IL SUCCESSO DELLE TERAPIE “DI PRECISIONE” NELLA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA

www.ail.it), in cui si è parlato di “Ematologia di precisione”, cioè un approccio mirato alle malattie del sangue che ha ridato la speranza di guarigione a molti pazienti. Come Rosaria, oggi 40enne, con una diagnosi dieci anni fa di Leucemia mieloide cronica, oggi “guarita” dopo cinque anni di “terapie biologiche”.
Per capire i meccanismi d’azione di queste nuove cure, abbiamo intervistato la dottoressa Monica Bocchia, responsabile dell’Unità di Ematologia dell’Ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena.

Un caso di grande successo dell’Ematologia di precisione è la Leucemia Mieloide Cronica.  Grazie alle innovative terapie a bersaglio molecolare, si è passati da una malattia che non lasciava speranze alle attuali elevate percentuali di sopravvivenza (90%), con una qualità di vita paragonabile a quella della popolazione generale e con remissioni complete di malattia del 40%: quali sono i dati più aggiornati su questo tipo di leucemia?

«La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) è un tumore maligno delle cellule staminali emopoietiche, progenitrici di tutte le cellule del sangue. L’evoluzione naturale di questa malattia, se non trattata, è verso una Leucemia Acuta, con prognosi infausta. La causa della LMC è un’alterazione genetica, costituita dalla presenza del cromosoma Philadelphia (Ph) che è anche il marcatore della patologia, ed è il risultato di una traslocazione tra il gene ABL, situato sul cromosoma 9, e il gene BCR, situato sul cromosoma 22. Ne deriva la formazione di un nuovo gene BCR/ABL che trascrive per una proteina che presenta un’intensa attività tirosin-chinasica ed è il bersaglio terapeutico. La Leucemia Mieloide Cronica è stata la prima patologia per la quale sono stati sviluppati farmaci mirati al bersaglio molecolare, la grande rivoluzione degli ultimi quindici anni. Oggi abbiamo ben cinque farmaci a disposizione, tutti inibitori della tirosin-chinasi: uno di prima generazione,
tre di seconda e uno di terza generazione. Questi farmaci possono essere utilizzati in sequenza, in caso di fallimento terapeutico del farmaco utilizzato in prima linea. I farmaci di seconda generazione si sono rivelati più efficaci e oggi sono utilizzati spesso all’esordio della malattia. Tutti gli inibitori di tirosin-chinasi sono ben tollerati: ognuno presenta uno specifico profilo di tollerabilità e siamo in grado oggi di utilizzare il farmaco giusto per ciascun paziente. I numerosi studi clinici di Fase II e III, condotti negli ultimi quindici anni, hanno dimostrato la capacità degli inibitori delle tirosin-chinasi di indurre significative e persistenti risposte di malattia in oltre il 90% dei casi. Grazie ai farmaci a bersaglio molecolare, il passaggio da Leucemia Mieloide Cronica a Leucemia Acuta è divenuto rarissimo e il trapianto, considerato fino al 2000 la terapia elettiva per guarire, adesso è riservato unicamente a casi molto selezionati e non responsivi a uno o più di questi farmaci».

Nel trattamento della Leucemia Mieloide Cronica, il raggiungimento e il mantenimento della “Risposta molecolare profonda” vengono considerati la premessa per la sospensione della terapia e quindi un passaggio verso la guarigione. Quanto è vicino questo traguardo? E cosa si intende esattamente per “Risposta molecolare profonda”?

«La Risposta molecolare profonda è l’obiettivo principale delle attuali strategie terapeutiche. Vuole dire raggiungere un livello minimo di “malattia residua” tale per cui nemmeno i più sofisticati e sensibili metodi molecolari riescono a vedere la proteina mutata dal gene BCR/ABL. Quando questa risposta viene raggiunta e mantenuta nel tempo, significa che le cellule leucemiche sono pochissime e inattive e si può ragionevolmente iniziare a parlare di guarigione. Le evidenze di molti studi clinici hanno dimostrato che i farmaci a bersaglio molecolare hanno un’efficacia tale da ottenere questo tipo di risposta e portare la malattia a livelli molto bassi: quindi ci siamo chiesti se fosse possibile in questi casi interrompere il trattamento senza il pericolo di avere recidive. Ad oggi la sospensione del farmaco senza ritorno della malattia, e quindi la potenziale guarigione, è possibile in almeno il 40% dei pazienti: studi preliminari evidenziano che dopo aver ottenuto una “Risposta molecolare profonda” alcuni pazienti hanno sospeso il farmaco e a 5 anni sono ancora senza malattia, mentre nel 60% circa dei casi si vede una ripresa molecolare che implica la ripresa della terapia. I farmaci di prima generazione raggiungono la RMP nel 10% dei casi, invece i farmaci di seconda generazione possono arrivare al 25-35% di RMP. La guarigione non è un miraggio, per molti pazienti è una realtà perché il follow-up a 5 anni dimostra che la Leucemia Mieloide Cronica non si è più ripresentata. Ovviamente, interrompere la terapia ha una doppia valenza: da un lato, si riduce la tossicità legata al trattamento di lungo termine e si libera il paziente dalla somministrazione quotidiana del farmaco; dall’altro si abbattono i costi. Questo enorme risultato è solo il primo gradino, speriamo in un futuro non lontano di arrivare alla guarigione nel 100% dei casi».

Perché è importante mantenere un monitoraggio costante e di alta qualità della Risposta Molecolare? In che modo questo obiettivo può essere favorito da una rete integrata di laboratori certificati sul territorio nazionale?

«Monitorare la risposta molecolare in maniera standardizzata con tecnologie che possono essere usate di routine è fondamentale. Le sofisticate metodologie di cui si avvalgono le indagini molecolari non solo hanno un ruolo chiave nella pratica clinica, ma grazie alla loro altissima sensibilità offrono diversi vantaggi: tracciare la malattia e individuare l’eventuale riduzione della stessa e identificare quei pazienti con risposta non ottimale al farmaco. I risultati ottenuti, estremamente sicuri e omogenei, permettono al clinico di modificare tempestivamente la strategia terapeutica. LabNet, la rete di laboratori certificata sul territorio nazionale che mette in comunicazione tutti i centri di Ematologia, è nata proprio per monitorare la risposta molecolare e di conseguenza modificare o meno il trattamento, sulla base di tecnologie e metodiche standardizzate di cui tutti i pazienti con Leucemia Mieloide Cronica possano usufruire. Avere a disposizione questa rete è fondamentale per la sicurezza del risultato, per prendere decisioni che si basino su dati certi, e per migliorare l’appropriatezza terapeutica e l’efficacia dei farmaci».

di Paola Trombetta

 

L’OBESITÀ E’ NEMICA (ANCHE) DEI TUMORI DEL SANGUE

Sovrappeso e/o obesità influenzano non solo lo sviluppo dei tumori del sangue, ma anche prognosi e sopravvivenza. Specie se si tratta di linfomi aggressivi e di tipo diffuso, come il linfoma non Hodgkin, i linfomi follicolari o le leucemie linfatiche croniche con un rischio di sviluppo di malattia che si alza del 10% a ogni aumento di indice di massa corporea. Probabilità maggiorate addirittura del 20% in caso di mieloma multiplo e leucemie. «Questo binomio peso-insorgenza di malattia –  spiega la dottoressa Milena Sant, direttore di Struttura Complessa Epidemiologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano, intervenuta al Congresso “Nuove frontiere in Onco-ematologia”– sarebbe dovuto al fatto che l’obesità sollecita alcuni meccanismi di infiammazione cronica dipendenti dall’adiposità, alterando la risposta immunitaria».
La prima azione preventiva, anche per i tumori ematologici, è dunque il controllo del peso attraverso una dieta povera di tutti quegli alimenti irritanti, quali carni e grassi totali, latte e latticini. «Vegetali e frutta – continua la dottoressa Sant – soprattutto crucifere, verdure a foglia e agrumi, grazie agli antiossidanti, a sostanze con proprietà antiproliferative e folati, svolgono un’azione preventiva  contro la malattia e di ausilio nel controllo del peso. L’Indice di Massa Corporea, mantenuto tra 18.5 e 24.9, contribuirebbe infatti a stabilizzare l’assetto metabolico dell’organismo scoraggiando la crescita tumorale, mentre sovrappeso e obesità sono causa di stress per l’organismo e, dunque, incentivo alla malattia». Si allargherebbe, dunque, la cerchia di tumori influenzati e influenzabili dall’eccesso di peso: i più noti sono i tumori del seno, dell’ovaio, del fegato e le leucemie, ma secondo uno studio pubblicato su Lancet, che ha coinvolto oltre 5 mila persone, la lista ne comprenderebbe ben ventidue.
Tuttavia l’adozione di un corretto stile di vita, il controllo del peso e nuove efficaci terapie sarebbero  in grado di migliorare la prognosi e dunque anche la sopravvivenza dei tumori ematologici. «La prima attenzione – conclude Sant – va dedicata allo stile di vita: a mantenersi snelli, fisicamente attivi, a limitare alimenti ad alta densità calorica, carni rosse in particolare, a favore di cereali, frutta e verdura di buona qualità, a ridurre alcol e sale, a evitare gli integratori alimentari assumendo il nutriente essenziale attraverso la varietà del cibo, a non fumare».   (Francesca Morelli)

Articoli correlati