“ORA CHE MI CI FAI PENSARE”… IL RACCONTO DEI PAZIENTI CON “MICI”

Renée Felton Besozzi ha partecipato a molte competizioni atletiche nei 100 metri a ostacoli, con un record personale ai campionati mondiali del 1997 e tante medaglie. Ma a causa della Malattia di Crohn, un’infiammazione intestinale che le ha provocato diverse emorragie, con due interventi chirurgici urgenti, ha dovuto rinunciare alla carriera olimpionica, intrapresa invece dal figlio Andrew Howe, che lei stessa allena al Centro sportivo dell’Aeronautica Militare di Rieti.

«Pur di continuare la carriera atletica, mi ero rifiutata di assumere i farmaci a base di steroidi per controllare la malattia, che è così progredita fino a mettere a repentaglio la mia vita. A questo punto ho dovuto fermarmi e ho rivolto tutte le mie energie ad allenare i miei due figli, Andrew e Jeremy, oggi atleti affermati. E nel frattempo mi sono impegnata con l’Associazione AMICI onlus (Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino) per far conoscere queste patologie».

A esserne colpiti sono soprattutto i giovani, ma spesso non vengono diagnosticate fino a quando i sintomi non diventano particolarmente gravi. «Ho avuto i primi segnali a 19 anni, con diarrea frequente, ma solo a 30 anni ho ricevuto la diagnosi di colite ulcerosa, dopo aver partorito mio figlio», racconta Enrica Previtali, presidente dell’Associazione AMICI onlus. «Per fortuna oggi la ricerca scientifica ha fatto passi importanti e sono stati messi a punto farmaci mirati per queste malattie, che consentono di condurre una vita pressoché normale e, per le donne, anche di avere dei figli, pur con tutte le precauzioni del caso».

«Non è stato semplice programmare una gravidanza, perché è necessario interrompere per nove mesi le cure e questo rischia di far peggiorare il decorso della malattia», conferma Antonella Zolfo, che a 24 anni ha avuto la diagnosi di colite ulcerosa. «Nel mio caso la gravidanza non ha causato problemi e ha migliorato addirittura la prognosi. E cinque anni fa, il 1° gennaio, è nato Filippo».

Non è facile convivere con una Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale, come la Colite Ulcerosa e la Malattia di Crohn. Oggi, però, è possibile sperare in una nuova qualità di vita e guardare con maggiore fiducia al futuro. A dirlo sono gli stessi pazienti, per l’occasione attori e registi di video nei quali raccontano i momenti più significativi, a volte toccanti, della loro quotidianità.

Scene di real life raccolte e montate in un cortometraggio, che da gennaio farà il giro dell’Italia, realizzato nell’ambito del progetto “Ora che mi ci fai pensare”, promosso da AMICI onlus (Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino), in collaborazione con IG-IBD (Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease) ed EFCCA (Federazione Europea delle associazioni Nazionali dei Pazienti), con il sostegno non condizionato di MSD Italia. Per info: www.amiciitalia.eu/

«Nel cortometraggio non ci sono pazienti, ma persone, con un modo diverso di affrontare la patologia da cui sono affette», dichiara Salvatore Leone, direttore AMICI onlus. «Il dolore viene raccontato come se fosse parte integrante della propria vita, senza drammi e sempre con la speranza che un giorno tutto possa concludersi. In questo senso il video può essere d’aiuto ai pazienti di nuova diagnosi e a quelli che ancora fanno fatica ad accettare la malattia. Il messaggio è di non mollare mai, perché solo chi non molla vede la luce alla fine del tunnel».

Il cortometraggio è una sorta di “libro bianco” in versione video che fa emergere i principali aspetti delle MICI: patologie poco conosciute malgrado i numeri, diagnosticate tardivamente e con un pesante impatto sulla qualità della vita e sulla spesa sanitaria.

«Una diagnosi tempestiva riduce il rischio di complicanze e di interventi chirurgici», afferma Ambrogio Orlando, dirigente medico della Divisione di Medicina Interna del Presidio Ospedaliero “V. Cervello” di Palermo. «Oggi, con i nuovi farmaci biologici, è fondamentale arrivare quanto prima a una diagnosi per permettere di intervenire con un trattamento adeguato, in grado di evitare l’aggravarsi della malattia, gli interventi chirurgici, i ricoveri e la disabilità, migliorando così la qualità di vita del paziente».

Le persone con MICI sono spesso giovani e nel pieno della loro vita lavorativa. Le loro prospettive cambiano drasticamente dopo la diagnosi: secondo un’indagine di EFCCA almeno il 71% dei pazienti è costretto ad assentarsi dal lavoro, mentre il 40% deve lasciarlo o cambiarlo.

“Ora che mi ci fai pensare” ha reso i pazienti protagonisti, invitandoli a parlare della loro malattia e della realtà che devono affrontare giorno dopo giorno, per promuovere l’informazione sulle MICI e ricordare i progressi fatti in questi anni, soprattutto grazie all’avvento delle terapie biologiche. «Le terapie con farmaci mirati biologici hanno modificato, anzi rivoluzionato, l’approccio che i clinici adottavano per il trattamento della Colite Ulcerosa e della Malattia di Crohn: la grande svolta di questi farmaci consiste proprio nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti», afferma Alessandro Armuzzi, dell’Unità di Diagnosi e Terapia delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Complesso Integrato Columbus, presso l’Università Cattolica di Roma.

La scarsa informazione è, da sempre, un ostacolo che può compromettere la tempestività della diagnosi e l’adozione, per tempo, di un adeguato piano terapeutico. Per fortuna oggi molte cose stanno cambiando, grazie all’attività delle società scientifiche e delle associazioni di pazienti, e soprattutto grazie a uno strumento come internet, che ha migliorato la fruibilità dell’informazione.

«Abbiamo condiviso la campagna “Ora che mi ci fai pensare”, voluta da AMICI onlus, proprio per l’idea che la sostiene, vale a dire la volontà di trasmettere ai pazienti e alle loro famiglie, ma anche alle istituzioni, ai media e all’opinione pubblica, un messaggio positivo», sottolinea Luisa Avedano, dell’European Federation of Crohn’s and Ulcerative Colitis Associations, EFCCA. «I tabù e il “non detto” sono ancora tanti. Ma pensare che attraverso una campagna come questa e un cortometraggio, nel quale i pazienti si mettono in gioco raccontando in prima persona la loro esperienza di vita con la malattia, si possano veicolare messaggi positivi è molto importante ed è il modo giusto per affrontare questa malattia».

di Paola Trombetta

 

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