DIVENTARE MAMMA: UN’ULTERIORE RIVALSA CONTRO IL TUMORE

«Appena ho avuto la diagnosi di tumore al seno, ho posto subito la domanda all’oncologo: ma potrò diventare mamma? Per sentirmi rispondere che, invece, dovevo pensare solo a curarmi per sopravvivere: la gravidanza non era neppure ipotizzata dai medici che mi avevano in cura. Otto anni fa, purtroppo, non si pensava, come oggi, di poter preservare la fertilità di una donna giovane, che aveva un tumore. La priorità era salvarle la vita! Nel 2007, avevo 31 anni quando mi è stato diagnosticato un tumore al seno, che aveva già intaccato i linfonodi. I medici erano preoccupati principalmente di farmi le cure giuste: la chemioterapia profilattica, per ridurre la massa tumorale, l’intervento chirurgico e la radioterapia post-operatoria. E’ stata la mia assillante insistenza sul desiderio di una futura gravidanza che ha indotto l’équipe di medici a somministrarmi dei farmaci per bloccare l’ovulazione e mettere a riposo le ovaie. E forse è stato questo il motivo, oltre al fatto che avevo un tumore non ormono-dipendente, che mi ha permesso, cinque anni dopo e in seguito a due aborti spontanei, di avere una gravidanza. Nell’ottobre 2012 è nata Agnese. E il 1° aprile di quest’anno è nata la sorellina Agata».

Non sono molte le donne che hanno avuto il coraggio e la determinazione di Sara: dieci anni fa non arrivavano al 5%. Negli ultimi anni sono aumentate e raggiungono anche il 40% proprio perchè la medicina offre maggiori opportunità di cura dei tumori, senza compromettere la fertilità. Se un tempo si poneva il dilemma se salvare la madre o il bambino, oggi sono rarissimi questi casi. Anche perchè molti farmaci chemioterapici possono essere somministrati dopo il terzo mese di gravidanza. E un numero sempre maggiore di donne sopravvive al tumore e, dopo qualche anno, decide di programmare un figlio. Negli ultimi 50 anni la ricerca oncologica ha fatto notevoli progressi nell’ambito della prevenzione, della diagnosi e della cura, contribuendo a migliorare la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi per i tumori femminili, portandola all’87% per il tumore al seno e al 68% per il tumore del collo dell’utero. I dati relativi all’incidenza sottolineano però che la guardia non deve essere abbassata: in Italia, infatti, una donna su 8 nell’arco della vita viene colpita da tumore alla mammella, mentre a circa 15.300 donne, ogni anno, viene diagnosticato un tumore ginecologico. La conferma viene dai dati recenti dell’AIRTUM, il Registro dei tumori in Italia. Molti progressi sono stati ottenuti grazie alla ricerca. E AIRC è sempre stata in prima linea, sostenendo 104 progetti pluriennali sui tumori femminili in cinquan’anni di attività. Per informazioni: www.airc.it oppure chiamare il numero verde: 840.001.001. Domenica 10 maggio, insieme all’Azalea delal ricerca, è stata distribuita la preziosa guida “Femminile singolare. La cura del cancro attenta al genere” con i consigli degli esperti su prevenzione e diagnosi dei tumori delle donne.

«In cinquant’anni di attività di AIRC, sono molti i ricercatori che hanno saputo cambiare radicalmente l’approccio alle cure grazie alla loro lungimiranza», ricorda Maria Ines Colnaghi, direttore scientifico di AIRC. «Dai progressi della chirurgia conservativa per il seno, alla messa a punto di terapie ad hoc per la cura dei tumori femminili, dallo sviluppo dei programmi di screening che permettono diagnosi sempre più precoci, all’identificazione del vaccino contro il Papilloma virus che sta riducendo l’incidenza dei tumori della cervice uterina: moltissimi di questi traguardi sono stati raggiunti con il fondamentale contributo di AIRC». E in questi ambiti di ricerca le donne sono sempre state in primo piano. Qualche esempio? Mary-Claire King che nel 1990 ha scoperto il gene BRCA-1 mutato nel DNA di molte famiglie in cui ricorre il tumore al seno e all’ovaio, dando così l’impulso alla realizzazione del test per l’identificazione precoce delle donne che hanno un rischio 3-5 volte superiore rispetto a quelle che non presentano mutazione. Lucia Del Mastro i cui studi, finanziati da AIRC, consentono oggi alle donne, colpite da tumore alla mammella, di ricevere le migliori cure antitumorali senza rinunciare alla prospettiva di diventare mamme. Una conquista resa possibile da un farmaco che mette “a riposo” e preserva le ovaie, riducendo così il pericolo che la terapia salvavita comprometta la fecondità negli anni a venire. «Si tratta dell’analogo dell’LHRH che blocca temporaneamente la funzionalità ovarica, proteggendo la riserva di ovociti dagli effetti nocivi della chemioterapia», spiega la professoressa Lucia Del Mastro, responsabile del Dipartimento di Terapie innovative dell’Ospedale San Martino IST di Genova. «Uno studio condotto dalla nostra università su 280 donne operate per un tumore al seno e presentato di recente al congresso dell’American Breast Cancer ha confermato che le donne che hanno assunto l’analogo dell’LHRH in associazione alla chemioterapia sono riuscite a evitare la menopausa precoce nel 92% dei casi e il 40% di queste ha cercato una gravidanza».

di Paola Trombetta

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