ILARIA CAPUA: LA SCOMODA (MA ESALTANTE) VITA DEL RICERCATORE

«Determinazione, coraggio, passione e creatività: sono le qualità che un giovane ricercatore dovrebbe avere per dedicare la sua vita a nuove scoperte in campo bio-medico, per il bene dell’intera società». Con queste parole Ilaria Capua, responsabile del Dipartimento Ricerca e Sviluppo dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e vicepresidente della VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati, ha inaugurato i lavori del primo BioCamp, promosso a Siena da Novartis, azienda leader mondiale nel settore dei vaccini, che ha visto la partecipazione di 30 giovani ricercatori del nostro Paese, di età media inferiore ai 30 anni, per due terzi donne. Tutti ricordiamo la sua campagna, descritta nel suo recente libro, “I virus non aspettano” (Marsilio Editore), per rendere pubblica la sequenza del virus H5N1, responsabile della famigerata influenza aviaria, e consentire in breve tempo alle aziende di produrre un vaccino per contrastarne la diffusione nell’uomo.

 

La sua è stata una scelta rivoluzionaria, con nobili intenti sociali, in contrasto con le lobby private che avrebbero voluto “brevettare” la sequenza genica a scopi di lucro?

«Sono convinta che una scoperta scientifica non debba essere un privilegio gestito da pochi privati per motivi di lucro, ma uno strumento a disposizione della comunità scientifica, per aiutare chi è colpito da malattie a guarire, per salvare la vita a chi rischia di morire. Nel 2006, con uno sparuto gruppo di giovani ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico di Padova, di cui ero responsabile e un esiguo finanziamento ottenuto dall’OMS, abbiamo isolato e “mappato” il virus H5N1 che in Africa uccideva il 100% degli animali e il 50% delle persone. E abbiamo pubblicato nella GenBank, che è un database di pubblico accesso, questa scoperta, promuovendo un dibattito internazionale sulla trasparenza dei dati: questo ha facilitato e accelerato la messa a punto di vaccini, anche da parte di più aziende e non dalle poche che avrebbero voluto tenere i brevetti. Per fare un esempio, nel caso dell’influenza aviaria da virus H7N9 del 2007, abbiamo individuato la sequenza genica del virus e in una settimana la Novartis ha prodotto il vaccino, salvando molte vite umane e scongiurando il rischio di pandemia».

 

Un percorso coraggioso, che ha richiesto tanta determinazione e impegno: sono queste le doti che dovrebbe avere un ricercatore? Cosa suggerisce ai giovani che si accingono a intraprendere questa professione?

«Fare ricerca oggi in Italia è molto difficile: ci vuole determinazione, passione, coraggio. E’ un po’ come fare il prete, bisogna “avere la vocazione” e dedicare alla ricerca gran parte del proprio del proprio tempo. Ma contemporaneamente occorre avere una mentalità “creativa”, entusiasmarsi, “innamorarsi” del progetto a cui stiamo lavorando. Da diversi anni mi sono “innamorata” dei virus, che dagli animali si possono trasmettere all’uomo e sono diventati praticamente l‘interesse principale della mia vita. Per studiarli ho girato il mondo: ma ho visto solo aeroporti e laboratori. E ho dormito anche nelle tende in mezzo alla foresta o in alcuni luoghi dove l’igiene lasciava molto a desiderare. La vita del ricercatore non è una vita comoda, di viaggi rilassanti e turistici. Se scoppia un’epidemia, anche nelle sperdute lande della Mongolia, occorre partire, adattarsi a tutti gli sbalzi climatici e alle precarie condizioni igieniche di queste zone. E stare magari lontano da casa per tanto tempo. Per questo noi donne siamo più penalizzate, perché dobbiamo rinunciare al tempo da trascorrere con marito e figli. Anch’io soffro un po’ per questo, ma ho abituato mia figlia di otto anni a vedermi partire, dicendole che “Vado a curare gli animali malati” e quando ritorno le racconto le mie avventure».

 

Nella sua vita ha dovuto tirar fuori tanta grinta e coraggio, scontrandosi col mondo scientifico prima e con quello politico dopo il suo recente ingresso in Parlamento nella Lista Civica di Monti…   

«Entrare in politica è stata una scelta difficoltosa per la mia mentalità razionale e pragmatica. E sono stata anche criticata per questa decisione. Purtroppo in Italia, a livello parlamentare, la ricerca è uno dei temi più emarginati e trascurati. Dei 900 parlamentari, sono io l’unica laureata in ambito scientifico. E pensare che nello stato di Singapore il 40% dei politici proviene da discipline scientifiche. Nel nostro Parlamento purtroppo tali questioni vengono affrontate con una mentalità un po’ superficiale e si prendono in considerazione le situazioni solo quando scoppia l’evento eclatante, vedasi “caso stamina” o metodo Di Bella o battaglie degli animalisti contro la sperimentazione. Non si segue un rigoroso metodo scientifico per affrontare i problemi, ma si valuta ciò che dice la gente, se una cura sembra far bene, anche senza avere dimostrazioni sulla validità scientifica. Per questo abbiamo bisogno di creare nelle nuove generazioni una mentalità più rigorosa. Le intelligenze in Italia non mancano: cerchiamo allora di mantenerle sul territorio, di farle lavorare nelle nostre strutture, che possono diventare vere e proprie “eccellenze” ed evitare quella “fuga di cervelli” che purtroppo è un fenomeno molto frequente tra i giovani».

di Paola Trombetta

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