BREAST UNIT: “LA QUALITA’ DELLA CURA DA’ PIU’ TEMPO ALLA VITA”

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Entro il 2016 dovrà essere esecutivo il Decreto che prevede, su tutto il territorio nazionale, la realizzazione di una rete omogenea di Breast Unit, ovvero centri di senologia certificati in cui siano assicurati i migliori standard di diagnosi e cura del tumore al seno, per garantire a tutte le donne affette da questo tumore l’accesso a un’offerta sanitaria in linea con le linee guida internazionali, a favore di una migliore qualità di vita e sopravvivenza delle pazienti.

E’ proprio nel contesto delle Breast Unit che Europa Donna Italia ha creato una campagna nazionale di formazione e informazione sul tumore al seno “Diritti al Centro. La qualità della cura dà più tempo alla vita”. «Europa Donna ha fatto della promozione del modello Breast Unit uno dei principali obiettivi della propria missione – dichiara Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia –. L’approccio multidisciplinare e gli elevati standard di assistenza e cura della Breast Unit, non solo garantiscono maggiori probabilità di sopravvivenza, ma anche una migliore qualità di vita lungo tutto il percorso della malattia, con il supporto specifico delle Associazioni di volontariato. Per loro e per il loro ruolo all’interno della Breast Unit abbiamo sviluppato un programma di formazione. Ma è per tutte le donne che lanciamo oggi questa campagna, affinché conoscano e scelgano la Breast Unit per prevenire e curare il tumore al seno».

Per una paziente con tumore al seno rivolgersi a una BU significa “essere presa per mano” e avere maggiori chance di essere curata al meglio. Addirittura nelle BU certificate il tasso di sopravvivenza delle pazienti è maggiore del 18%. Ecco perché è fondamentale continuare a informare e ribadire all’intera popolazione femminile il proprio diritto alla qualità di cura in caso di tumore al seno.

Molte le attività previste, nel corso del prossimo anno, dalla Campagna “Diritti al Centro. La qualità della cura dà più tempo alla vita”, per favorire la creazione di un vero e proprio movimento d’opinione, delle donne e per le donne senza distinzione di età e di condizione, che si faccia porta-voce e supporti l’appello-manifesto  #vogliamoqualitadicura. Dai talk-show aperti al pubblico in diverse Regioni italiane, per favorire l’incontro con gli specialisti che operano all’interno delle nuove Unità di senologia, alla sensibilizzazione del mondo dello sport, del cinema e della musica italiana affinché possano, anche loro, farsi portabandiera del messaggio della Campagna. Fino all’evento istituzionale conclusivo, di portare all’attenzione del Governo il manifesto firmato da tutte le donne, lo status della Campagna, le sue istanze e i suoi risultati, facendo sentire forte la voce delle donne: dalle pazienti alle care-giver, dalle volontarie che si impegnano nelle Associazioni alle donne medico e alle infermiere di senologia che operano nelle B.U.

I vantaggi di un team multidisciplinare di specialisti

Le B.U. sono unità multidisciplinari di patologia dedicate alla valutazione diagnostica e terapeutica di ogni paziente con diagnosi di tumore al seno, in cui operano figure professionali diverse come il radiologo, l’anatomopatologo, il chirurgo senologo e il chirurgo plastico, l’oncologo medico, il radioterapista, lo psico-oncologo, il fisiatra, il medico nucleare, coadiuvati dalla figura dell’infermiera di senologia. Un vero e proprio collegio multidisciplinare, che permette di definire strategie diagnostiche e terapeutiche condivise tra i diversi specialisti.

In questo contesto è fondamentale il ruolo del chirurgo senologo, come illustra il dottor Corrado Tinterri, Direttore della Breast Unit dell’Humanitas Cancer Center di Rozzano: «Oggi siamo chiamati a praticare una chirurgia “gentile”, non più demolitiva come un tempo. Non dimentichiamo che il 30-35% di tutti i tumori della mammella non sono palpabili, quindi necessitano di una chirurgia conservativa che, però, non vada a discapito delle necessità oncologiche di rimuovere correttamente il tumore. Ecco allora che la chirurgia radioguidata e la medicina nucleare, grazie alla precisa localizzazione e agli accessi chirurgici più adatti, garantiscono risultati eccellenti anche nella rimozione dei tumori più piccoli. Inoltre, il chirurgo senologo non deve più essere soltanto lo specialista che interviene in sala operatoria, ma anche un clinico e un ricercatore».

Insieme con il chirurgo senologo interviene, spesso direttamente in sala operatoria, l’oncologo medico, cioè lo specialista che deve individuare il trattamento personalizzato per ogni singola paziente. «L’oncologo medico – spiega il dottor Alberto Zambelli, oncologo agli Ospedali Riuniti di Bergamo – viene coinvolto  anzitutto per definire il percorso terapeutico precauzionale post-chirurgico (o adiuvante), ovvero dopo che la paziente ha subito l’intervento chirurgico di asportazione del tumore mammario. Sempre più spesso, però, la consulenza viene fatta anche in fase pre-operatoria, considerando l’importanza dei trattamenti medici prima della chirurgia, per favorire un migliore risultato dell’intervento. Oggi l’oncologo utilizza farmaci innovativi, quali gli anticorpi monoclonali e le piccole molecole a bersaglio molecolare, in grado di “spegnere” i segnali di crescita delle cellule tumorali e curare anche le forme più aggressive del tumore. In particolare, la modalità di somministrazione sottocute di un farmaco come trastuzumab per le pazienti che iper-esprimono il gene Her2, è meno invasiva rispetto a quella endovenosa, e può avvenire in tempi più rapidi, riducendo gli effetti collaterali e preservando, rispetto alla modalità di infusione in vena, il patrimonio venoso della donna. Ma soprattutto, grazie alla somministrazione sottocute, il farmaco agisce con una modalità simile a quella dei vaccini, stimolando anche l’attività immunitaria, enfatizzata dal passaggio sottocutaneo del farmaco, e aumentando la produzione di cellule del sistema immunitario che concorrono a distruggere le cellule tumorali».

A coadiuvare gli specialisti nella B.U. è l’infermiera di oncologia: la figura professionale che ha il compito di seguire la paziente dal momento della diagnosi al follow-up. Il suo ruolo è sempre più importante, tanto che si stanno attivando degli specifici master per formare queste figure professionali dedicate. «Il ruolo dell’infermiera in un percorso oncologico è quello di prendere in carico il paziente a 360° – spiega Laura Orlando, coordinatore infermieristico e case manager presso IEO – a partire dal momento della comunicazione della diagnosi della malattia lungo tutto il percorso di cura, che può prevedere sia l’intervento chirurgico sia il trattamento chemioterapico. Fondamentale è offrire alla paziente non solo l’assistenza specialistica per la gestione dei trattamenti, ma anche un supporto umano, emotivo e psicologico che le accompagni ad accettare le trasformazioni del proprio corpo. Penso ad esempio a quelle donne che devono subire interventi molto invasivi come la mastectomia, ma anche a tutte coloro che vanno incontro alla caduta dei capelli, testimonianza visibile della loro malattia. Dopo la fase di ospedalizzazione, affianchiamo le pazienti anche all’esterno, con contatti e assistenza telefonica o accompagnandole in altri reparti dell’ospedale per viste ambulatoriali o controlli. Si tratta di una presa in carico totale e personalizzata di ciascuna paziente che tiene conto della esigenze specifiche della persona sia sul piano pratico, come la gestione della famiglia, soprattutto in presenza di bambini piccoli, sia sul piano emotivo. In questo senso, aiutano molto i nuovi farmaci, più veloci da somministrare, che hanno permesso di ridurre il tempo di permanenza delle pazienti in ospedale. Questo aiuta le donne a sentirsi “meno malate”, permettendo loro di conciliare più facilmente la terapia con gli impegni quotidiani e assicurando una migliorare qualità di vita durante tutto il percorso di cura».

di Paola Trombetta

ESTENDERE LA MAMMOGRAFIA ALLE 45ENNI E ALLE OVER 70

Aumentano del 27% i casi di tumore al seno nelle under 50. Per questo gli oncologi, riuniti i giorni scorsi all’International Meeting on New Drugs in Breast Cancer all’Istituto Regina Elena di Roma, hanno proposto di rivedere i criteri di accesso alla mammografia e estendere il test a partire dai 45 anni. «Lo screening nelle donne dai 50 ai 69 anni ha contribuito in modo determinante a ridurre del 40% la mortalità per tumore al seno nell’ultimo ventennio», puntualizza il professor Francesco Cognetti, direttore dell’Oncologia medica dell’Istituto Regina Elena di Roma e presidente del Convegno. «L’età del primo screening andrebbe abbassata  per tutte le donne a 45 anni e i controlli dovrebbero proseguire fino a 74 anni. Oggi solo due Regioni, Emilia-Romagna e Piemonte, hanno avviato piani di screening estendendoli a queste fasce d’età, come del resto è stato suggerito dal “Piano nazionale della prevenzione”. In dieci anni le percentuali di guarigione sono aumentate del 10%, passando dal 78% all’87%. E questo grazie alle Campagne di prevenzione e ai trattamenti innovativi. Ma il tumore al seno – conclude Cognetti – rimane la più frequente causa di morte per cancro nelle donne tra 40 e 50 anni. E proprio questa fascia va sensibilizzata maggiormente a sottoporsi alla mammografia: se si interviene ai primissimi stadi sul tumore, la sopravvivenza raggiunge il 98%».  (P.T.)

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