Trial clinici al femminile per valutare due nuovi farmaci anti-Hiv

Spesso la diagnosi arriva come un “fulmine a ciel sereno”, magari in un momento particolarmente delicato come la gravidanza. E questa notizia ovviamente sconvolge la vita di queste donne, ignare fino a quel momento di avere un’infezione così grave, e soprattutto contratta da mariti o compagni “inconsapevolmente” infetti. Per informare l’opinione pubblica su questa infezione e sull’importanza della diagnosi precoce, sono numerose le iniziative organizzate per la Giornata mondiale del 1° dicembre (vedi news). Nell’occasione, abbiamo intervistato la professoressa Antonella D’Arminio Monforte, docente di Malattie infettive all’Università di Milano e direttore del Centro Malattie infettive dell’Ospedale San Paolo, nonché coordinatrice del Progetto “Women Infectivology Network” (WIN), un gruppo di lavoro costituito da infettivologhe che operano nei principali centri di cura italiani.

Qual è l’incidenza dell’HIV nelle donne italiane? A quale età è prevalente?
«Secondo i dati recenti dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono 35mila le persone con Hiv, di cui il 25% donne. Una percentuale che raggiunge il 35-40% tra le migranti. L’età a maggior rischio di contrarre l’infezione è compresa tra 25 e 35 anni, anche se attualmente vengono diagnosticati casi persino nelle ultra 50enni. L’età media della diagnosi è però intorno ai 30-40 anni, e questo perché molte donne sono affette dall’infezione da diverso tempo, senza saperlo. Da considerare che esiste un 15-20% in più rispetto ai soggetti Hiv positivi noti, che non sanno di esserlo. Nonostante le attuali Linee Guida raccomandino lo screening, in particolare nei soggetti a rischio, non sempre viene effettuato».

Quali test si possono eseguire? Esistono screening di popolazione?
«Attualmente non esistono veri e propri screening di popolazione, anche se sono state avviate campagne di prevenzione capillari, ad esempio nelle farmacie, per informare dell’esistenza di test salivari che si possono acquistare liberamente. Dal 1° dicembre Milano aderisce al Protocollo di Parigi Fast Track City: assieme ad altre città, quali New York, Parigi, Berlino, Barcellona, il sindaco di Milano si è impegnato a sottoscrivere un documento formale per attuare una serie di progetti e campagne di prevenzione dell’Hiv, con l’obiettivo di riuscire a eradicare l’infezione entro il 2030. Gli obiettivi da raggiungere sono 90-90-90: 90% delle persone con la diagnosi; 90% seguiranno la terapia; 90% delle persone in trattamento avranno il controllo della carica virale entro il 2020 e 95-95-95 entro il 2030. Tra le iniziative di prevenzione, l’apertura di un Check-point o punto di accoglienza in città dove poter effettuare test, sia sulla saliva che sul sangue, in assoluto anonimato e dove si possono ricevere consigli da persone delle associazioni, senza dover andare in ospedale».

È vero che spesso la donna si accorge per caso di essere sieropositiva, sottoponendosi al test nei primi mesi di gravidanza?
«Il 38% delle donne sieropositive riceve la diagnosi proprio durante i primi mesi di gestazione, quando il ginecologo suggerisce un test per l’Hiv. Capita anche di donne, soprattutto migranti, che non avendo mai fatto il test, scoprono di essere sieropositive quando partoriscono, con un rischio molto elevato di trasmettere l’infezione al figlio, perché non sono in terapia e il parto potrebbe accentuare la carica del virus (viremia pre-parto). Oggi anche le donne in gravidanza possono assumere i nuovi farmaci antiretrovirali per abbassare la carica virale. In questo modo si riesce a ridurre la probabilità di trasmettere il virus al feto dal 24% a meno dell’1%. E quasi sempre viene praticato anche il parto vaginale, che un tempo era controindicato. Come pure era sconsigliato l’allattamento al seno che oggi invece, se la terapia risponde bene, è consentito, soprattutto alle donne africane che vivono l’esclusione dall’allattamento come uno stigma».

Sono dunque cambiate le prospettive per le donne con Hiv che oggi possono condurre una vita normale. E il merito è stato soprattutto dei nuovi farmaci, che vengono sperimentati anche al femminile…
«Non è semplice sperimentare nuove terapie sulle donne perché occorre prendere a volte drastici provvedimenti, come l’assunzione di contraccettivi, per evitare gravidanze, in quanto non si conoscono possibili effetti collaterali sul feto. Per molti anni la sperimentazione di nuovi farmaci contro l’Hiv è stata condotta solo su uomini. Oggi sono in corso due trial clinici solo su donne sieropositive, per testare due nuovi farmaci, elvitegravir e dolutegravir, che appartengono a una nuova classe di antivirali, detti “inibitori delle integrasi, ovvero di quegli enzimi che favoriscono l’integrazione del virus nelle cellule. In aggiunta ai farmaci tradizionali, che inibiscono le proteasi, impedendo la replicazione del virus, potenziano la risposta di difesa dell’organismo, azzerando la carica virale».

Essendo terapie per uso cronico, a lungo andare potrebbero provocare effetti collaterali, in particolare nelle donne?
«Già l’infezione da Hiv causa nella donna una menopausa e invecchiamento precoci, in quanto lo stato di infiammazione cronica debilita il sistema immunitario e agisce anche nel processo di invecchiamento dei tessuti e delle ovaie. La perdita precoce della protezione degli estrogeni aumenta poi il rischio cardiovascolare, che viene ulteriormente accentuato dai farmaci antivirali. Così pure il rischio di osteoporosi. Per questo la donna con Hiv deve considerare la possibilità di andare incontro a più malattie e deve perciò prestare particolare attenzione ad assumere farmaci che non interferiscano con le terapie antivirali».

di Paola Trombetta

 

Un premio ad Arcobaleno AIDS per aver portato in teatro le donne sieropositive

Raccontare la propria condizione di donne sieropositive attraverso il confronto di gruppo e la messa in scena della propria esperienza. E’ l’originale proposta Dalle storie di vita al teatro di psicodramma. Una ricerca-azione rivolta a donne HIV-positive dell’Associazione Arcobaleno AIDS di Torino, che è stata premiata, insieme ad altri 14 progetti, dalla Commissione Giudicatrice del Community Award, nell’ambito del Concorso promosso da Gilead Sciences per selezionare le migliori proposte di supporto ai pazienti, realizzate da Associazioni e Organizzazioni no profit. Si tratta di una progettualità innovativa e “su misura” per la donna con HIV, che sarà realizzata nel corso dei prossimi 8 mesi grazie al finanziamento di 20 mila euro ricevuto dal Community Award Program. <Il progetto si propone di raccogliere e analizzare le storie di donne HIV positive, pazienti dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, polo di riferimento per la diagnosi e la cura delle malattie infettive>, spiega Caterina Di Chio, coordinatrice del progetto. <L’analisi delle storie ottenute tramite interviste, porterà all’individuazione delle principali tematiche in relazione all’infezione da HIV: dal vissuto personale, al significato attribuito alla malattia, all’esperienza ad essa legata. Le informazioni raccolte serviranno per elaborare successive attività di psicodramma, piccole pieces teatrali con cui favorire la messa in scena delle situazioni e dei vissuti che emergono dalle storie autobiografiche. E’ prevista anche una pubblicazione scientifica, evidenziando i temi emersi dalle narrazioni. Con questo progetto saremo in grado di approfondire meglio la sieropositività nel genere femminile e offrire strumenti di gestione dell’infezione>. Per saperne di più sull’Associazione Arcobaleno Aids: www.arcobalenoaids.it

P.T.

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