CISTITE: ECCO LE TERAPIE ALTERNATIVE AGLI ANTIBIOTICI

Le malattie del sistema uro-genitale si curano spesso in modo sbagliato, con una terapia antibiotica a cui si ricorre di norma nel 18% dei casi. Lo denuncia l’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, nel rapporto OSMED 2013, recentemente pubblicato in cui si asserisce anche che rispetto agli altri paesi europei, l’Italia in generale, abusa degli antibiotici. Un eccesso che causa un effetto collaterale importante: la resistenza batterica, ovvero l’inefficacia di questi farmaci contro le infezioni o altre patologie serie nel momento in cui questi sono davvero necessari. È il caso ad esempio delle cistiti, la più frequente delle infezioni urinarie a cui la donna è particolarmente soggetta a causa della conformazione anatomica che colloca l’uretra molto vicino all’ano e che pertanto la espone a rischi infettivi per agenti nocivi contenuti e trasportati con le urine, la quale viene trattata in quasi la metà delle pazienti in maniera inappropriata, con antibiotici appunto. «La cistite – spiega la Professoressa Monica Sommariva, della Divisione di Urologia dell’Ospedale G. Fornaroli di Magenta, Azienda Ospedaliera di Legnano – è una disfunzione uroteliale, ossia un’infiammazione della vescica confinata alla sola mucosa nelle forme più lievi ed estesa a tutto spessore nei casi più gravi portando alla distruzione delle barriere uroteliali».

Le cause di insorgenza della cistite possono essere diverse: di norma l’infezione avviene per contaminazione da batteri intestinali, i quali attraverso le fimbrie (ultima parte delle tube di Falloppio) riescono a uscire dall’intestino e a disporsi lungo il perineo, trovando così la via per risalire e raggiungere vagina e uretra, dove agiscono indisturbati innescando la miccia dell’infezione. Ci sono però altri fattori che possono favorire la cistite: una igiene intima scorretta, ad esempio, la stipsi, i rapporti sessuali, il sistema immunitario scarsamente efficace o interventi urologici; tutte condizioni che possono consentire ai batteri di colonizzare la vescica.

«L’infezione urinaria – aggiunge la professoressa – nella donna si origina per lo più da un problema di alterazione intestinale, ovvero per una funzionalità irregolare soggetta a stitichezza o colon irritabile». La prima attenzione per prevenire la cistite va quindi prestata alla buona salute dell’intestino (o del “microbiota” intestinale come si è soliti oggi definire l’ecosistema microbico che alberga nell’organismo e che costituisce un patrimonio genetico essenziale per la sopravvivenza), la quale va “curata” attraverso una dieta sana, ricca di probiotici che favoriscono anche la buona digestione e un’evacuazione consona, sinonimi tutti di un benessere fisico generale. «L’interazione dei microbioti intestinali con il cibo in transito e con la mucosa intestinale – precisa Sommariva – permette di mantenere efficaci alcune funzionalità metaboliche essenziali per l’organismo, tra queste la sintesi degli amminoacidi, la produzione di vitamine o di energia che si attua attraverso le fermentazioni di carboidrati che regola a sua volta la produzione di muco protettivo della mucosa intestinale, evitando la comparsa di stati infiammatori». Tutto deve dunque funzionare in sinergia perfetta, perché una alterazione dell’equilibrio di questo ecosistema, soprattutto se cronica, può condurre a un cambiamento della composizione o dell’attività della flora batterica intestinale. Causato, spesso, proprio da un uso sbagliato-abuso degli antibiotici.

Infatti, per bloccare stati infiammatori non è (sempre) necessario ricorrere a terapie così aggressive. «Una cistite batterica – chiosa la professoressa Sommariva – anche ricorrente, cioè che capita da 6 a più volte l’anno, in assenza di altri sintomi gravi come la febbre sopra i 38°C, deve essere curata con antimicrobici associati a probiotici e sostanze che possano ricostituire la barriera uroteliale». Obiettivo della terapia è infatti evitare che la cistite, da ricorrente, si trasformi in cronica con un’evoluzione verso il dolore pelvico, anche’esso cronico.

Se gli antibiotici, nella maggior parte dei casi non sono indicati, non lo sono neppure acidificanti e agenti irritanti la mucosa vescicale e intestinale. Quindi che fare?

L’ottimale è rappresentato da soluzioni terapeutiche alternative in grado di riportare a nuovo quello che l’infiammazione a seguito di infezione distrugge, ovvero restituire alla parete vescicale (urotelio) l’integrità e la sua funzione di elemento barriera. La prima di queste soluzioni, scesa in campo circa 20 anni fa, sono i glicosamminogliocani (amminosaccaridi) endovescicali, cui di recente si è aggiunta la formulazione orale. «Tra queste sostanze, quelle usate più comunemente – precisa la professoressa – sono l’acido ialuronico e il condroitin solfato da soli o in associazione, instillati in vescica in cocktail farmacologici con antibiotici ad azione locale e quindi non sistemica, cortisonici e inibitori dell’attività vescicale». La soluzione, per essere efficace, va mantenute in vescica per almeno un’ora e la terapia ripetuta settimanalmente per un periodo protratto secondo necessità. Le instillazioni non hanno controindicazioni salvo per il solfato che non può essere assunto da pazienti allergici ai crostacei. Esiste però anche una formulazione meno invasiva, cioè per bocca: un integratore alimentare a base anch’esso di condroitin solfato, acido ialuronico, curcumina e quercitina in capsule molli. «Una volta ingerita – dichiara la Sommariva – la capsula raggiunge lo stomaco e qui si dissolve in milioni di particelle che vengono assorbite nell’intestino. In questo modo i principi attivi raggiungono il circolo ematico e, attraverso i reni, vengono rilasciati in vescica dove svolgono le loro specifiche funzioni».

In particolare l’acido ialuronico e il condroitin solfato contribuiscono a ristabilire lo stato di “benessere” dei Glicosamminogliocani dell’urotelio e a ripristinare l’effetto barriera, mentre la curcumina e la quercitina fungono da analgesici e antinfiammatori, favorendo il miglioramento dei sintomi, del dolore in particolare. Oltre che nella cistite batterica, la terapia orale si è rivelata efficace nel trattamento delle cistiti interstiziali, attiniche o post chemio e radioterapia, e nell’uomo a prostatiti di varia natura in cui l’uso dell’antibiotico non solo non risolve la problematica ma ne peggiora l’andamento.

Un’altra soluzione può essere rappresentata dal D-mannosio, uno zucchero monosaccaride, che si è dimostrato efficace nella cura e prevenzione delle cistiti ricorrenti e croniche provocate da Escherichia Coli e nelle infezioni da Pseudomonas, due fra i batteri maggiormente implicati nella problematica. Una volta ingerito, il D-Mannosio viene infatti assorbito nel tratto superiore dell’intestino e, dopo circa 60 minuti, arriva inalterato nelle vie urinarie. Il meccanismo di azione è semplice, perché il batterio, in particolare l’Escherichia Coli, attraverso le lectine (glicoproteine simili a piccoli tentacoli) si attacca al D-Mannosio e viene espulso con le urine. Anche il D-Mannosio non ha controindicazioni; può essere utilizzato nei diabetici, nei bambini e negli ospedalizzati, non interferisce con nessun trattamento concomitante, non altera la flora batterica intestinale, né indebolisce il sistema immunitario. Insomma l’antibiotico, ad eccezione di alcuni casi, almeno per la cistite può essere messo nel cassetto.

di Francesca Morelli

 

TROPPI ANTIBIOTICI ANCHE NELLA CURA DEI PICCOLI

L’uso degli antibiotici sembra scorretto, eccessivo, anche nei bambini. Tanto che dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma raccomandano, non senza allarme, di evitarne l’uso inappropriato. «Ad esempioprecisa Marta Ciofi degli Atti, responsabile dell’Epidemiologia Clinica della struttura romana è necessario ricordare che molte infezioni comuni causate da virus come l’influenza o il raffreddore o le infezioni delle prime vie respiratorie dei piccoli, non devono essere curate con antibiotici i quali andranno riservati solo per casi particolari». Utilizzando soluzioni terapeutiche alternative e che contrastano l’insorgenza o l’aumento del numero di germi multiresistenti si favorirà l’efficacia della terapia antibiotica laddove e quando utile e necessaria. A quali soluzioni si ricorre dunque al nosocomio romano? «Si parte dalla condivisione di rigorosi protocolli clinici  – conclude la dottoressa – per la limitazione dell’uso inappropriato degli antibiotici, sino all’identificazione di portatori di germi multiresistenti e all’adozione delle cosiddette “precauzioni da contatto”». (F.M.)

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