Melanoma: attenzione anche al sole d’inverno

Al sole invernale, preso sulle piste da sci o durante una rilassante a vacanza ai tropici, non si associa mai il rischio di melanoma, il più aggressivo tumore della pelle, dovuto proprio a una cattiva o scorretta esposizione ai raggi UV. Perché erroneamente si crede che nella stagione fredda, il sole non scotti, sia meno potente di quello estivo e dunque non causi danni gravi e irreparabili alla cute. Opinione che la dice lunga, invece, su quanto il melanoma sia sconosciuto. Come conferma anche una vasta indagine SWG condotta su un campione eterogeneo di un migliaio di cittadini, di cui il 52% donne, di età compresa tra 18 e 64 anni, equamente distribuiti sul territorio. Solo il 28% degli intervistati dichiarerebbe infatti di conoscere questo tumore della pelle, rispetto alla metà che invece si stima disinformato sulla patologia.
Si sa poco sia riguardo alle cause che possono alimentare lo sviluppo del melanoma (tra i fattori di rischio si riconoscono l’esposizione solare o la presenza di nei, mentre si ignorano le influenze fenotipiche o le eventuali modificazioni del DNA della cellula tumorale), sia sulle possibili terapie-bersaglio, cioè mirate ai responsabili molecolari, di questo o di altre forme tumorali. A tal punto che la maggioranza degli intervistati vorrebbe ricevere maggiori informazioni sul melanoma, sia dal proprio medico curante sia da campagne di sensibilizzazione. «Soprattutto  queste ultime – concorda la professoressa Paola Queirolo dell’UOC Oncologia medica IRCCS San Martino, IST Genova e Presidente IMI (Intergruppo Melanoma Italiano) – dovrebbero essere avviate fin dai primi anni della scuola elementare». Perché in tema di informazione, sensibilizzazione, prevenzione, non si è mai fatto abbastanza e non è mai troppo presto per cominciare a saperne di più o per arrestare il trend in costante crescita di questa patologia, anche tra i giovani e persino in età pediatrica. In Italia sono stati registrati per il 2016 quasi 14mila nuovi casi, all’incirca 7.200 fra gli uomini e 6.600 fra le donne. Numeri importanti che collocano, oggi, il melanoma al terzo posto tra i tumori più diffusi sotto i 50 anni (un uomo su 70 e una donna su 88 vanno incontro alla possibilità di malattia nell’arco della vita), con una frequenza maggiore al Nord rispetto al Centro e al Sud.

«Le persone più a rischio – aggiunge la professoressa – hanno un fototipo di pelle chiaro (o celtico, con capelli rossi e difficoltà ad abbronzarsi), un elevato numero di nei, una storia di scottature alle spalle risalenti soprattutto all’infanzia o all’adolescenza». Ma sull’insorgenza della malattia incidono anche comportamenti o condizioni ambientali sfavorenti quali l’esposizione al sole in maniera intermittente o aggressiva (per periodi brevi e intensi), che è più pericolosa di quella “cronica”, ma anche l’esposizione a solventi, radiazioni ionizzanti, luce ultravioletta, campi elettromagnetici, fino all’influenza esercitata da fattori “familiari” predisponenti, ovvero nel 10% dei casi aumenta il rischio con un consanguineo di primo grado già affetto da melanoma.
La prevenzione, come in ogni malattia soprattutto se tumorale, fa la differenza. Tuttavia oggi, anche in caso di melanoma allo stadio avanzato o metastatico, ci sono nuove ed efficaci opportunità terapeutiche, modulate secondo la tipologia di malattia (perché è stato scoperto che non tutti i melanomi sono uguali) su specifici geni, mutazioni o alterazioni responsabili dell’insorgenza o dello sviluppo del “neo cattivo”. Ad esempio oggi si sa che nel 20-30% dei melanomi familiari, il gene CDKN2A mutato indica una maggiore suscettibilità verso la malattia o che nel 50% dei casi, cioè in un paziente su 2, il melanoma è associato alle anomalie dei geni BRAF a cui seguono, per frequenza, quelle dei geni NRAS e KIT. Proprio su questi geni puntano le “target therapy”, le terapie a bersaglio molecolare, differentemente da quanto accade nelle terapie standard – quali la chemioterapia o la radioterapia che hanno come obiettivo il tumore nella sua totalità. Prendere come bersaglio questi geni significa anche raggiungere un più probabile successo terapeutico, rallentando la progressione di malattia o prolungando la sopravvivenza, fino a un anno/anno e mezzo in buona qualità. Merito anche di terapie combinate, più efficaci rispetto a cure “monotematiche”.

«Importanti studi clinici – ha precisato Queirolo – quale il Combi-v, con follow-up a 3 anni, presentato al recente congresso ESMO (European Society for Medical Oncology), hanno dimostrato che la combinazione di due “target terapie” (dabrafenib + trametinib, presto rimborsabile in Italia dal Sistema Sanitario Nazionale), è efficace e sicura nel trattamento del melanoma avanzato in pazienti adulti con una specifica  mutazione (BRAF V600), migliorando la sopravvivenza globale nel 45% dei casi rispetto al 31% in monoterapia (vemurafenib), o la sopravvivenza libera da progressione di malattia (24%vs10%)». Efficace, e quale possibile alternativa alla mutazione del gene BRAF V600, con medesimi benefici sulla sopravvivenza, è anche la terapia target combinata con cobimetinib + vemurafenib, in Europa dal 2015, e oggi disponibile anche in Italia dopo l’approvazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco.
Infine alle “target therapy”, si può affiancare l’immunoterapia, basata su farmaci che non agiscono sulle cellule tumorali, ma sul sistema immunitario che viene attivato per aggredire e combattere il tumore tramite gli anticorpi normalmente presenti nel nostro organismo, somministrabile in maniera sempre più personalizzata e precisa, al fine di ottenere il massimo beneficio con il minor numero di effetti collaterali.

di Francesca Morelli

 

Una “APP” per la diagnosi precoce

Da oggi è possibile identificare i nei sospetti direttamente dal proprio smartphone. “Clicca il Neo” è un metodo sicuro, veloce, efficace. Tramite l’applicazione, basta fare una foto alle macchie o alle lesioni sospette e inviare l’immagine all’esperto che, nel più breve tempo possibile, invierà la risposta. La app è stata valutata da uno studio sperimentale, realizzato dal 10 ottobre 2016 al 3 febbraio scorso, presso l’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) di Bergamo dal Centro Studi Gised e sostenuto da LILT, con il contributo della Fondazione Credito Bergamasco. 211 dipendenti di Ats Bergamo hanno usato «Clicca il Neo», mentre 213 hanno fatto ricorso agli strumenti di monitoraggio tradizionale. Il livello di accuratezza è risultato equivalente. Con un punto in più per la app: chi l’ha utilizzata, ha risparmiato tempo e denaro. «Tra le malattie cutanee, il melanoma è una delle cause principali di mortalità – spiega la dott.ssa Mara Azzi, Direttore Generale Ats Bergamo – ma educazione e screening sono un mezzo importante di prevenzione e diagnosi precoce. Per questo è importante uno strumento come “Clicca il Neo”, che ha dimostrato l’efficacia delle nuove tecnologie per una diagnosi precoce e una rapida valutazione da parte dello specialista, riducendo le liste d’attesa e indirizzando i pazienti più a rischio alla visita specialistica».   P.T.

Per scaricare la App e per informazioni: www.centrostudigised.it/clicca_il_neo

Articoli correlati