SCONFIGGERE L’EPATITE: OGGI E’ POSSIBILE

Marisa, 70 enne, ha contratto l’epatite C quindici anni fa in seguito a un trattamento estetico, praticato evidentemente in condizioni poco sicure. All’inizio ha assunto farmaci, come l’interferone che, pur con gravi effetti collaterali, hanno tenuto sotto controllo la malattia, ma non sono stati sufficienti ad eradicare il virus. E purtroppo l’epatite è poi degenerata in cirrosi epatica. Un anno fa Marisa ha iniziato una nuova cura con la combinazione di quattro farmaci, senza interferone. Il virus è stato completamente debellato, ma purtroppo la cirrosi è rimasta. Questi farmaci in realtà, se assunti precocemente, avrebbero potuto eradicare subito il virus e impedire la comparsa di cirrosi.

La conferma viene dalla professoressa Carmela Loguercio, ordinario di Gastroenterologia alla II Università di Napoli e direttore del Dipartimento di Medicina interna e specialistica, alla quale abbiamo rivolto alcune domande in occasione del Convegno “E’ possibile un futuro senza epatite?” che si è tenuto a Campoverde di Aprilia, in provincia di Latina.

Quali sono i principali fattori di rischio che espongono le donne all’infezione da HCV?

«I fattori di rischio più importanti, soprattutto per le giovani, sono i trattamenti estetici, i piercing e i tatuaggi, eseguiti con strumenti non sterilizzati. Nell’età fertile sono rischiosi in particolare i rapporti sessuali non protetti: oltre alla trasmissione per via sanguigna, il virus dell’HCV si può contrarre anche dal liquido seminale. In aumento l’infezione nelle donne in menopausa: gli estrogeni infatti, che scarseggiano nell’età avanzata, sono una barriera protettiva per la trasmissione del virus, soprattutto per via sessuale. A questi fattori si aggiunge il rischio di contagio da parte di donne straniere, è il caso delle badanti, che sono infette da virus diversi dai nostri, per i quali le terapie sono spesso resistenti».

Esistono sintomi specifici dell’infezione? Com’è possibile una diagnosi precoce?

«Purtroppo non esistono all’inizio sintomi specifici, che si manifestano invece quando l’infezione è avanzata e compaiono danni irreversibili al fegato, fino alla cirrosi epatica che può anche degenerare in un tumore. Per questo 2/3 della popolazione infetta non sa di esserlo. Sarebbe perciò auspicabile estendere il test diagnostico (un semplice esame del sangue) a tutte le categorie di persone a rischio di contagio, ma anche ai familiari di persone infette e a tutte le donne che stanno programmando una gravidanza. Molto spesso, la diagnosi di infezione da HCV avviene quando la donna è già in gravidanza, perché questo test rientra tra gli esami di routine. Sarebbe invece opportuno effettuarlo prima, per poter curare tempestivamente la donna che, se gravida, non può assumere i farmaci contro il virus, motivo per cui la malattia tende a progredire e rischia, anche se avviene raramente, la trasmissione dell’infezione al feto. Con una cura adeguata, invece, prima di essere incinta, la donna, dopo 7-8 mesi, può iniziare tranquillamente una gravidanza perché il virus viene eliminato».

Oggi stiamo assistendo a una vera rivoluzione nella terapia dell’epatite C. Dal vecchio interferone, che dava non pochi effetti collaterali (rush cutanei, depressione, anemia) e veniva somministrato per via iniettiva per diversi anni, ai nuovi farmaci in compresse giornaliere per 12-24 settimane che sembrano eliminare completamente il virus…

«Certamente i nuovi farmaci sono molto promettenti. In particolare l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha approvato di recente una combinazione di due terapie (Viekirax e Exviera), in compresse, che contengono principi attivi antivirali molto efficaci in grado di eradicare completamente il virus. Unico problema: le direttive dell’AIFA consentono l’utilizzo solo quando la malattia è in fase avanzata e non risponde alle terapie tradizionali a base di interferone e ribavirina. Non poter somministrare queste terapie agli stadi iniziali dell’infezione, comporta un grave danno per il malato che andrà incontro alla progressione della malattia, com’è avvenuto per la mia paziente Marisa citata all’inizio dell’articolo. Se avesse assunto subito alla diagnosi questi farmaci, l’infezione non sarebbe degenerata in cirrosi…».

di Paola Trombetta

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