La testimonianza di “Miss Parkinson”

“Miss Parkinson” (Michela Cancelliere, nella foto) convive con la malattia dal 1997, quando ha iniziato ad avvertire strani malesseri e difficoltà: movimenti generalmente rallentati, fatica ad attraversare stretti passaggi. «Hanno sbagliato la diagnosi – racconta – e per quattro anni ho vissuto nel dubbio di avere una malattia neuropsichiatrica. Ma questa diagnosi non mi convinceva, perché i farmaci che mi somministravano, anziché alleviare, amplificavano i sintomi che già avevo. Così ho consultato un neurologo che è arrivato a capo del mio problema: si trattava di Parkinson. Paradossalmente è stata una liberazione: ho deciso di affrontare questa malattia che si sovrapponeva alla mia vita, ai miei sogni e obiettivi, a cui non potevo darla vinta. Pur sapendo che il Parkinson è una malattia curabile, ma non guaribile, volevo che andasse come dicevo io e non “lei”. Non ho mai lasciato che la vergogna, anche in caso di ipercinesia o di blocco, mi precludesse il piacere di stare in mezzo alla gente o di andare a scuola a lavorare».

“Miss Parkinson” è un’insegnante e da 20 anni va tutte le mattine al liceo a tenere la sua lezione: «Sono diventata sempre più forte – aggiunge – il mio braccio di ferro con la malattia prosegue, attuando tutte le strategie possibili e immaginabili, e se dovrò finire sulla sedia a rotelle, la mia sarà color fucsia e rivestita di Swarovski!». Sorride mentre racconta della sua malattia: una bellissima testimonianza di forza, dignità e coraggio, raccolta in un libro “Miss Parkinson”(edizioni San Paolo) e in uno spettacolo di cui lei stessa è protagonista, che ha deciso di divulgare in occasione della Giornata Nazionale Parkinson che si celebra il 26 novembre prossimo. Una malattia che colpisce in Italia 250mila persone, senza prevalenza di sesso, per metà ancora in età lavorativa, ma il cui numero è destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni. «In occasione della Giornata Nazionale – dichiara Alfredo Berardelli del dipartimento di Neurologia e Psichiatria della Sapienza Università di Roma, Policlinico Umberto I, nonché Presidente della  Fondazione LIMPE per il Parkinson Onlus e Past-President dell’Accademia LIMPE-DISMOV – circa 100 strutture sanitarie saranno a disposizione dei pazienti e caregiver che potranno ricevere informazioni sulla diagnosi e terapia della malattia e partecipare a eventi (spettacoli teatrali, concerti, mostre…), incontri di informazione e confronto, organizzati in tutta Italia dalle strutture aderenti». Tra queste iniziative c’è anche “Parkinson Play”, promossa dall’Accademia LIMPE-DISMOV e AbbVie, che ha chiamato i giovani talenti di Userfarm, la più grande community al mondo di film maker, a ideare e realizzare uno spot di sensibilizzazione alla malattia che interpretasse il messaggio della campagna: “Non devi essere un supereroe per vivere con il Parkinson”. Settanta spot, commoventi e dal forte pathos, arrivati in due mesi da 8 nazioni: i 5 vincitori, selezionati da una giuria di esperti, che verranno trasmessi in occasione della Giornata Nazionale, fanno emergere il ruolo fondamentale degli affetti e della famiglia, ma anche la voglia di esprimere il proprio potenziale nonostante il Parkinson. «Con questa campagna – ha dichiarato Pietro Cortelli dell’Università di Bologna, DIBINEM Ospedale Bellaria e Presidente Accademia LIMPE-DISMOV – abbiamo voluto arrivare al cuore di tutti per far riflettere sulle difficoltà che la malattia impone, ma anche diffondere l’importanza di partecipare attivamente e consapevolmente alla cura della propria salute, attraverso lo sport e una vita attiva, o dando indicazioni sulla dieta. Come ad esempio non abusare di proteine che riducono l’assorbimento di Levodopa, il farmaco usato tradizionalmente nella cura del Parkinson». L’intento, insomma, è diffondere maggiore consapevolezza sulla malattia, verso la quale esistono ancora molti errori, tra cui quello di associarla solo agli anziani, mentre il Parkinson  può colpire anche in età attiva, nel 15% dei casi perfino con esordio precoce sotto i 50 anni, coinvolgendo fin da subito tutto il nucleo familiare. A tal punto che un terzo delle persone affette da malattia avverte il bisogno di supporto dalle reti familiari, sociali, digitali e assistenziali per imparare a convivere al meglio con questo inatteso e non scelto “compagno di vita” e gestire la quotidianità.

Molto si è già fatto in questa direzione: oggi si conoscono i meccanismi che portano alla degenerazione dei neuroni dopaminergici, responsabili della malattia – ovvero un accumulo di una specifica proteina (α-sinucleina, codificata da un gene che si chiama SNCA) che diviene tossica per i neuroni cerebrali – ma non ancora le cause, certamente multifattoriali. Sebbene studi scientifici recenti abbiano ipotizzato l’influenza di alcuni fattori ambientali che potrebbero modificare il rischio di ammalarsi di Parkinson (ad esempio l’esposizione a pesticidi lo aumenterebbe e il consumo di caffè lo ridurrebbe, così come molta attività fisica praticata in gioventù), almeno il 30% del rischio sarebbe legato a una componente genetica. Tra quelli più probabilmente coinvolti nelle malattia e di recente scoperta vi sarebbero il gene TMEM230, presente anche in soggetti con forme sporadiche di malattia e il gene DNM3, capace di modificare l’età di insorgenza di malattia in caso di mutazione del gene LRKK2, e rappresentando un potenziale fattore di neuroprotezione su cui agire per modificare il decorso di malattia. Ma non solo: «Nell’ultimo anno – ha precisato il professor Alberto Priori, Associato di Neurologia presso l’Università di Milano e direttore della Clinica Neurologica II, ASST Santi Paolo e Carlo di Milano – si è lavorato molto a livello internazionale sull’identificazione di nuovi possibili biomarcatori per la diagnosi precoce di Parkinson. Studi effettuati sulla retina del ratto avrebbero evidenziato indici precoci di neurodegenerazione, così come il dosaggio di due forme di α-sinucleina nella saliva, il cui rapporto, di norma in equilibrio, è aumentato in pazienti con Parkinson, risultati che potrebbero fornire nuove ulteriori informazioni pre-diagnostiche.

Per quanto riguarda le terapie, invece, notevoli avanzamenti sono stati compiuti nel campo delle neurotecnologie, soprattutto della stimolazione cerebrale profonda (DBS). L’uso di elettrodi direzionali e di dispositivi che consentono di “modellare” il campo elettrico generato all’interno del cervello potranno essere utili nella gestione di casi complessi. Mentre lo sviluppo delle tecnologie adattative (frutto della ricerca italiana) per le DBS potranno favorire la riduzione degli effetti collaterali e dell’energia consumata dai dispositivi di nuova generazione e un notevole incremento del controllo terapeutico delle fluttuazioni motorie». La raccomandazione, tuttavia, è di non fare attenzione solo ai tremori, manifestazione tipica attribuita al Parkinson, perché esistono anche altri possibili segnali anticipatori, quali maggiori difficoltà nello svolgimento di attività, motorie o no, come viaggiare e spostarsi, o la comparsa di segnali di rallentamento di movimento (ipocinesia) o di velocità di esecuzione (bradicinesia) o tremore, che possono insorgere già 5-6 anni prima della manifestazione di malattia, cui si aggiungono anche difficoltà nelle attività quotidiane come mangiare, rigidità e alterazioni posturali, fino all’uso sopra la media di lassativi e un aumento di sintomi ansiogeni e depressivi.

di Francesca Morelli

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