Complessa per la gestione clinica, altamente “esigente” in termini di rigido rispetto di protocolli terapeutici, e impegnativa per il paziente gravato anche da un “burden” sociale, psicologico ed emotivo, che si riversa sul contesto dei familiari e caregiver. Mentre sono importanti le attese verso nuovi trattamenti.
È il quadro della talassemia, un gruppo di malattie genetiche ereditarie del sangue, causate da una ridotta o assente produzione di una o più catene globiniche dell’emoglobina, quindi da un “difetto” in questa proteina che è cruciale per il trasporto dell’ossigeno nei globuli rossi. Infatti questi ultimi, privati del loro principale nutrimento, comunque meno ossigenati, muoiono prima e in vita sono meno attivi, e la conseguenza è una sola: lo sviluppo di anemia cronica, primo segno distintivo della malattia, con importanti implicazioni sulla salute dell’intero organismo.
La talassemia è “democratica”: colpisce in eguale misura uomini e donne, ma l’impatto, soprattutto psicologico, è forse più importante per la donna, per la possibile trasmissione al feto. «La talassemia – spiega Maria Domenica Cappellini, Professore Onorario di Medicina Interna dell’Università di Milano – si trasmette come carattere autosomico recessivo; questo significa che sono necessarie almeno due copie del gene (una per ciascun genitore) mutate per avere una probabilità di rischio del 25% che anche il bambino possa nascere talassemico. In buona sostanza, i portatori sani, detti eterozigoti, non presentano generalmente sintomi della malattia, come anemia anche severa nelle forme più gravi, pallore, affaticamento, ittero (colore giallastro della pelle e della sclera dell’occhio, ingrossamento della milza e del fegato), ma possono trasmettere la mutazione alla prole che potrebbe causare anche un ritardo della crescita. La severità della talassemia dipende pertanto dalla natura delle mutazioni genetiche e da quante copie del gene sono alterate, che determineranno anche il diverso approccio terapeutico. Resta comunque inteso che le donne con talassemia possono portare avanti una gravidanza, come qualsiasi altra donna, ma consultando prima il medico per i dovuti controlli e per una pianificazione in “sicurezza”».
In Italia la malattia è presente su tutto il territorio con concentrazioni maggiori in alcune aree, come le Isole (Sardegna e Sicilia), la Calabria e nell’Oltrepò pavese in entrambe le forme: l’α-talassemia, legata ad alterazioni delle catene alfa, più rara nel nostro paese, e la β-talassemia, caratterizzata da un difetto nella sintesi delle catene beta. La gravità dell’anemia differenzia a sua volta la malattia in forme trasfusione-dipendenti, che richiedono infusioni di sacche di globuli rossi ogni 2–4 settimane. Lo scopo è quello di mantenere livelli adeguati di emoglobina e prevenire danni d’organo, associate a una terapia ferrochelante continuativa, quotidiana e a vita, per evitare l’accumulo di ferro indotto dalle trasfusioni stesse (e quindi lo sviluppo di complicanze ad altri organi), e forme non trasfusione-dipendenti, caratterizzate da un’anemia meno severa ma comunque associata, nel tempo, a complicanze dovute alla ridotta ossigenazione dei tessuti.
La storia della talassemia è, fortunatamente, sensibilmente cambiata rispetto al passato, grazie alla diagnosi precoce che consente di rilevare la malattia di norma entro i primi 6 mesi di vita del bambino, quindi favorirne il migliore controllo del decorso, e delle nuove terapie. «Questi due fattori hanno aumentato le aspettative di vita, ma nonostante il miglioramento della sopravvivenza che può superare anche i 70 anni in pazienti con forme trasfusioni-dipendenti, la qualità della vita deve rimanere al centro della nostra attenzione, così come il bisogno di dare risposte concrete alle esigenze che restano ancora molte e importanti», aggiunge la professoressa Cappellini. «L’impegno della medicina e della ricerca deve quindi orientarsi alla personalizzazione delle cure in base all’età, alle comorbidità e alla storia clinica di ciascun paziente, garantendo una presa in carico realmente globale». Aspetto che invece, ad oggi, è ancora carente. Ad esempio non vi è mai certezza di avere al momento opportuno, per il paziente giusto, il sangue necessario, che non è un bene comunque e sempre disponibile – la carenza di sangue, soprattutto in determinati periodi dell’anno o in stati emergenziali, come il Covid, ne sono stati importanti esempi – un ritardo che ha conseguenze sul paziente sia a livello fisico, come un aumento della debolezza, la minore resa nelle attività quotidiane e lavorative, sia psicologico.
«La necessità di programmare trasfusioni regolari, il controllo del sovraccarico di ferro e le frequenti sorveglianze strumentali incidono sull’aderenza terapeutica – dichiara la Dottoressa Filomena Longo, Direttrice dell’UOC Talassemie ed Emoglobinopatie presso l’AOU Arcispedale S. Anna di Ferrara – e determinano un’importante complessità gestionale. Inoltre l’allungamento della sopravvivenza ha aumentato il rischio di (nuove) comorbidità verso altri organi: infatti la talassemia non è una malattia solo del sangue, ma potrebbe provocare endocrinopatie, complicanze cardiovascolari e osteoporosi, che richiedono un approccio multidisciplinare costante, fino a un rischio oncologico a danno del fegato ad esempio. Per questo è fondamentale una rete di centri specializzati che collabori in modo sinergico, garantendo continuità assistenziale e uniformità di trattamento sul territorio nazionale, con il contributo cruciale delle Associazioni pazienti che sono i “megafoni” per il medico, per comprendere meglio le necessità correlate alla malattia e il faro-guida nell’approccio terapeutico. Per quanto i pazienti affetti da talassemia possano condurre una vita “quasi” normale, fatto salvo per l’impegno trasfusionale e i controlli, il burden assistenziale e psicologico rimane elevato, soprattutto in caso di pazienti più giovani, che devono conciliare la terapia, quotidiana, con attività scolastiche, familiari e sociali o delle giovani coppie desiderose di una genitorialità, fino ad arrivare alla decisione di sospendere le cure». Un quadro che potrebbe cambiare con l’avvento di nuove terapie.
«La ricerca – conclude Raffaella Origa, Professore di Pediatria dell’Università di Cagliari – sta mettendo a punto farmaci in grado di migliorare i livelli di emoglobina e ridurre il fabbisogno trasfusionale, favorendo una maggiore autonomia e una migliore qualità di vita dei pazienti. Tra queste la terapia genica, che permette ad alcuni pazienti trattati di raggiungere l’indipendenza trasfusionale, mentre altre soluzioni non curative, indicate nelle forme non trasfusione-dipendente, potranno favorire la riduzione della necessità trasfusionale, con dati di efficacia positivi dai primi studi condotti».
di Francesca Morelli
Un cortometraggio per conoscere l’anemia falciforme

«Il Ritmo della Mezzaluna». Emozionale, delicato, coinvolgente, vero. Sono le qualità del cortometraggio vincitore del contest audiovisivo, selezionato tra cinque altre proposte innovative e originali, lanciato dalla Società Italiana Talassemie ed Emoglobinopatie (SITE), in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Sede Lombardia, e il supporto non condizionato di Vertex Pharmaceuticals, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione “Vite Convergenti”. Creato, scritto e diretto da Mirko Rodio, laureando del Corso di Pubblicità e Cinema d’Impresa, il corto è uno “spettacolo” di note e danza che introduce al mondo e al vissuto dei pazienti con anemia falciforme, restituendo in chiave artistica e simbolica la complessità della malattia. «L’anemia falciforme – spiega Giovan Battista Ruffo, Direttore U.O. Ematologia e Talassemia ARNAS Civico Di Cristina Benfratelli di Palermo e membro del Consiglio Direttivo SITE – è una patologia genetica rara, ancora troppo poco conosciuta, che spesso colpisce sin dalla giovane età, condizionando in modo significativo la quotidianità. Per questo è fondamentale promuovere momenti di informazione e sensibilizzazione che aiutino a comprenderne il peso reale e la necessità di un supporto costante alla comunità dei pazienti. Progetti come questo contribuiscono a colmare il divario tra ciò che si vede e ciò che non si vede, portando alla luce storie che meritano ascolto». Coinvolgendo le nuove generazioni di creativi del CSC, la campagna si evolve e si arricchisce di nuovi linguaggi contemporanei per raggiungere un pubblico ancora più ampio: giovani e adulti, spaziando dal web alle sale cinematografiche. «Raccontare una malattia attraverso il linguaggio del grande schermo – conclude Maurizio Nichetti, Direttore artistico della Sede Lombardia del Centro Sperimentale di Cinematografia – è un compito complesso, perché richiede delicatezza, rispetto e al tempo stesso creatività. Gli studenti dell’ultimo anno del CSC hanno saputo trasformare un tema così sensibile in un’opera che emoziona e fa riflettere, dimostrando quanto l’arte possa essere un mezzo potente per parlare di salute e avvicinare il pubblico a realtà poco conosciute».
Il video, disponibile sul sito di campagna, verrà promosso attraverso una campagna dedicata su media digitali e all’interno di circuiti cinematografici selezionati. F. M.