ABBATTERE IL COLESTEROLO PER SCONGIURARE L’INFARTO

Sono più attente alla salute dell’intera famiglia. Ma per loro stesse sono meno ligie, soprattutto nell’assunzione di farmaci salva-vita come quelli per la prevenzione cardiovascolare. Eppure anche le donne, dopo i 65 anni, hanno lo stesso rischio degli uomini di avere un evento cardiovascolare, che rappresenta la prima causa di morte in Italia, ancora prima del tumore al seno. L’immediato ricovero al Pronto Soccorso, i farmaci antitrombotici e le moderne tecniche di angioplastica hanno ridotto la mortalità intraospedaliera per infarto acuto (dall’11.3% al 9%), mentre sono in aumento le nuove ospedalizzazioni a un anno dall’evento. Tra le cause, la mancata aderenza alle terapie, soprattutto quelle per abbassare il colesterolo, riconosciute come le più efficaci per ridurre il rischio di reinfarto. Un importante studio internazionale IMPROVE-IT, pubblicato in questi giorni su The New England Journal of Medicine e condotto su più di 18 mila pazienti in 9 anni, ha dimostrato come l’associazione di due farmaci (simvastatina ed ezetimibe) abbia ridotto il colesterolo sotto i 70 mg/dl, abbattendo il rischio di eventi cardiovascolari acuti. I risultati dello studio, già presentati a San Diego in occasione del congresso dell’American College of Cardiology, sono stati ulteriormente approfonditi al Congresso ANMCO (dal 4 al 6 giugno a Milano) e saranno lo spunto di un nuovo documento per la prevenzione del reinfarto, proposto da ANMCO.

«Dallo studio si evince come non sia sufficiente abbassare la soglia del colesterolo LDL per prevenire il rischio di reinfarto, ma come questa soglia debba rimanere sotto i 70mg/dL», puntualizza il professor Michele Massimo Gulizia, presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e direttore della Struttura complessa di Cardiologia all’Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania. «Proprio questa strategia, con l’utilizzo di ezetimibe in associazione a simvastatina, nello studio IMPROVE-IT ha ridotto del 13% gli infarti miocardici acuti, del 21% gli ictus cerebrali e del 6,4% gli eventi cardiovascolari in genere. E’ un beneficio più ampio di quello che si può ottenere con qualsiasi altra terapia e senza avere gli effetti indesiderati che si avrebbero con l’utilizzo di statine ad alti dosaggi. E’ però fondamentale educare il paziente ad assumere questi farmaci, una volta dimesso dall’ospedale. E questo consentirebbe anche di ridurre la spesa sanitaria per una seconda ospedalizzazione: dopo una sindrome coronarica acuta, infatti, l’85% delle spese è da attribuire alle nuove ospedalizzazioni, mentre solo l’11% alla spesa farmaceutica».

Purtroppo, passata la paura dell’infarto acuto, una volta dimesso dall’ospedale il paziente riduce le terapie fino a sospenderle definitivamente, ritenendosi fuori pericolo. Eppure sono proprio queste cure a scongiurare un nuovo infarto, iniziando da quelle per “abbattere”, non solo abbassare il colesterolo. «La scarsa aderenza alla terapia è una condizione tipica di molte malattie croniche», fa notare il professor Claudio Rapezzi, direttore dell’Unità di Cardiologia del Policlinico Sant’Orsola di Bologna e Alma Mater-Università degli Studi di Bologna. «Nel caso di un paziente con infarto miocardico acuto, questo meccanismo cambia nel momento del ricovero ospedaliero: c’è la grande paura, la presa di coscienza del pericolo e la promessa che da quel momento in poi si seguirà uno stile di vita sano e si sarà diligenti con le terapie. Una presa di coscienza non solo da parte del paziente, ma anche da parte del medico, che dovrebbe prestare particolare attenzione al profilo di rischio del paziente e all’importanza di impostare sin da subito una terapia cronica che possa garantire efficacia e tollerabilità nel tempo. I pazienti ad alto rischio devono abbassare il colesterolo LDL senza limiti verso il basso, anche a 30-50mg/dL. Con la terapia della “doppia inibizione”, usando due molecole come la simvastatina, che inibisce la produzione di colesterolo nel fegato, ed ezetimibe, che riduce l’assorbimento di colesterolo nell’intestino, si riesce a ottenere, nei pazienti ad alto rischio che hanno già un livello di colesterolo LDL sotto la soglia di sicurezza di 70mg/dL, un’ulteriore riduzione del rischio cardiovascolare relativo. E questo è un risultato eccezionale che non si può raggiungere altrimenti. Perché l’altra soluzione per abbattere così drasticamente il livello di LDL, già basso, è quella di ricorrere a una statina molto potente e ad alto dosaggio che però potrebbe comportare effetti collaterali pesanti, come dolori muscolari diffusi, con un aumento delle probabilità di interruzione del trattamento».

La mancata aderenza è legata a diversi fattori: scarse informazioni, mancata percezione di efficacia delle terapie e impatto degli effetti collaterali, carente comunicazione medico-paziente. La soluzione, dunque, si chiama consapevolezza. Un paziente consapevole è un paziente informato, anche degli studi scientifici: è questa la via per aumentare la fiducia nelle terapie. «Solo un terzo dei pazienti nel primo anno dopo l’evento cardiovascolare raggiungono gli obiettivi suggeriti per il colesterolo LDL, e dopo l’anno diventano un quinto», fa notare il professor Gaetano Maria De Ferrari, ordinario di Cardiologia all’Università degli Studi di Pavia e responsabile dell’Unità Coronarica della Fondazione IRCCS al Policlinico San Matteo di Pavia. «Molti pazienti sanno quali valori di pressione o di glicemia non devono superare, quasi nessuno quale valore di LDL. Per gli addetti ai lavori, lo studio IMPROVE-IT è stata una conferma importante che, adesso, deve essere comunicata al paziente affinché si traduca in un effettivo cambio di marcia nel trattamento post infarto. Si tratta di uno studio molto importante che parla anche italiano: siamo stati il quinto Paese al mondo, con 600 pazienti arruolati».

Per ogni chiarimento, è consultabile il tweet per il cuore: #abbattoilcolesterolo.

 

di Paola Trombetta

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