ATROFIA VULVO-VAGINALE: NE SOFFRE LA META’ DELLE DONNE IN MENOPAUSA

«Durante i rapporti avverto un dolore così intenso, che potrebbe essere paragonato a quello di una violenza. E dopo ho anche sanguinamenti, come se avessi dei tagli. Per non parlare delle cistiti ricorrenti che non riesco a risolvere neppure con gli antibiotici». Tantissime donne come Giulia, una su due dopo la menopausa, hanno questi problemi, legati alla mancata lubrificazione vaginale. Che rendono veramente difficile avere rapporti sessuali soddisfacenti, rischiando di mettere a repentaglio la vita di coppia. Imbarazzo e vergogna impediscono spesso alle donne di parlarne, persino al ginecologo. E solo il 10% degli specialisti si informa sulle problematiche legate alla secchezza vaginale. Che, se trascurata, può diventare una vera e propria patologia: l’atrofia vulvo-vaginale (AVV). Ne abbiamo parlato con la professoressa Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano.

La secchezza vaginale, vuoi per pudore o per scarsa informazione, sembra essere il sintomo più trascurato dopo la menopausa…

«Si tratta di un disturbo trascurato, ma molto frequente dopo la menopausa, a causa della scomparsa degli estrogeni. Dopo tre anni dall’ultimo ciclo ne soffre circa il 47% delle donne. E dopo 10 anni dalla menopausa, ne soffrono quasi tutte le donne, ad eccezione delle obese: il loro tessuto adiposo, infatti, produce estrone, un estrogeno che attenua la secchezza, ma può aumentare il rischio di tumori alla mammella e all’utero, più frequenti appunto nelle donne in sovrappeso. La secchezza vaginale, a torto considerata un sintomo minore, ha un impatto molto negativo: è vissuta infatti come sinonimo di perdita di femminilità e di sex-appeal, per non dire di vecchiaia, con un grave impatto sulla qualità di vita della donna e sulla coppia».

Quali sono le cause e  i sintomi dell’atrofia vulvo-vaginale?

«Questo disturbo è causato dalla carenza di estrogeni dopo la menopausa, che priva tutto l’apparato genitale di una linfa essenziale alla sua salute e funzione. L’atrofia vulvo-vaginale causa prurito, irritazione delle mucose, secrezioni fastidiose, cattivo odore. La donna ha difficoltà alla penetrazione, fino a un vero e proprio dolore durante i rapporti sessuali, causato dalle abrasioni (microscopiche, ma molto dolorose) che compaiono sulla delicata mucosa vaginale, quando la penetrazione avviene senza lubrificazione. Le lesioni si complicano poi con fastidiose sensazioni di bruciore, accompagnate da disturbi vescicali e dolori alla minzione, fino alla cistite, che può comparire 24-72 ore dopo il rapporto».

Quali conseguenze può avere sulla qualità di vita delle donne? E sulla relazione con il partner?

«Tutti questi disturbi portano la donna a sentirsi inadeguata ed evitare l’intimità. In più l’atrofia causa problemi anche all’uomo: la penetrazione risulta infatti più difficile e può facilitare la comparsa di deficit di erezione. Per molti uomini l’atrofia è sgradevole e irritante, perché si sentono rifiutati sessualmente: “Se non hai lubrificazione, vuol dire che non mi desideri più”… In realtà il problema è prima di tutto fisico: senza estrogeni, manca la più potente spinta biologica alla lubrificazione. L’avversione ai rapporti a causa del dolore (“Immagino che una donna violentata si senta così”, mi ha detto una signora), la sensazione di rifiuto, i litigi e l’aggressività che ne derivano possono causare crisi di coppia gravi fino alla separazione».

E’ conosciuta questa patologia tra le donne? Con chi ne parlano?

«L’atrofia vaginale purtroppo è ancora un tabù: poco conosciuto, poco diagnosticato e poco trattato. Per questo causa molti problemi fisici e psicologici, che potrebbero essere facilmente risolti con le giuste cure. Le donne non collegano i sintomi alla carenza di estrogeni: solo il 4% attribuisce all’atrofia vaginale, la secchezza vaginale, il dolore nei rapporti, il bruciore; solo il 12% li attribuisce a cambiamenti ormonali e solo il 24% li attribuisce alla menopausa. Il 63% pensa che i disturbi “passeranno con l’età”, senza rendersi conto che, senza estrogeni, l’invecchiamento accelerato dei tessuti continuerà. Di conseguenza poche chiedono aiuto al medico con una terapia specifica. Anche i medici, peraltro, hanno una forte responsabilità: più del 50% non chiede nemmeno alla donna se ha questo problema, perché ritengono che ci siano ben altre priorità di salute. Nei pochi casi in cui la donna ne parla, la risposta terapeutica è soddisfacente solo nel 14%. Risultati sconfortanti, visto che il problema è di facile diagnosi e possibile soluzione mentre, se non trattato, ha conseguenze pesanti in termini di dolore, qualità di vita e crisi di coppia».

Quali sono le opzioni di trattamento? Quali le nuove frontiere?

«Innanzitutto è importante parlarne con franchezza al medico curante. Le cure più efficaci sono ormonali. La prima scelta sono gli estrogeni locali: estriolo, che può essere usato per anni (è molto più leggero dell’estradiolo), promestriene, estrogeni coniugati. Per migliorare il trofismo genitale, si può usare, al bisogno, una pomata al testosterone per uso locale (preparazione galenica, su prescrizione medica). La terapia ormonale locale può risolvere i problemi di secchezza e atrofia genitale dell’85% delle donne dopo la menopausa, meglio se la cura è iniziata subito dopo la scomparsa del ciclo. Per il 10-12% di donne che non  possono usare gli estrogeni, nemmeno locali, perché operate di tumore al seno o di adenocarcinoma dell’ovaio o dell’utero, per ridurre secchezza e dolore oggi è possibile usare l’acido ialuronico vaginale, che ha un’azione riparativa e antiossidante; oppure il laser a Co2, che stimola i fibroblasti a produrre collagene e rigenerare il tessuto vaginale, ma è molto più costoso; o, ancora, diversi tipi di creme che però non hanno l’impatto terapeutico degli ormoni e non sempre sono graditi. A settembre sarà disponibile in Italia un nuovo farmaco da assumere per bocca, l’ospemifene, che è indicato e approvato anche per le donne che hanno avuto un tumore al seno e hanno completato il ciclo di trattamento anti-tumorale, e per tutte le donne che non amano le terapie locali. Si tratta di una molecola della famiglia dei SeRMS (Modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni) che agisce solo su alcuni recettori, come quelli vaginali e non agisce invece né su utero, né sul seno. Anzi, sembrerebbe addirittura continuare l’azione protettiva del tamoxifene, assunto dalle donne con tumore al seno. Sono in corso studi per valutarne gli effetti anche sulla massa ossea».

di Paola Trombetta

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