ARTRITE REUMATOIDE: COME CONVIVERCI?

«Avevo 35 anni quando mi è stata diagnosticata l’artrite reumatoide, dopo un anno di peregrinazione da medici e specialisti». Così Gabriella Voltan, oggi 55 enne, presidente dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici (ANMAR-www.anmar-italia.it), ricorda gli esordi della sua malattia con la quale convive da 20 anni. Nell’occasione ci anticipa la notizia di una serie di conferenze, che partiranno il 4 maggio da Genova (Hotel NH Marina), dal titolo significativo: “Artrosi: una signora intrattabile”, promosse dalla Società Italiana di Reumatologia e dalle Associazioni di pazienti. «Per fortuna all’epoca della diagnosi avevo già avuto due figli, perché i farmaci che mi avevano prescritto mi hanno provocato una menopausa precoce. Ma quanta sofferenza ho provato di fronte alla difficoltà di non riuscire a prendere in braccio i miei bambini! A volte mi svegliavo di notte a causa dei forti dolori e non riuscivo nemmeno a parlare perché avevo la mandibola bloccata. Per non citare le difficoltà a camminare a causa di acuti dolori ai piedi, che mi compaiono a volte ancora adesso. E l’impossibilità di aprire una bottiglia e di reggere la caffettiera… Convivere con l’artrite reumatoide è veramente difficile, ma oggi è meno pesante grazie alle nuove ed efficaci terapie biologiche, che rendono più accettabile la vita ai malati…».

Quali sono gli aspetti di maggiore sofferenza?

«Svegliarsi con rigidità e funzionalità compromessa, convivere col dolore cronico, rinunciare alla maternità, alla sessualità: sono questi i motivi di maggiore sofferenza che ogni giorno sperimentano in Italia almeno 350mila persone colpite da artrite reumatoide, il 75% rappresentato da donne tra i 35 e i 50 anni. Secondo i dati di un’indagine realizzata da ANMAR in collaborazione con Onda, i sintomi della malattia, prima causa di disabilità nel mondo occidentale, condizionano l’esistenza nella sua totalità in più della metà dei pazienti: a risentirne il buon equilibrio psico-fisico (53%), le relazioni interpersonali (47%), il desiderio sessuale (50%), la normale vita di coppia (18%), la voglia di maternità (8%), l’autostima (35%). Lo scenario conferma una situazione disarmante, di impoverimento della qualità di vita della persona con artrite reumatoide che nel 47% dei casi rinuncia a fare sport, mentre nel 39% dei casi dice addio anche alle passeggiate. La motricità subisce delle limitazioni nel 68% dei casi e chi riesce a mantenere il posto di lavoro lo fa convivendo comunque con un dolore cronico (49%). Ciò che emerge è lo stato di rassegnazione da parte del malato, convinto dell’impossibilità di vedere migliorata la propria condizione».

L’artrite reumatoide sembra “prediligere” le donne (il 75% dei pazienti): che impatto ha sulla popolazione femminile la riduzione della capacità motoria causata da questa malattia?

«L’impatto più negativo coinvolge la sessualità e la vita di coppia. Le forti limitazioni funzionali e articolari imposte dalla malattia e la presenza di dolore cronico, condizionano fortemente la qualità e il benessere della relazione. Gli aspetti psico-sociali, relazionali e sessuali sono trascurati nelle malattie reumatiche e la sensazione di isolamento è molto forte. È presente una forte componente di imbarazzo che riguarda la vita sessuale: le donne soffrono di più perché preferiscono interiorizzare piuttosto che parlare liberamente delle tante e delicate implicazioni vissute, che variano dai problemi di secchezza vaginale (36%), alla rinuncia alla maternità (8%) e all’intimità di coppia (18%), alla tolleranza di dolore cronico e difficoltà motorie avvertite in modo particolare fra i 40 e i 60 anni (79%). Al dolore cronico sono correlate sintomatologie depressive, senso di solitudine e isolamento, sensazioni di essere intimamente cambiati (48%), perdita di autostima (35%) e del potere di seduzione (32%). Inoltre, una donna su due rinuncia alla cura della casa e alle attività domestiche».

E le ripercussioni sul piano lavorativo?

«Sono molte, soprattutto per chi svolge lavori manuali. E’ penalizzato anche chi è costretto a stare tante ore in piedi. Personalmente, come insegnante di scuola primaria, ho avuto parecchie difficoltà, soprattutto quando avevo le prime classi da gestire. Sempre in piedi, con tante ore di seguito a dover tenere a bada i bambini piccoli: alla fine della mattinata mi veniva la febbre e trascorrevo il sabato e la domenica a letto. Per fortuna, negli anni successivi, mi hanno assegnato le classi superiori e ho avuto meno problemi perché i ragazzi erano più disciplinati. Non sempre però c’è questa attenzione nel mondo del lavoro per le persone che hanno problemi come i nostri. Anche se viene riconosciuta un’invalidità del 50-60% solo in alcuni casi si riesce ad avere degli incarichi lavorativi meno faticosi o degli orari più flessibili. La nostra associazione si sta impegnando per il riconoscimento di questa disabilità in ambito lavorativo, allo scopo di tutelare le persone e migliorare la qualità di vita sul lavoro. In proposito abbiamo preso contatti col Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la stesura di un Piano nazionale dedicato a questa malattia, come esiste per altre patologie, ad esempio il diabete e le malattie rare».

Come si sta muovendo la vostra Associazione per facilitare un approccio diagnostico tempestivo e la disponibilità per tutti delle cure?

«Il problema maggiore che ANMAR deve affrontare è la scarsa informazione e consapevolezza dei pazienti sul fatto che una malattia reumatica deve essere diagnosticata precocemente, per essere ben controllata e non peggiorare in breve tempo. In questi ultimi anni, grazie all’azione congiunta di associazioni e società scientifiche, come la Società Italiana di Reumatologia, si sta cercando di favorire al massimo la comunicazione e l’informazione sui media, al fine di raggiungere e sensibilizzare la popolazione. Tuttavia manca a livello nazionale un piano coordinato per affrontare in modo sistematico le necessità, in primo luogo di fare diagnosi precoce e di rendere disponibili a tutti le terapie più efficaci. L’ultima richiesta rivolta da ANMAR alle istituzioni è stata quella di assumere un impegno concreto per sostenere le esigenze delle persone colpite da malattie reumatiche. Quattro i punti specifici: realizzare un Piano nazionale sulle patologie reumatiche, con particolare riferimento a quelle a insorgenza in età lavorativa e ad alto potenziale invalidante; progettare e implementare le reti reumatologiche in tutte le Regioni per garantire un’offerta di assistenza ospedaliera adeguata e integrata con il territorio, in grado di rispondere in modo efficiente, efficace e appropriato al bisogno di salute delle persone con patologie reumatiche; programmare e formare un numero adeguato di medici specializzati in reumatologia; mettere a punto Linee Guida specifiche».

di Paola Trombetta

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