DEPRESSIONE: PIU’ DIFFICILE DA CURARE DEL TUMORE AL SENO

E’ considerata addirittura più difficile da curare rispetto al tumore del seno. Il 54% delle 100 donne intervistate da O.N.Da teme la depressione perché non vede soluzioni di cura efficaci per risolvere questo disturbo che interessa almeno 4,5 milioni di donne. E che, dalle previsioni dell’OMS, nel 2020 sarà la malattia mentale più diffusa, seconda solo a quelle cardio-vascolari, come è stato ribadito in occasione del recente congresso di Roma: “Depressione: male oscuro della nostra società: dai bisogni alla pratica clinica”. Umore triste, perdita di interesse nello svolgere le attività quotidiane, fino alla totale apatia: sono alcuni segnali tipici di questa malattia che nella donna possono comparire subito dopo il parto, anche se sono già riconoscibili in epoca precedente.
«Si parla in questi casi di depressione peri-partum, che interessa il 18% circa delle donne tra 20 e 45 anni, e potrebbe degenerare in episodi di infanticidio, come i recenti casi di cronaca testimoniano», puntualizza la dottoressa Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (O.N.Da – www.onda.it). «Per aiutare queste donne a rischio, abbiamo avviato un progetto pilota nella Regione Lombardia, coordinato dal professor Claudio Mencacci dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano, che prevede di seguire a domicilio con personale specializzato le donne che soffrono di depressione, subito dopo il parto, per scongiurare peggioramenti e situazioni rischiose per la mamma e il bambino. Un progetto questo che ci auguriamo venga presto avviato anche in altre Regioni. Abbiamo inoltre messo a disposizione appositi Ambulatori all’interno degli ospedali che hanno aderito al progetto Bollini Rosa (www.bollinirosa.it). Di prossima pubblicazione sono le Linee-guida, in collaborazione con la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, per la diagnosi e il trattamento della psicopatologia perinatale». Per informazioni: www.depressionepostpartum.it

Purtroppo ancora oggi permane lo stigma nei confronti della depressione e delle malattie mentali in generale. E, pur riconoscendo alcuni segnali, magari fin da bambini, si sottovaluta il problema e lo si attribuisce ad altri disturbi, come l’autismo o la ADHD. «Dovrebbe essere rivolta una maggiore attenzione nei confronti di taluni comportamenti aggressivi che i bambini, anche in tenera età, esternano e potrebbero sfociare poi in forme di bullismo», mette in guardia Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Istituto di Ortofonologia di Roma. «In questi casi, l’attenta valutazione da parte dei genitori e degli insegnanti di iniziali avvisaglie, potrebbe portare a una diagnosi precoce e alla cura tempestiva di questa patologia. I dati recenti attestano che la depressione può colpire anche i bambini: 2% sotto i dieci anni, 4% degli adolescenti, ma viene diagnosticata con enormi ritardi, soprattutto per l’atteggiamento dei genitori che tende a nascondere la malattia».

Oggi sette persone depresse su 10 attendono almeno un anno per ricevere sia la diagnosi che un trattamento farmacologico adeguato. Solo il 40% risponde in maniera efficace alla terapia e il 45% dei pazienti non segue le cure. «In Italia la depressione colpisce 7,5 milioni di persone (di cui 4 milioni sono donne), ma è ancora difficile inquadrare il problema e trovare soluzioni personalizzate», fa notare il professor Emilio Sacchetti, presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP). «Riuscire a cogliere in tempo i primi sintomi permette di arrivare in anticipo alla diagnosi e quindi alla terapia, con maggiori probabilità di successo e minori problemi per le famiglie, che quasi sempre devono farsi carico del familiare con questo problema».
Oggi si dispone di una vasta gamma di farmaci che vengono sempre più personalizzati e sono in grado di garantire maggiori probabilità di successo. Ai tradizionali SSRI (Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina) che favoriscono il rilascio di questo neurotrasmettitore, cosiddetto del “buonumore”, stanno arrivando nuove molecole, come l’agomelatina, capostipite di una nuova classe di farmaci che agiscono sui recettori della melatonina, regolarizzando i ritmi circadiani (sonno-veglia, cortisolo). Già dopo una settimana questa terapia porta a un rapido miglioramento dello stato di benessere ed è efficace su umore, ansia, emozioni, memoria e concentrazione. «Un trattamento farmacologico adeguato, con l’aggiunta di un sostegno psicoterapeutico, è in grado di migliorare in maniera significativa la situazione nella maggior parte dei casi», conferma il professor Sacchetti.

di Paola Trombetta

 

AUMENTANO I DISAGI IN TEMPO DI CRISI

È la disoccupazione, causa diretta della crisi economica, il fattore di rischio che sta minacciando in maniera sempre più sensibile la salute e il buon equilibrio mentale. «Recenti studi scientifici – dichiara il professor Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze, dell’A.O. Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano – hanno dimostrato che la situazione dei senza lavoro nel 34% dei casi è aggravata da problemi di ansia o depressione, che invece colpiscono solo il 16% degli occupati, seppure vivano anch’essi il contingente periodo di crisi». All’impatto psico-emotivo della malattia, si aggiunge anche quello socio-relazionale: «La disoccupazione – spiega Giorgio Fiorentini, professore di Economia delle Imprese Sociali e delle Aziende Cooperative dell’Università Bocconi di Milano – ha almeno tre effetti drammatici: priva la persona di un proprio ruolo sociale; annulla le relazioni interpersonali che maturano sul luogo di lavoro; limita le capacità». I disturbi psichici, affermano gli specialisti, non conoscono età e sesso, anche se esistono categorie a maggior rischio. Fra queste le donne che oltre ad avere una propensione genetica alla malattia, in un caso su quattro e complice la crisi, non fanno prevenzione e/o non si curano o ancora non hanno fiducia nei farmaci. «Sono loro – conferma Mencacci – ad essere più esposte a disturbi psichici che sfiorano anche il 40% nelle fasce più svantaggiate, rispetto a quelle più abbienti dove la problematica si limita a tassi del 27%». Le donne poi vivono la diagnosi psichica come un’etichettatura, ovvero un passaggio irreversibile da “come ero prima” a “come sono adesso”, maggiormente avvertito da coloro che hanno alle spalle una precedente esperienza familiare di malattia mentale di qualsiasi natura.  (Francesca Morelli)

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