NOVITA’ PSORIASI: UN FARMACO E UN PROGETTO WEB

Clear Skin”, una pelle pulita, libera da lesioni: è quanto chiedono e si aspettano i malati di psoriasi. Solo in Italia sono1,5 milioni, pari all’incirca al 3% della popolazione, di cui metà donne. Una malattia importante, di natura infiammatoria, cronica e dal forte impatto visivo, soprattutto nelle fasi più gravi della malattia in cui la pelle del corpo può risultare coperta anche per il 70% da chiazze rosse, rivestite a loro volta da squame biancastre, che influenzano la qualità della vita sia dal punto di vista gestionale (causano prurito, bruciore, dolore), ma anche relazionale, sociale, intimo. Infatti la psoriasi, per chi la vive o la osserva negli altri, è causa di imbarazzo, vergogna e viene erroneamente ritenuta anche contagiosa, con le implicazioni psico-emotive che ne conseguono: stress, rabbia, frustrazione che possono causare, in chi ne soffre, reazioni cutanee di natura psicosomatica. Come un circolo vizioso senza sosta che lascia oltre alle tracce visibili sulla pelle, anche un “tatuaggio psico-emotivo” altrettanto difficile da cancellare. Senza contare che la psoriasi rappresenta un rischio in più per la salute, predisponendo maggiormente allo sviluppo di diabete, malattie cardiovascolari, steatosi epatica ed altre problematiche sistemiche. «La psoriasi – dichiara Giampiero Girolomoni, Presidente delle Società Scientifiche Italiane di Dermatologia SIDeMaST e Professore Ordinario di Dermatologia dell’Università di Verona – può comparire a qualsiasi età, sebbene la prevalenza aumenti con l’avanzare degli anni. Il picco di maggiore insorgenza si registra però tra i 16 e i 22 anni e poi tra i 57 e i 60 anni». Due momenti importanti nella vita di una donna: il primo, giovanile, quando le ragazze puntano molto sull’aspetto fisico per piacere e piacersi, e il secondo nel quale la donna desidera sentirsi amata e affascinante anche nella pienezza degli anni, arrivando talvolta a nascondere il proprio problema, dapprima sotto gli abiti e poi a se stesse. A tal punto che le stime parlerebbero di un “sommerso” psoriasico: «Secondo una indagine di A.Di.Pso. (Associazione per la Difesa degli Psoriasici) – aggiunge la Presidente dell’Associazione, Mara Maccarone – esiste una popolazione di pazienti molto più ampia, non dichiarata o non ancora diagnosticata. Ma non solo: un malato di psoriasi su 5 si sente in balia di se stesso, senza sapere a chi rivolgersi, mentre uno su 4 tenta di curarsi da solo, perché solo il 16% dei medici di famiglia prescrive una visita dermatologica e solo nel 15% dei casi indirizza a centri specializzati». Ritardando da un lato il supporto, soprattutto psicologico, di cui il paziente psoriasico avrebbe invece bisogno fin dalla diagnosi e, dall’altro, alimentando il gap di disinformazione riguardo le cure, specie le più innovative, efficaci e oggi disponibili anche per gli stadi più avanzati e problematici della malattia.
Come, ad esempio, il recentissimo secukinumab, il primo anticorpo monoclonale approvato, anche in Italia, nel trattamento di prima linea della psoriasi a placche da moderata a severa, quando cioè la malattia coinvolge più del 10% della superficie corporea o è localizzata in zone delicate, come i genitali, o in sedi invalidanti quali la pianta dei piedi, nelle quali è richiesta una terapia sistemica. Ovvero nella fase di malattia in cui le pomate locali (topiche) e la fototerapia, terapie standard per gli stati iniziali o lievi-moderati, non sono più sufficienti. «L’indicazione terapeutica all’uso di secukinumab – continua Girolomoni – una molecola in grado di neutralizzare selettivamente l’interleuchina-17A (IL-17A), la proteina “messaggero” che accende la malattia, si basa sui risultati di studi clinici nei quali si è osservata una cute libera o quasi da lesioni (secondo l’indicatore di malattia PASI) in otto pazienti su 10, con una riduzione di malattia del 50% già dopo un mese di trattamento e il mantenimento dei risultati fino a 3 anni dal termine delle terapia». Si tratta di un farmaco biotecnologico di classe H, su prescrizione ospedaliera: questo significa che il paziente riceverà dal medico dermatologo una ricetta specialistica con la quale potrà ritirare il farmaco, disponibile sotto forma di siringa predosata o di pennetta, in qualsiasi farmacia. Il trattamento, un’iniezione sottocute da ripetersi una volta al mese, autosomministrabile, può essere rimodulato o interrotto in caso di remissione di malattia o ripreso “on demand” alla ricomparsa delle lesioni, previa indicazione medica.
Insomma secukinumab sembrerebbe rispondere alla richiesta dei pazienti di “pelle pulita”, migliorando la qualità di vita e gli esiti di malattia a fronte di un costo sovrapponibile a quello delle terapie tradizionali. E un rapporto costo/efficacia molto favorevole, se si considera che la spesa sanitaria per la cura della psoriasi è pari allo 0,03%, con costi ridotti (stimati al 20% sul totale dei farmaci biologici non oncologici) anche  in caso di terapie innovative. Ma non si tratta solo di benefici cutanei: con l’approvazione di secukinumab è nato anche PSOLife: «Ovvero un progetto multimediale – precisa ancora il dermatologo – che accompagna chi è affetto da psoriasi nel percorso terapeutico e nella valutazione dell’andamento della malattia da parte del proprio specialista, migliorando l’aderenza alla cura e “l’alleanza terapeutica” medico-paziente». PSOLife offre quattro tipi di servizi: PSOLIfe app: un sito web di monitoraggio per il clinico collegato alla app del paziente; PSOLife Care: un servizio di supporto al paziente anche a domicilio; PSOLife Line: una linea telefonica dedicata ai dermatologi PSOLife; PSOLife Net: una community per i dermatologi.
Intorno a secukinumab ruotano molteplici aspettative, anche in funzione dell’efficacia testimoniata dalla recente approvazione, in Europa e negli Stati Uniti, nel trattamento dell’artrite psoriasica e della spondilite anchilosante. Per ulteriori informazioni sul progetto e la malattia: www.lapelleconta.it
 

di Francesca Morelli

 

ARRIVA L’ESTATE: SOLE NELLE GIUSTE DOSI E…

Il sole alla psoriasi fa bene, riducendone le manifestazioni, a condizione però che venga preso alle giuste dosi. Infatti un’eccessiva e non “attenta” esposizione, può peggiorare nel 5% circa di casi la malattia.  
Ecco allora alcuni consigli estivi e non, suggeriti dagli esperti:

  • L’esposizione solare “equilibrata” è utile nelle forme lievi di psoriasi, a vantaggio anche dell’ottimizzazione dei risultati delle terapie farmacologiche. Mentre i raggi del sole da soli, senza cioè il supporto terapeutico, non bastano a controllare la malattia moderata-grave; né prendere il sole può essere considerata un’alternativa o una sostituzione alla fototerapia (PUVA o UVB a banda stretta) laddove sia in atto questo trattamento.
  • Alcune terapie sistemiche vanno usate con cautela durante i periodi di esposizione solare prolungata: non vanno mai interrotte senza consultare il  dermatologo che le ha prescritte.
  • Specialmente in estate è bene conservare i farmaci biologici in frigorifero.
  • Idratare sempre accuratamente la cute dopo l’esposizione al sole.

E circa l’abbigliamento e gli stili di vita?

  • Privilegiare indumenti leggeri per mantenere la pelle più fresca, evitando abiti troppo stretti e aderenti, o con elastici e bottoni che possono provocare piccoli traumi,  irritazioni o pressioni sulla cute.
  • Fare docce non troppo calde e rapide. La permanenza prolungata sotto l’acqua può infatti acuire l’irritazione e la secchezza della pelle che va poi asciugata con un telo morbido, senza strofinare, ma piuttosto massaggiando delicatamente specie le aree interessate dalle lesioni cutanee.
  • Dopo il bagno o la doccia, applicare sulla pelle creme emollienti per favorire l’idratazione e la riduzione di rossore e prurito. Conservare le creme in frigorifero.
  • Seguire un regime alimentare equilibrato e mantenere il peso-forma, praticando anche attività fisica. Il movimento induce infatti il rilascio di endorfine, sostanze chimiche prodotte dal cervello, che possono migliorare energia e umore.
  • Evitare, quando possibile, di grattare le lesioni e limitare al massimo le fonti di stress.
  • Condividere la propria esperienza di malattia con altre persone affette da psoriasi quale mutuo-aiuto per aumentare la fiducia in se stessi, ridurre il senso di isolamento, trovare sostegno, educazione e informazioni sulla gestione della patologia.  (F. M.)

 

C’E’ UNA RELAZIONE CON LO STRESS?

Una risposta netta a questa intrigante domanda ancora non c’è. Tuttavia alcune ipotesi, emerse dal 91° Congresso Nazionale della Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST), tenutosi nei giorni scorsi a Genova, includerebbe fra i fattori che “accendono” la componente infiammatoria alla base della psoriasi, oltre a quello genetico, anche alcuni aspetti biopsicosociali tra cui disordini psichici, mentali, stress compreso. «La psoriasi – commenta la Professoressa Aurora Parodi, Direttore della Clinica Dermatologica Ospedale S. Martino di Genova – è una malattia che può essere molto dolorosa e difficile da trattare, con un impatto significativo sulla vita sociale e di relazione, con comorbidità fisiche e psicologiche che interagiscono in una menomazione permanente. E’ quindi importante non solo curare la psoriasi, ma anche interagire con il paziente affinché possa vivere la malattia al meglio, innalzando le proprie aspettative di qualità di vita». Facendo attenzione anche a ridurre i fattori di stress che sembrerebbero giocare un ruolo chiave nell’insorgenza della malattia.
La relazione stress-psoriasi si spiegherebbe infatti con il rilascio da parte delle terminazioni nervose di alcune molecole che, interagendo con le mast cells (mastociti), favorirebbero l’aumento di stati infiammatori neurogenici. «In funzione di questa implicazione, diventa fondamentale un approccio olistico alla persona con psoriasi – aggiunge la dottoressa Anna Graziella Burroni, specialista in dermatologia e malattie veneree dell’Ospedale San Martino di Genova e Presidente Sidep – attraverso un efficace dialogo medico-paziente che aiuti la persona affetta dalla problematica a prenderne coscienza e a meglio gestire la malattia».  A favore di un recupero della qualità della vita, anche nelle fasi più critiche della malattia. (F. M.)

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