APNEE NOTTURNE: DISTURBANO IL SONNO, MA ANCHE IL CUORE E…

«Se non fosse stato per la mia compagna non mi sarei mai ritrovato in questo studio medico. È stata lei che, stanca di essere svegliata ogni notte dai miei “rumori inconsulti”, ha deciso di prendere un appuntamento con uno specialista dei disturbi del sonno».  E così, Roberto B. ha scoperto che il suo non era un semplice russare notturno, come pensava e sosteneva, ma che nascondeva in realtà una patologia importante: un’apnea notturna ostruttiva (OSA). Così aveva detto lo specialista. Una condizione che si verifica nel sonno, della quale magari non ci si accorge nemmeno o che non si sa di avere. Invece è una patologia seria, ma poco nota (seppure a soffrirne siano un italiano su 4 di cui il 9% donne dopo la menopausa), misconosciuta e dunque sottotrattata. Una trascuratezza che può aggravare il già forte impatto della malattia sullo stato generale di salute e sulla qualità della vita.

Restare in apnea anche per 35-40 secondi, costringe il cervello a risvegliarsi ogni volta che il respiro si sospende (e ciò succede anche centinaia di volte in una sola notte), per non soccombere alla mancanza di ossigeno; tutto questo può predisporre a un maggiore rischio di disturbi cardiovascolari – dall’ipertensione arteriosa, alla fibrillazione atriale, all’insufficienza cardiaca cronica, all’aterosclerosi e ictus – e anche problemi renali. Tutti con un unico risvolto: aumentare le probabilità  di una mortalità più precoce. A ciò si aggiungono anche difficoltà socio-relazionali, caratteriali, psico-emotive. E così, per Roberto, l’attenzione della campagna, che ha adempiuto al ruolo di care-giver, è stata anche un salvavita.

Nel caso di una donna, invece, avrebbe potuto essere diverso: potrebbe infatti non essere altrettanto semplice o facile capire, dunque diagnosticare, un’OSA perché il russare femminile è più lieve e delicato e quando avviene in contemporanea a quello del maschio, spesso passa inascoltato. Oppure perché la donna spesso rimane sola e nessuno può monitorare quel problema notturno che insorge di norma dopo i 50 anni (nell’uomo è possibile già dai 35-40) e poi evolve rapidamente anche in forma grave nell’arco di pochi mesi (nell’uomo invece la progressione può durare anche 20 anni). O, ancora, perché per la donna non è socialmente elegante ammettere che di notte sveglia il proprio compagno…

 

Come capire la causa di quel russare, che non è solo causato dalle adenoidi, ad esempio, o dalla conformazione anatomica della bocca e delle vie respiratorie? Esistono, seppure con qualche differenza di genere, alcuni significativi campanelli d’allarme a cui prestare attenzione che talvolta possono però essere anche un tranello, scambiati cioè per sintomi di malattie di altra natura. «Fra questi la sonnolenza diurna – spiega il professor Luigi Ferini Strambi, Direttore del Centro per i disturbi del sonno dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano e Presidente della WASM –World Association of Sleep Medicine – che non si esaurisce con un po’ di risposo, ma che paradossalmente potrebbe aumentare nel corso del weekend o delle vacanze quando si ha occasione di dormire di più; la narcolessia, una patologia legata alla carenza di una particolare sostanza nel cervello (orexina) che genera frequenti attacchi di sonno ma nei quali la “pennichella” di pochi minuti, normalmente sufficienti a garantire stati di veglia nelle 2-3 ore successive, non sortiscono l’effetto auspicato. Ancora si può incorrere in episodi di nicturia abbondante (e non scarsa come invece è la sua caratteristica) legata alla secrezione del peptide natriuretico o, sempre correlati alla sfera urogenitale, problemi di disfunzione erettile e riduzione della libido, che spesso non vengono riferiti per vergogna».

Ma la lista è ancora lunga, perché tra i fattori predittivi dell’OSA vi è anche l’ipertensione, come già accennato, specie quella farmaco-resistente la cui relazione è confermata nel 60% dei casi da diversi studi clinici. A livello “intellettivo” sono possibili deficit a carico dell’attenzione, della memoria verbale e dell’abilità visiva e costruttiva, riduzioni delle funzioni esecutive. Più in generale, possono essere riferibili alla patologia anche il reflusso gastroesofageo, stati di ansia, depressione, irritabilità e aggressività (e come potrebbe essere diversamente se nel corso della notte inconsciamente si viene risvegliati innumerevoli volte non avere l’umore nero?).

Non si deve anche trascurare il peso: non solo chi è in “grossa forma” russa, perché anche una persona normopeso e/o in lieve sovrappeso può essere a rischio di OSA.

«Il vero problema – precisa il professor Giuseppe Insalaco, Ricercatore responsabile modulo: “Tecnologie Innovative per lo Studio dei Disturbi Respiratori nel Sonno” dell’Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare Consiglio Nazionale delle Ricerche di Palermo – è l’aumento del peso, il cui incremento accresce anche le probabilità di insorgenza della malattia». E, proprio il peso, è anche un fattore predisponente di genere: sarebbe meglio, infatti, che la donna non aumentasse di peso, soprattutto in menopausa quando la distribuzione del grasso cambia, localizzandosi a livello dell’addome e del collo.  «In quest’ultima sede – aggiunge Insalaco – il grasso crea una criticità perché causa un restringimento delle vie aeree superiori».

Ma può fare la differenza sull’OSA anche una cefalea strana: quella che si presenta al risveglio, compare e scompare, senza alcun trattamento, nell’arco di qualche ora. È facile capire che questo quadro problematico non può non incidere sulla qualità di vita delle persone e come quindi diventi necessario sensibilizzare all’“apnea notturna”.

Le implicazioni dell’OSA sono tali e tante da fare considerare la malattia una patologia sociale, con un impatto rilevante sul sistema sanitario. «Riuscire a identificare i soggetti con OSA sarebbe, non solo un grosso risparmio per la sanità pubblica, – aggiunge Insalaco – ma soprattutto potrebbe ridare al paziente una vita soddisfacente, migliorandone anche la sopravvivenza». Obiettivo possibile con il giusto trattamento, rappresentato innanzitutto dalla CPAP (acronimo inglese di somministrazione di pressione positiva continua), considerato oggi il “gold standard” terapeutico, che dà benefici già dalla prima notte, evitando le frequenti levatacce notturne e promettendo di risolvere il problema apnee nella quasi totalità dei casi. «Circa l’80% dei pazienti in trattamento – dichiara ancora Insalaco – ricorre alla CPAP. È una sorta di mascherina nasale, una specie di turbina ad aria a pressione, che viene regolata secondo livelli utili alla persona e tale da determinare un cuscinetto d’aria a livello delle vie aeree superiori che non solo riporta il respiro alla normalità, ma non sottopone più il cuore a uno stress continuo legato per lo più a picchi pressori». Evitando, quindi, tutte le implicazioni cardiovascolari correlate.

La CPAP non è il solo trattamento possibile per l’OSA. Vi sono altre opzioni terapeutiche che richiedono però un buon inquadramento iniziale del paziente. «Nella prime fasi di malattia – conclude il professor Ferini Strambi – possono verificarsi apnee solo in posizione supina. In questi casi potrebbero essere indicate anche delle terapie posizionali che vanno dalla semplice pallina da tennis cucita in una apposita tasca posta nel dorso del pigiama, a degli zainetti o delle cinture rigidissime che impediscono di mantenere questa posizione da distesi, o ancora una sorta di collarino che non appena si assume la posizione supina emette una leggera scossa che costringe a girarsi sul fianco». Oggi si è arrivati a una chiara definizione del problema, dei suoi fattori, delle implicazioni e del trattamento, tutte  racchiuse nel “Libro Bianco sull’Apnea Ostruttiva del Sonno”, redatto dai due professori citati e dedicato principalmente ai medici di medicina generale che dovrebbero essere i primi a riconoscere questa patologia dalle mille sfaccettature. Alcune recentissime. Come l’inclusione dell’OSA nella valutazione di idoneità alla guida: un’ampia letteratura ha infatti confermato l’associazione tra questa patologia e un aumentato rischio di incidenti alla guida, da 2 a 7 volte maggiore, a causa di tempi di reazione rallentati e allungati per il cattivo sonno. Una diagnosi dunque che rappresenta anche un importante passo avanti per una maggiore sicurezza stradale.

 

di Francesca Morelli

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