UNA VITA DA RICERCATRICE E MAMMA

www.airc.it), ricorrenza anche della Festa della mamma, abbiamo pensato a lei per un’intervista che ci permetta di capire come una donna immersa nella ricerca, in particolare quella oncologica, riesca anche a scrivere libri e fare la mamma e la moglie e, nel tempo libero, a praticare scherma a livello agonistico…

A quando risale la tua vocazione di ricercatrice? E a quando quella di scrittrice? Dei libri pubblicati (Un clone in valigia. L’avventura americana di una ricercatrice; Come vento sul grano. Una storia d’amore e OGM ; La danza delle cellule immortali, tutti editi dai Fratelli Frilli, oltre a Il destino dell’11 settembre per LiberoDiScrivere e Codice Genetico: il segreto scritto nel DNA per il Segretissimo di Mondadori, con lo pseudonimo di Adrienne B. White), in quale ti rispecchi di più?
«La mia vocazione alla ricerca risale alle scuole medie. Già allora in un tema avevo espresso il desiderio di lavorare in un laboratorio e… di sposare un ricercatore, situazioni che di fatto si sono avverate. La mia vocazione alla scrittura è da sempre. Ho scritto pensieri, poesie e racconti fin da bambina. Il primo l’ho pubblicato a dodici anni in una rivista per ragazze; poi ho iniziato con i romanzi, tutti con trame ambientate nel mondo della ricerca biomedica. Quello in cui mi rispecchio di più è La danza delle cellule immortali, che si svolge tra Venezia e Genova e dipana una trama d’amore in una situazione da thriller che coinvolge una scienziata e il mistero della scomparsa di alcune sue cellule terapeutiche».

Come sei riuscita a conciliare la carriera professionale con il ruolo di mamma?
«Come genitori siamo stati molto fortunati: i nostri figli, Thomas e Silvia, ora universitari, sono stati sempre molto indipendenti e pazienti nei confronti del nostro lavoro così impegnativo. Ho passato e passo ancora lunghe ore, anche serali, a far ricerca e non hanno mai protestato per questa situazione. Anzi devo molto al loro incoraggiamento. Normalmente conciliare è assai difficile ma i nostri ragazzi sono stati eccezionali!».

Qual è stata la più grande soddisfazione come mamma? E come ricercatrice?
«Come mamma la più grande soddisfazione è stata vederli crescere forti e autonomi, e molto affettuosi. Come ricercatrice è sempre emozionante fare qualche nuova scoperta, la pietra miliare resta per me l’invenzione del test della “metastasi in provetta” per saggiare l’invasione delle cellule maligne attraverso una matrice proteica naturale ricostituita che si chiama matrigel. E’ un sistema che ho messo a punto a 29 anni ed è ancora, nelle sue varianti, il test più usato nel mondo per studiare le capacità invasive delle cellule tumorali».

Dirigi un gruppo di ricercatrici alle quali sei molto affezionata, quasi fossi per loro una “mamma”: quali consigli daresti per proseguire con successo nella professione? A quali ricerche vi state dedicando?

«Il mio gruppo di ricerca è costituito prevalentemente da donne: sono più di 10 nei laboratori di Reggio Emilia e nelle collaborazioni con Milano e Genova.  Le donne rappresentano la maggiore fonte della ricerca,  anche se, nel mio gruppo, ci sono un paio di ragazzi davvero in gamba. A volte mi sento davvero un po’ “mamma”: qualche volta, forse addirittura nonna, dato che un paio di loro sono mamme a loro volta e due sono in dolce attesa. I tempi sono cambiati, io vivevo in laboratorio, e lì trascorrevo le notti e i fine settimana: oggi queste giovani donne sono più consapevoli e sanno vivere con più equilibrio la famiglia e la ricerca. I consigli che darei loro per proseguire nella ricerca? Crederci, non lasciarsi demoralizzare, anche se gli esperimenti non sempre vengono come ci si aspetta e anche… divertirsi studiando, trovare nella scienza la passione, quella che continua ad “accendere” la mia vita. I nostri principali argomenti di ricerca sono: l’angiogenesi dei tumori, la prevenzione, la nutraceutica. Credo nella prevenzione, nella sana alimentazione, che è parte dei nostri progetti e nell’attività sportiva: io, ad esempio, pratico scherma agonistica».

In riferimento al Convegno “Storie di donne e di impegno nella ricerca scientifica”, organizzato in questi giorni a Reggio Emilia dal vostro Istituto, come vedi la ricerca scientifica nelle mani delle donne? Quali peculiarità hanno rispetto agli uomini in questo ambito?

«Le donne sono eccellenti leader e hanno grandi capacità organizzative. Finora le carriere femminili, nella ricerca medica, sono state difficili. Per questo auspico che si apra un’era nuova per la donna, di parità e di opportunità. Ci sono molte donne ora nelle facoltà scientifiche e in alcune sono più degli uomini, ma ci sono tuttora meno donne che hanno un incarico fisso all’Università e meno direttrici di “struttura complessa” negli ospedali rispetto agli uomini. Sta anche a noi, col mentoring (ovvero l’aiuto reciproco, da parte di donne con maggior esperienza che fanno da guida, da “mentore” appunto), aiutare a rendere un percorso al vertice più semplice di quanto possa sembrare.
Per chi fa ricerca è anche importante trovare sostegno e sponsorizzazioni: personalmente devo molto all’AIRC che, proprio nella Giornata della mamma con l’iniziativa delle Azalee, sostiene la ricerca contro il Cancro. Sono passati trent’anni dalla nascita di questa importante iniziativa al femminile. Incoraggio perciò le donne ricercatrici a cercare finanziamenti per i propri progetti».

di Paola Trombetta

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