sua pessima qualità di vita e alla sua malattia; tuttavia questo è un caso limite, perché, al contrario, la maggior parte delle pazienti affronta con coraggio la malattia e si affida con fiducia agli specialisti e alle nuove terapie, anzi, la mia prima prescrizione del nuovo farmaco biologico è stata proprio a una  giovane signora di 40 anni».

I farmaci biologici sono dunque una novità terapeutica? Come funzionano?
«Si tratta di farmaci innovativi e, per l’orticaria, di omalizumab da aggiungere alla terapia antistaminica per controllare pomfi, angioedema e prurito. In Italia le indicazioni dell’AIFA autorizzano la somministrazione di questo farmaco biologico quando la terapia antistaminica a dosaggio standard, non funziona. Il farmaco viene somministrato sottocute esclusivamente nei centri specializzati. Dagli studi registrativi si è dimostrato un buon controllo della malattia nella maggior parte dei casi. È prevista la somministrazione del farmaco, al dosaggio di 300 mg, una volta al mese per sei mesi. Alla fine di questo ciclo, deve essere sospeso per due mesi. In caso di ricomparsa dei sintomi, il farmaco può essere utilizzato per un secondo ciclo questa volta di soli 5 mesi. Questi limiti nell’uso ci limitano molto nel percorso terapeutico: è auspicabile che il tempo di utilizzo di omalizumab venga prolungato, anche grazie al suo ottimo profilo di sicurezza: alcuni studi internazionali, infatti, hanno dimostrato che, assunto fino a due anni di seguito, è in grado di mantenere i benefici nel tempo e di mandare in remissione la malattia in una maggiore percentuale di pazienti, rispetto ai periodi più brevi di terapia».

Esistono centri di riferimento per la cura di questa patologia?
«Attualmente in Italia non esiste una selezione di centri dedicati, a differenza di quanto avviene ad esempio in Germania. Tutte le cliniche dermatologiche e i centri allergologici legati a strutture ospedaliere universitarie sono, comunque, in grado di inquadrare e gestire la malattia. La corretta diagnosi posta in un centro di riferimento, costantemente aggiornato sulle procedure diagnostiche e le terapie, permette di avviare una cura mirata con benefici significativi sulla qualità di vita».

di Paola Trombetta

Articoli correlati