MELANOMA: LA RIVOLUZIONE DELL’IMMUNOTERAPIA

“Era comparso da qualche anno un neo sulla schiena. Al momento non avevo dato peso alla cosa. Ma dopo tre anni mi sono decisa a fare un controllo perché il neo diventava sempre più grosso, scuro e con forme irregolari. La diagnosi fu immediata: si trattava di un melanoma! Subito l’intervento chirurgico, ma il tumore si era già diffuso e questo ha reso necessaria la chemioterapia. Dopo diversi mesi, purtroppo, le metastasi non regredivano. Ero disperata e non sapevo cosa fare!  L’oncologo mi aveva parlato della possibilità di utilizzare un nuovo tipo di cura, l’immunoterapia, che stavano sperimentando all’Ospedale di Siena. E così ho fatto: da un mese sono stata inserita nel protocollo di questo nuovo trattamento…con la speranza che possa davvero funzionare”.

Una speranza, quella di Rosaria, condivisa dai 1.500 pazienti ai quali, ogni anno, viene diagnosticato un melanoma maligno in forma avanzata. In Italia, lo scorso anno, la diagnosi di melanoma ha interessato più di 10 mila persone. Questo nuovo approccio terapeutico si chiama appunto immunoterapia, o meglio immuno-oncologia in quanto viene applicata ai tumori. E proprio in questi giorni il farmaco ipilimumab, capostipite di questa nuova classe, ha ottenuto la rimborsabilità dall’AIFA come trattamento di prima linea del melanoma avanzato, da utilizzare subito nelle prime fasi di malattia.

Come agisce l’immunoterapia? Lo abbiamo chiesto al professor Michele Maio, direttore del Dipartimento di Immunoterapia oncologica dell’Azienda ospedaliera di Siena e presidente del NIBIT (Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori). «A differenza della chemioterapia che interviene direttamente distruggendo le cellule tumorali, l’immunoterapia potenzia l’efficacia del sistema immunitario che,a sua volta, contrasta la crescita del tumore. L’azione di queste terapie è forse più lenta della chemio, ma più efficace nel migliorare la sopravvivenza dei pazienti: nelle fasi iniziali del trattamento, in alcuni casi, si potrebbe anche osservare una progressione della malattia che poi può regredire completamente. In realtà si mette in moto un meccanismo di risposta immunitaria che attiva particolari linfociti T in grado di “aggredire” la massa tumorale e dopo tre o quattro mesi l’annientano. Non a caso questa terapia, a differenza della chemio che si prolunga per anni, è molto circoscritta nel tempo: due mesi per quattro cicli, uno ogni tre settimane».

Dal momento che l’immunoterapia ha un meccanismo d’azione diverso dalla chemioterapia, si potrebbero usare in combinazione?

«Nel nostro Istituto e all’interno della rete del NIBIT è in corso uno studio clinico che terminerà nel 2015 e coinvolge 150 pazienti con melanoma avanzato e metastasi cerebrali, trattati con la combinazione di due farmaci: ipilimumab e fotemustina (un chemioterapico tradizionale). Di recente abbiamo aggiunto un’altra associazione: ipilimumab e nivolumab, un nuovo farmaco della medesima categoria che sembra agire in modo ancor più efficace sul sistema immunitario».

Agendo sul sistema immunitario, queste terapie hanno dunque un’azione più generale e potrebbero essere utilizzate anche in altri tipi di tumore?

«Certamente la scoperta di questo meccanismo d’azione è stata rivoluzionaria perché l’immunoterapia può essere utilizzata in tanti tipi di tumore. Il nostro centro di Siena ha partecipato a uno studio internazionale, appena pubblicato su Lancet Oncology, che sperimenta ipilimumab nel tumore alla prostata. Ma non solo. Abbiamo avviato molte sperimentazioni sui tumori del polmone e da sei mesi abbiamo in corso una sperimentazione sul tumore al seno triplo negativo, che non risponde cioè alle terapie usate abitualmente anti-estrogeniche, anti-progestiniche, anti Her2. Sono tumori molto difficili da trattare e contro i quali non esistono ancora terapie target. Con un altro farmaco immuno-oncologico abbiamo avviato uno studio sul mesotelioma pleurico, un tipo di tumore causato dall’esposizione all’amianto che nel passato colpiva anche le donne che lavavano ogni giorno le tute dei mariti a contatto con l’amianto».

di Paola Trombetta

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