PAOLA GUGLIELMELLI STUDIA IL SANGUE, ANCHE GRAZIE AD AIRC

A volte il destino professionale è scritto “nel sangue”, nel Dna, e lo si conosce inconsapevolmente fin da bambini. Come è avvenuto a Paola Guglielmelli, ematologa, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Firenze, che ha deciso la sua strada sui banchi di scuola, motivata dal continuo desiderio di una riposta a tanti perché e, ancora prima, da un’esperienza personale che l’aveva colpita nell’infanzia: la prematura scomparsa di una persona amica per una forma di leucemia acuta. «Avevo 10 anni – racconta – ed è stato il mio primo contatto con la morte legata a una malattia, era incomprensibile per me. Solo nel tempo ho realizzato quanto l’evento mi avesse colpita…». Oggi Paola, dopo un percorso di studi in Italia e perfezionamenti all’estero, conduce ricerche e studi sul sangue, grazie anche a una borsa di studio dell’AIRC (Associazione Italiana Ricerca sul Cancro), dedicandosi in particolare a un progetto sulle neoplasie mieloproliferative. La sua giornata è impegnativa: comincia alle 8.30 del mattino con un caffè caldo insieme ai colleghi e al suo mentore, il professor Vannucchi, e prosegue tra visite ai pazienti, analisi e ricerche in laboratorio, riunioni programmatiche fino alle 20.30 di sera. Ma non è escluso che il lavoro continui poi anche casa, dopo cena, nel silenzio della propria stanza, studiando o preparandosi a una nuova giornata, altrettanto intesa, l’indomani. «Non farei nessun altro lavoro – confessa – pur sentendomi investita da grande responsabilità verso AIRC e verso i pazienti, ai quali dobbiamo prestare le nostre cure e, se possibile, il giusto conforto».

Perché alcune malattie del sangue, come le leucemie mieloproliferative, sono “difficili”, talvolta rare, e complesse da trattare. «I tumori del sangue – spiega la dottoressa – hanno un decorso più o meno cronico, ma possono anche evolvere in leucemia acuta in modo improvviso. Sono forme di tumori per le quali, al momento, l’unica terapia efficace è il trapianto di midollo osseo, non sempre attuabile. Sono infatti candidati pazienti giovani con uno stadio di malattia relativamente avanzato, mentre la possibilità è limitata o esclusa nell’adulto, dove invece la malattia si presenta con maggiore frequenza, soprattutto dopo i 60 anni». In età avanzata, invece, la malattia è solo controllabile (ma non curabile) con qualche terapia specifica o di supporto, soprattutto in caso di anemia importante che richiede trasfusioni.

Niente o scarse terapie, dunque: questo è uno dei motivi per cui la ricerca oggi punta a scoprire nuovi marcatori molecolari, cioè mutazioni del DNA o indizi che suggeriscano l’insorgere o l’evoluzione della malattia, su cui poi studiare terapie bersaglio. «Nell’ultimo decennio – spiega la Guglielmelli – sono state identificate nuove mutazioni, alcune delle quali con ruolo predittivo, capaci cioè di evidenziare un rischio più elevato che la malattia evolva da leucemia in leucemia acuta. Queste mutazioni ci potranno aiutare a sviluppare strumenti per arrivare a diagnosi più precoci, evitando che i pazienti giungano alla nostra osservazione con una leucemia già avanzata».
Tra le mutazioni scoperte più di recente vi è quella legata al gene CALR. «Abbiamo contribuito a identificarla – continua la dottoressa – insieme con un gruppo di Cambridge e ora stiamo cercando di caratterizzare la funzione di questa mutazione e i suoi effetti sulla malattia. Sappiamo che produce una particolare proteina contro cui stiamo provando a sviluppare degli anticorpi monoclonali. Ma non solo, arrivare a comprendere l’azione e i meccanismi che regolano il funzionamento di questa proteina mutata fornirà informazioni indispensabili per l’identificazione di nuovi possibili bersagli terapeutici». Ovvero nuove cure farmacologiche o immunologiche. Ma è solo uno dei tanti passi che la ricerca spera di raggiungere: «Niente di tutto quello che abbiamo fatto e del nostro lavoro quotidiano – prosegue la ricercatrice – sarebbe stato possibile senza il supporto di AIRC e ci incentiva a non accontentarci di un primo obiettivo: ce ne poniamo già uno successivo perché il desiderio è andare continuamente avanti e non fermarsi».

E alla ricerca Paola pensa anche nel suo tempo libero, quando si dedica ai suoi hobby preferiti, come la fotografia: «Ad essa mi lega il desiderio di voler fermare un momento che mi ha lasciato qualcosa, di catturare ciò che potrebbe passare inosservato. È lo stesso principio che conduce lo studio del DNA che talvolta richiede di andare a cercare qualche cosa che c’è, ma che non è facilmente visibile o non lo è agli altri. Amo però anche il cinema, vedere soprattutto film con amici esperti in vecchi cinema d’essai, e la musica di vario genere, compagna inseparabile anche durante il lavoro, purché sia di alta qualità, sebbene il mio hobby preferito sia viaggiare. Una straordinaria occasione per conoscere le differenze culturali e di godere della natura che mi circonda, con la possibilità di dilettarmi in compagnia della mia inseparabile macchina fotografica».

di Francesca Morelli

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