LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA: OGGI SI PUO’ GUARIRE

Di Leucemia mieloide cronica oggi si può guarire. La notizia viene confermata da diversi studi scientifici che sono stati presentati in occasione della Giornata nazionale contro le leucemie, i linfomi, il mieloma (21 giugno), promossa dall’Associazione italiana contro le leucemie, linfomi, mieloma  (www.ail.it). I tanti casi clinici, avviati a guarigione, attestano questi dati scientifici. E’ il caso di Rosaria, oggi 40 enne, colpita da leucemia più di dieci anni fa. «Dopo cinque anni di cure assidue con un nuovo farmaco biologico, che era stato da poco sperimentato, oggi sono clinicamente “guarita”, tanto che non devo più prendere alcun medicinale per combattere questo tumore». L’ematologia ha fatto passi da gigante negli ultimi vent’anni grazie ai nuovi “farmaci intelligenti”, che hanno rappresentato una vera rivoluzione nel trattamento di questa malattia, dapprima curabile solo con il trapianto del midollo, che non sempre dava però buoni e duraturi risultati.

Con la consulenza della Dottoressa Antonella Gozzini, dirigente medico dell’Unità funzionale di Ematologia dell’Ospedale “Careggi” di Firenze, cerchiamo di spiegare il perché di questi successi nella cura di un tumore, che è diventato oggi un modello di ricerca per altre patologie oncologiche e valutare l’impatto che queste nuove terapie hanno sulla qualità di vita dei pazienti.

Quando una donna è colpita da un tumore del sangue, oltre che sul piano personale, ci sono ripercussioni anche sul piano sociale, affettivo e lavorativo. Come conservare una “qualità di vita” dignitosa?

«La vita di ogni essere umano è condizionata, in molteplici momenti, dalla parola tumore. Questa suona come un concentrato di paura, insicurezza, disperazione. Nel momento in cui si conosce la diagnosi di tumore si verifica inevitabilmente una frattura nella vita della persona: c’è un prima e un dopo la notizia. Il “prima” appare lontano e quasi scomodo; il “dopo” raccoglie un carico emozionale denso di incertezza e di paura, ma allo stesso tempo di fiducia e progettualità. La forza che si scatena in seguito a una diagnosi di malattia neoplastica è enorme, sebbene il soggetto colpito non riesca a coglierla nell’immediato. Quando a essere colpita da tumore è una donna, in particolare, la paura e l’incertezza vengono riversate anche sulle persone che sono a lei vicine: i figli, piccoli, grandi o quelli che devono arrivare. La diagnosi ha una ripercussione pesante sul piano sociale della donna, come se dalla malattia scaturisse un freno irreversibile nella possibilità di continuare tutte le attività svolte finora. Negli studi clinici sulla qualità della vita la donna affetta da Leucemia mieloide cronica appare sempre più “sofferente” e insoddisfatta della percezione dello stato di salute. Questo probabilmente perché non accetta di vivere al di sotto del 100%, ma col tempo, confrontandosi con il proprio ematologo e rassicurandosi sulla possibilità di farcela, riesce a essere fiduciosa nel futuro. Esiste ancora la paura di non poter accudire i figli, di non vederli crescere, di non poterne generare o di non avere la forza di seguire il proprio lavoro. Ma il futuro esiste: la Leucemia mieloide cronica (1-2 casi su 100 mila) è una malattia con cui si riesce a convivere, a costruire un progetto, di cui fanno parte il lavoro, la carriera e la famiglia; per le donne è possibile anche pensare a una gravidanza. Il medico ematologo con la paziente percorre la strada della diagnosi, della gestione delle cure e del successo».

Come e perché è migliorata in questi anni la qualità di vita di chi convive con la Leucemia mieloide cronica?

«Per la prima volta in oncologia possiamo fare studi sulla qualità di vita di questi pazienti, perché la sopravvivenza della stragrande maggioranza di chi viene trattato con i farmaci biologici (inibitori delle tirosinchinasi) è pressoché sovrapponibile a quella delle persone della stessa età della popolazione generale. I farmaci intelligenti per la Leucemia mieloide cronica, disponibili dal 2000, hanno cambiato completamente la vita dei pazienti, che prima erano trattati solo con interferone associato a basse dosi di chemioterapia, offrendo un’incredibile opportunità di sopravvivenza prolungata. I pazienti trattati con interferone avevano una pessima qualità di vita, caratterizzata da frequenti episodi di febbre elevata, dolori muscolari e profonda astenia che impediva lo svolgimento delle normali attività quotidiane, costringendo spesso le persone a stare a letto e dover rinunciare all’attività lavorativa. Tutto questo con una bassa percentuale di successo: solo il 20% presentava una risposta stabile che assicurava loro una sopravvivenza a lungo termine. In particolare la Leucemia mieloide cronica fino al 1999 rappresentava la prima indicazione per il trapianto di midollo osseo, procedura rischiosa e possibile solo per pazienti giovani con disponibilità di donatore compatibile».

Ci parli allora di questi nuovi farmaci intelligenti…

«L’arrivo di Imatinib, capostipite degli inibitori della tirosinchinasi somministrato per bocca una volta al giorno, ha rivoluzionato lo scenario della Leucemia mieloide cronica. Da allora i pazienti possono condurre una vita del tutto normale, possono lavorare e, nel caso delle donne – come dicevo – progettare anche una gravidanza. Nella maggior parte dei casi gli effetti collaterali sono impercettibili, i rapporti sociali regolari e i pazienti sopravvivono a lungo in buono stato di salute. Questa terapia peraltro non è destinata soltanto a persone giovani, ma può essere utilizzata su donne e uomini anche molto anziani. Dal 2005 in poi sono state sviluppate nuove molecole (Nilotinib e Dasatinib), della stessa classe degli inibitori della tirosinchinasi, ma ancora più potenti e selettivi di Imatinib in grado di ottenere risposta in una percentuale anche maggiore di pazienti. Gli inibitori della tirosinchinasi di seconda generazione sono comodi da assumere per i pazienti, si prendono due volte al giorno nel casi di Nilotinib e una sola volta al giorno in caso di Dasatinib. Soprattutto possono essere utilizzati nei pazienti intolleranti a Imatinib permettendo una migliore qualità di vita limitando gli effetti collaterali. Le donne in particolare, che con Imatinib potevano avere ritenzione idrica, aumento di peso e edema al volto, hanno trovato un netto miglioramento della qualità di vita con questi nuovi farmaci».

I successi ottenuti nel trattamento della Leucemia mieloide cronica stanno spostando il traguardo verso obiettivi sempre più ambiziosi: adesso si punta a ottenere la “risposta molecolare completa”. Cosa significa e quali sono le implicazioni concrete per i pazienti?

«Questi successi, che costituiscono un vero e proprio modello per altre neoplasie ematologiche e nel mondo oncologico in generale, hanno portato il medico ad aspettarsi risultati che, fino a 10 anni fa, erano ritenuti fantasiosi. Parliamo di remissione della malattia a livello molecolare, con possibilità di interrompere il trattamento, ottenendo la guarigione per questi pazienti.

La Leucemia mieloide cronica è causata da una traslocazione tra il cromosoma 9 e il cromosoma 22, t (9;22). Questa anomalia non viene ereditata, non è congenita, arriva in un momento della vita senza una ragione precisa documentata. Non esiste prevenzione per questo tipo di malattia. L’anomalia cromosomica t (9;22) genera una proteina anomala (bcr/abl) che innesca la proliferazione delle cellule leucemiche mediante l’attivita delle tirosinchinasi. Per questo si utilizzano farmaci “inibitori della tirosinchinasi” che riescono a indurre dapprima una “remissione citogenetica completa”, cioè la scomparsa della traslocazione, con successiva netta riduzione della trascrizione della proteina bcr/abl. L’espressione di bcr/abl viene utilizzata come marcatore molecolare della leucemia diventando indicatore non solo di diagnosi ma anche di risposta alla terapia. Per i pazienti che raggiungono il traguardo della “remissione molecolare completa”, cioè la scomparsa della proteina bcr/abl, esiste la possibilità della sospensione del farmaco. L’utilizzo di farmaci di seconda generazione potrebbe garantire questa risposta “profonda” in quei pazienti che non l’hanno raggiunta con Imatinib e quindi offrire anche a loro l’opportunità di sospensione della terapia».

di Paola Trombetta

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