DIAGNOSI PRE-IMPIANTO ANCHE PER LE COPPIE FERTILI?

E’ attesa a metà aprile la sentenza della Corte Costituzionale che dovrebbe permettere alle coppie fertili, ma portatrici di una patologia genetica, di ricorrere alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto dell’embrione, prima del trasferimento in utero. Attualmente la Legge 40 vieta infatti l’accesso alla PMA e alla diagnosi genetica pre-impianto alle coppie fertili, negando il diritto di poter scongiurare la trasmissione di una patologia genetica ai propri figli. La diagnosi pre-impianto è consentita oggi alle donne infertili, portatrici di malattie genetiche. Ma solo il 17.7% dei Centri di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) in Italia è in grado di offrire questo tipo di esami alle proprie pazienti. È quanto è emerso da un’indagine nazionale su 182 centri di PMA (hanno risposto in 113 tra centri pubblici, privati, privati convenzionati), promossa dal Centro GENERA, in collaborazione con BIOROMA e presentata in occasione del congresso “The new era of PGS application in art” , che si è tenuto i giorni scorsi a Roma. In occasione dell’evento, alcuni tra i massimi esperti nel mondo di PMA si sono confrontati sulle potenzialità, sull’efficacia e sulla sicurezza delle due più attuali tecniche di diagnosi pre-impianto: PGD (Preimplantation Genetic Diagnosis) e PGS (Preimplantation Genetic Screening).

Con l’aiuto della dottoressa Laura Rienzi, direttore del Laboratorio di PMA del Centro Genera di Roma, cerchiamo di fare chiarezza su queste tecniche.

Potrebbe spiegare in che cosa consistono queste tecniche e in quali casi dovrebbero essere utilizzate?

<La prima metodica (PGD) è in grado di individuare la presenza di malattie genetiche ereditarie, come fibrosi cistica, talassemia, emofilia, distrofia muscolare di Duchenne e altre 10 mila meno conosciute. Se la coppia infertile è anche portatrice sana di una malattia genetica, può richiedere questo esame che non interferisce minimamente sullo sviluppo dell’embrione e viene eseguito dopo 5-6 giorni dalla fecondazione. Oggi questa tecnica viene praticata in una ventina di centri in Italia (precisamente 6 al nord, 8 al centro e 6 al sud ed isole). Il costo va dalle 1.500 alle 3 mila euro, nei centri privati e convenzionati, la cui lista è pubblicata sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità (www.iss.it), nella sezione dedicata alla PMA. Alcuni centri pubblici, come la Clinica Mangiagalli di Milano, si stanno organizzando per garantire gratuitamente questo test alle coppie sterili, portatrici di malattie genetiche>.

L’altra tecnica (PGS), invece, permette di individuare le anomalie cromosomiche, più frequenti quando la donna affronta la prima gravidanza avanti negli anni. Poiché in Italia circa 15 mila sono le donne che cercano una gravidanza dopo i 40 anni, questa tecnica consentirebbe di ottimizzare gli impianti degli embrioni ed evitare il trasferimento in utero di quelli “difettosi” che potrebbero poi causare aborti spontanei o  feti malformati>.

Si tratta dunque di tecniche che potrebbero migliorare gli esiti degli impianti e delle gravidanze con PMA, oltre a ridurre il numero di possibili interruzioni volontarie, una volta che la donna dovesse scoprire con l’amniocentesi di portare in grembo un bimbo malato?

<Certamente, trasferendo in utero solo gli embrioni non affetti da malattie, si ottimizzerebbero i risultati anche della PMA, risparmiando così alla donna di sottoporsi a inutili trasferimenti che si concluderebbero magari in fallimenti e aborti spontanei. Nel caso della PGD inoltre si potrebbero evitare esami invasivi come l’amniocentesi durante la gravidanza, il cui risultato potrebbe mettere la donna nella condizione di dover decidere per un’interruzione volontaria, in presenza di un feto con malattia. La diagnosi pre-impianto diventa dunque uno strumento fondamentale, che garantisce il diritto della donna di conoscere la salute dell’embrione, come sancito dall’articolo 14 della Legge 40>.

Un diritto negato però alle coppie fertili, ma portatrici sane di malattie genetiche, che in Italia, a differenza del resto d’Europa, non possono ancora accedere alla Fecondazione assistita. Quali sono le vostre aspettative sull’imminente pronunciamento della Corte Costituzionale in merito?

<Ci auguriamo che la Corte Costituzionale accolga la richiesta delle molte donne (diverse centinaia all’anno), portatrici di malattie genetiche, che attualmente non possono ricorrere alla diagnosi pre-impianto perché sono fertili. Già si sono espressi diversi Tribunali italiani (Milano, Roma, Catania) riconoscendo alle coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche, di poter accedere alle tecniche di Fecondazione assistita, compresi gli esami pre-impianto. E ci auguriamo anche che sempre più donne, avanti negli anni (la media di chi ricorre alla PMA è oggi in Italia di 36 anni) possano accedere alla diagnosi pre-impianto per scongiurare il rischio di malattie cromosomiche (sindrome di Down, di Edward, di Patau) che, dopo i 35 anni è di un caso su 200 e diventa addirittura di un caso su 20 sopra i 45 anni. In questo modo potremo ottimizzare anche le possibilità di attecchimento dell’embrione in utero, evitando impianti di embrioni “con anomalie cromosomiche” destinati a non avere successo o a causare aborti spontanei. Dalla nostra indagine si è visto che, ricorrendo alla PGS, il rischio di aborto spontaneo nelle donne con età superiore a 36 anni è passato dal 30-50% al 10%. Dall’analisi condotta dal registro PMA dell’Istituto Superiore di Sanità sui cicli di fecondazione assistita, il tasso di aborto spontaneo nella PMA con un’età media di 36 anni è del 21% e raggiunge picchi superiori al 51% in donne con più di 42 anni, mentre il tasso di gravidanza gemellare si attesta al 20% e quello di gravidanza trigemina e quadrupla al 2,3%. L’individuazione di embrioni con un corretto numero di cromosomi (euploidi) consente di ridurre notevolmente i fallimenti di impianto: un embrione euploide su due esita in una gravidanza a termine, indipendentemente dall’età della donna, e questo consente il trasferimento di un singolo embrione anche in pazienti di età avanzata, abbattendo anche il rischio di gemellarità e di plurigemellarità (in uno studio presentato dal gruppo GENERA si passa dal 21% al 7%), che è considerato una complicanza della PMA>.

di Paola Trombetta

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