Malattie Infiammatorie Intestinali condizionano sempre più la vita dei pazienti

Diarrea persistente che condiziona in maniera, a volte esasperante, la qualità di vita, dolore addominale, perdita di appetito e di peso: sono alcuni sintomi della Malattia di Crohn che colpisce in Italia circa 150 mila persone, più di 2 milioni nel mondo, e viene più frequentemente diagnosticata tra i 20 e i 30 anni, anche se in realtà può manifestarsi a qualsiasi età. Una sintomatologia simile si riscontra nei casi di Colite Ulcerosa che, nel nostro Paese, colpisce circa 100 mila persone. Per quest’ultima patologia la Commissione Europea ha appena concesso l’autorizzazione del farmaco etrasimod, per il trattamento di pazienti con colite ulcerosa da moderata a grave, che hanno avuto una risposta inadeguata con la terapia convenzionale o biologica.

«Si tratta di patologie infiammatorie intestinali (MICI) altamente invalidanti: si manifestano con una sintomatologia che spesso spaventa il paziente e i familiari. Molte diagnosi, infatti, avvengono dopo che il paziente si è recato in Pronto soccorso a seguito di sintomi acuti», dichiara il Professor Massimo Fantini, Direttore della Struttura Complessa di Gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari che ospita il Centro per la ricerca, diagnosi e cura delle MICI. «La diagnosi precoce è di fondamentale importanza poiché può limitare l’impatto della malattia sulla vita delle persone, non solo dal punto di vista fisico, ma anche emotivo ed economico». Dalla comparsa dei primi sintomi alla diagnosi possono passare anche 5 anni, seppur nella maggior parte dei casi, il ritardo diagnostico è inferiore a 6 mesi ed è differente, tra Colite ulcerosa (più breve) e Malattia di Crohn (spesso più lungo).

«Grazie alla ricerca scientifica, gli obiettivi del trattamento si stanno concentrando sulla remissione clinica, sulla “guarigione” della mucosa intestinale, e sull’assenza di disabilità, migliorando la qualità di vita senza ricorrere all’intervento chirurgico», sottolinea il Professor Alessandro Armuzzi, Responsabile dell’Unità Operativa di IBD – Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali presso IRCCS Istituto Clinico Humanitas. «Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nella gestione delle MICI. Dobbiamo continuare a impegnarci nel miglioramento della conoscenza, con particolare riguardo ai campanelli d’allarme che dovrebbero condurre il paziente da uno specialista gastroenterologo».

Nel corso del 2023, l’Associazione AMICI ETS (Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino) ha realizzato un’indagine su un campione composto da 1039 pazienti, 58% femminile, 42% maschi; 47% con Malattia di Crohn e 53% con Colite Ulcerosa; nel corso dell’ultimo anno, il 14% di loro ha subito un ricovero, il 38% un intervento chirurgico e l’89% sta attualmente seguendo una terapia farmacologia. Ecco alcuni dati emersi dall’indagine ACQUIRE-IBD. Il 18% ha una buona conoscenza della Malattia di Crohn; il 20% conosce la probabilità di sviluppare una complicanza intestinale. L’80% dei pazienti interpreta la remissione come il miglioramento dello stato di infiammazione delle mucose intestinali. Il 50% come la completa assenza dei sintomi. Circa 8 pazienti su 10 ritengono di aver ben compreso l’importanza della scelta terapeutica. Una percentuale inferiore (57%) dichiara che il proprio gastroenterologo abbia fornito diverse opzioni terapeutiche.

Dallo studio osservazionale e multicentrico IBD (Inflammatory Bowel Disease) -Podcast, si è voluto comprendere qual è la percentuale di pazienti con Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa controllata in modo non ottimale. Lo studio è stato condotto in 103 strutture in 10 Paesi, tra cui l’Italia. In base allo studio, su 220 pazienti italiani con IBD, il 54% dei pazienti con Malattia di Crohn e il 49% di quelli con Colite Ulcerosa sono controllati in modo non ottimale. Determinanti fondamentali di questo quadro sono la compromissione della qualità di vita, le manifestazioni extraintestinali, o il mancato raggiungimento della guarigione delle mucose in entrambe le patologie. Inoltre, vi sono contributi specifici al mancato controllo, come un eccesso di uso di corticosteroidi nella Colite Ulcerosa e la malattia perianale attiva nella Malattia di Crohn. Lo studio ha inoltre evidenziato quanto, a volte, possa essere divergente la consapevolezza sul controllo di malattia e l’impatto sulla qualità di vita tra medico e paziente. Non solo: i pazienti con Malattia di Crohn e quelli con Colite Ulcerosa controllati in modo non ottimale, riportano di avere ripercussioni sulle relazioni e sul proprio benessere emotivo. Il 71% degli intervistati con Malattia di Crohn si dichiara preoccupato in merito alla comparsa della successiva riacutizzazione; il 40% ha apportato modifiche alla propria vita lavorativa, chiedendo ad esempio di lavorare da casa o part time; il 67% ha frequentemente verificato la disponibilità di servizi igienici dovendo partecipare ad un evento. Il 45,9% dei pazienti con Malattia di Crohn e il 60,8% di quelli con Colite Ulcerosa, in Italia, dichiara di non riuscire a cambiare la propria attività a causa di problemi legati all’urgenza intestinale. L’11,3% dei pazienti con Malattia di Crohn, con un controllo non ottimale della patologia, riferisce di dover usufruire di giorni di malattia rispetto all’1,9% dei pazienti con controllo ottimale. In Italia, il 23% dei pazienti con Malattia di Crohn e il 26% dei pazienti con Colite Ulcerosa riferiscono una perdita di produttività lavorativa.

«L’Associazione Pazienti svolge un ruolo chiave nello sviluppo di un «Patient Health Engagement», cioè nel generare consapevolezza della patologia. La maggior parte dei pazienti (+70%) dichiara, infatti, l’importanza dei gruppi di supporto nella gestione e accettazione della malattia», conclude Salvo Leone, Direttore Generale AMICI ETS Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino. «L’attenzione deve rimanere focalizzata su diagnosi tempestive, percorsi di cura sempre più appropriati e personalizzati, che tengano conto della condizione di cronicità. È quindi fondamentale garantire sostegno, anche quello psicologico, a questa comunità di malati invisibili che hanno diritto alla miglior qualità di vita possibile».

di Paola Trombetta

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