PARTO CESAREO: QUANDO SI’, QUANDO NO?

Troppi parti cesarei in Italia e non sempre necessari. La media italiana è tra le più alte in Europa: 40%, cioè quasi un parto su due, rispetto al 30% della Germania, al 28% di Spagna e Inghilterra, al 20% della Francia e al 14% dell’Olanda, con picchi nel nostro paese del 64% in Campania, del 38% in Lombardia e Toscana e punte minime del 24% in Friuli Venezia Giulia. I dati sono stati presentati e commentati dagli specialisti intervenuti i giorni scorsi al Congresso nazionale, organizzato a Montecatini Terme, dall’Associazione Ginecologi Universitari Italiani (AGUI) e dalla Federazione Italiana di Ostetricia e Ginecologia (FIOG) . Perché in Italia si praticano così tanti cesarei? Lo abbiamo chiesto al professor Massimo Moscarini, presidente dell’AGUI e direttore della Clinica Ostetrico-ginecologica dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma. <Innanzitutto perché le donne si sentono più rassicurate e pensano che, con il cesareo, la nascita del bambino sia facilitata e la mamma corra minori rischi. E poi i problemi organizzativi, soprattutto nei piccoli ospedali, che non consentono la presenza di un ginecologo giorno e notte e soprattutto non sono in grado di garantire un anestesista che possa effettuare in qualsiasi momento l’epidurale. Non a caso la percentuale dei cesarei aumenta negli ospedali che praticano meno di 500 parti l’anno. A ciò si aggiungono le motivazioni legate al rapporto privilegiato della donna col proprio ginecologo, al quale vuole, a tutti i costi, affidare la nascita del proprio figlio. In più tutti i problemi legati alla tutela giuridica: la maggior parte delle cause, soprattutto di natura penale, per danni al feto o alla puerpera, sono intentate a causa della mancata decisione di praticare un cesareo, come se quest’ultimo fosse l’unico intervento sicuro>. Ma è proprio vero che il parto cesareo è privo di rischi? <Non è assolutamente così>, tiene a precisare il professor Moscarini. <Anche il parto cesareo ha i suoi rischi, primo fra tutti il fatto di essere un intervento chirurgico e, come tale, più pericoloso del parto naturale. Per non parlare dei tempi più lunghi di recupero della donna, dei rischi della fase post-operatoria legati alla cicatrizzazione della ferita, della maggiore percentuale di infezioni che potrebbero verificarsi. E poi, nei piccoli centri con meno di 500 parti all’anno, c’è il rischio che il ginecologo non abbia sufficiente manualità per eseguire a regola d’arte un cesareo e possa commettere qualche errore: per questo noi ginecologi sosteniamo la necessità di chiudere i piccoli reparti maternità e potenziare le strutture più grandi, con 1000 parti l’anno, per garantire una maggiore professionalità, assistenza e sicurezza per uno degli eventi più importanti della vita della donna>. Le nuove Linee guida sul parto, che tra l’altro sono state aggiornate a fine gennaio, chiariscono tutti questi dubbi e puntualizzano in quali casi è, al contrario, indispensabile effettuare un cesareo. <Certamente ci sono alcuni casi in cui è preferibile il parto cesareo>, puntualizza il professor Moscarini. <Per esempio, quando il feto è ancora in posizione podalica al termine della gravidanza e non si è riusciti a capovolgerlo, neppure con le opportune manovre di rivolgimento. Oppure quando la placenta copre il passaggio del feto nel canale del parto (placenta previa) o quando il feto è avvolto dal cordone ombelicale. E ancora nelle donne con problemi di ipertensione gravidica o diabete gestazionale e nei casi in cui il peso del feto superi i 4,5 chilogrammi. Da aggiungere poi tutte quelle situazioni patologiche materne, conosciute dal ginecologo, che concorderà con la futura mamma quale tipo di parto preferire>. Per ogni tipo di informazione sul parto le donne possono rivolgersi al proprio ginecologo, al medico di famiglia o al personale presente in tutti i consultori. Per consultare le Linee guida sul parto: www.snlg-iss.it

 

di Paola Trombetta

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