«Credo che il silenzio che ancora oggi circonda la problematica della nausea e del vomito in gravidanza derivi dall’idealizzazione della figura materna, vista come qualcosa di sacro e perfetto e di conseguenza la gravidanza viene raccontata come un momento di pura gioia, dove stanchezza, malessere fisico, difficoltà emotive, sono automaticamente messe da parte. Invece, la gravidanza è un periodo di profondi e complessi cambiamenti: avere una rete di supporto, il sostegno di uno specialista così come psicologico, tali da potere chiedere e ricevere aiuto senza imbarazzo, sono il primo passo per vivere questo periodo con maggiore serenità. Chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma un atto di forza e di amore verso sé stesse e il proprio bambino». Commenta così Margot Sikabonyi, attrice e scrittrice, madre di tre bimbi e testimonial di questa condizione, anche da lei vissuta in prima persona.
Squarciamo allora il velo del silenzio. Di nausee e vomito in gravidanza (NVP) non si parla, perché sono un evento naturale, quasi “sintomo” di una maternità che procede bene, perché sono comuni a moltissime donne, vanno accettati come “normali” e sui quali non si può intervenire. O fare prevenzione. Una parte di verità c’è: circa il 70% di donne ha queste manifestazioni nel primo trimestre di gravidanza, che nel 40% dei casi possono protrarsi anche oltre il quinto mese, ma nausea e il vomito gravidici possono trasformarsi da sintomi passeggeri a condizioni invalidanti, con ripercussioni sul benessere fisico ed emotivo, fino ad aumentare il rischio di ospedalizzazione in gravidanza e favorire lo sviluppo di ansia e depressione anche nel post partum. Lo evidenzia lo studio multicentrico PURITY-Extended, condotto dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) su circa 900 donne in Italia, che ha “misurato” l’incidenza e l’evoluzione dei sintomi della NVP lungo tutta la gravidanza. «L’indagine attesta che un’alta percentuale di future mamme sperimenta questa condizione – spiega Nicola Colacurci, Past President SIGO, già Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” – senza differenze tra primipare e pluripare, sebbene tra coloro che ne hanno già sofferto in precedenti gravidanze, la probabilità che si ripresenti la NVP è piuttosto frequente». L’aspetto più preoccupante riguarda tuttavia la (non) corretta presa in carico: dopo la prima visita specialistica, solo il 50% delle donne con sintomi gravi riceve la prescrizione di un trattamento farmacologico. «Questo dato – prosegue Colacurci – deriva dalla diffidenza, ancora diffusa, a prescrivere o iniziare un trattamento farmacologico in gravidanza, considerando la NVP un disturbo “fisiologico”. Questo approccio porta spesso a sottovalutarla e prolungare inutilmente la sofferenza delle future mamme, con ripercussioni sulla qualità della vita e sul benessere psicologico». Quando invece pervenirle e contenerle, non solo è una responsabilità clinica, ma anche un dovere etico verso la donna, disponendo tanto più di soluzioni efficaci.
«È fondamentale intervenire precocemente per affrontare con tempestività i sintomi e evitare conseguenze più gravi. Una nausea persistente – aggiunge Irene Cetin, Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università degli Studi di Milano e Direttore delle Struttura Complessa di Ostetricia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico – può compromettere l’alimentazione e provocare carenze nutrizionali o una ridotta assunzione di micronutrienti essenziali per lo sviluppo embrionale e fetale. Inoltre il disagio e lo stress associati alla NVP nei casi più severi, possono incrementare le probabilità di un parto prematuro.
Questi eventi avversi possono essere evitati e contenuti con le nuove terapie, ad esempio l’associazione tra vitamina B6 e doxilamina, che ha dimostrato efficacia nella maggior parte dei casi, mantenendo un alto profilo di sicurezza. Studi internazionali confermano che questi principi attivi non hanno controindicazioni in gravidanza e tanto più sono efficaci quanto più l’inizio del trattamento è precoce, dal primo trimestre di gravidanza, proseguendolo anche nei mesi successivi fino alla risoluzione dei sintomi».
Gestire correttamente la NVP significa anche proteggere la salute mentale della donna anche nel post partum: «Una donna che soffre di NVP prolungati, fenomeno che può essere dovuto a fattori psichici, ormonali, nutrizionali o genetici o a una combinazione di questi, e non riceve un trattamento efficace può vivere un’esperienza gestazionale gravemente compromessa e dopo il parto, con il normale calo ormonale, la NVP può aumentare la predisposizione a uno stato depressivo. È quindi fondamentale che ginecologi, ostetriche e operatori sanitari prestino attenzione a questi segnali, valutino la gravità dei sintomi e offrano risposte e soluzioni personalizzate, a supporto del benessere psicofisico della futura mamma lungo tutta la gravidanza». Valutazione che può essere favorita da strumenti, come questionari di poche domande, cha aiutano a stimare anche l’impatto dei sintomi sulla qualità della vita della donna: il PUQE Test, che rappresenta oggi lo standard internazionale con tre semplici domande, più nove domande supplementari, consente di definire l’intensità dei sintomi e di monitorarne l’evoluzione e l’HELP Score, permette di valutare in forme gravi, come l’iperemesi gravidica, aspetti come la gestione dei sintomi, la debolezza, l’idratazione, i trattamenti in corso e i progressi clinici. «L’utilizzo sistematico di strumenti validati, come il PUQE Test – aggiunge Elsa Viora già Responsabile SSD Ecografia e Diagnosi Prenatale, Ospedale S. Anna di Torino, Presidente eletto SIGO – consente alla donna di esprimere in modo strutturato il proprio disagio e al medico di valutare la severità dei sintomi. Ovvero offrono l’opportunità di dare voce ad un tipo di disturbo spesso sottovalutato, mentre l’obiettivo è individuare precocemente i segni di NVP prima che evolvano in forme più gravi, evitando al contempo di medicalizzare eccessivamente la gravidanza. Dunque, l’equilibrio ideale consiste nell’intercettare il disagio senza trasformare ogni sintomo in una patologia, garantendo comunque alle donne un supporto tempestivo e appropriato».
di Francesca Morelli