AIDS IN AUMENTO NELLE DONNE

<A 17 anni ho scoperto di essere sieropositiva, durante una donazione di sangue. Non avevo sintomi e la diagnosi dello specialista era stata molto severa: avevo solo un anno di vita! Oggi ho 47 anni e 30 anni di malattia alle spalle>, racconta Rosaria Iardino, presidente del Network Italiano delle Persone Sieropositive (npsitalia.net). <Ho un carattere ottimista e non mi sono mai scoraggiata. Addirittura i primi anni, dopo aver iniziato a prendere alcuni farmaci che avevano però pesanti effetti collaterali, li ho sospesi e non ho preso più nulla, per diverso tempo, poiché mi sentivo bene. Per reagire alla notizia, a 19 anni ho deciso di partire per Londra e mi sono adattata a diversi lavori, fino a diventare chef in un famoso ristorante. A 22 anni ho voluto tornare a Roma, dove ho trovato un impiego come maitre di sala, ma il datore di lavoro, quando ha saputo della mia malattia, mi ha licenziata in tronco: personale in esubero, è stata la motivazione!> Questo “rifiuto” è stato la scintilla che ha indotto Rosaria ad abbracciare la causa delle tante persone che vengono spesso discriminate a causa di falsi pregiudizi sulla malattia e a fondare nel 2004 il Network Italiano delle Persone Sieropositive, in prima linea nell’affermazione dei diritti dei malati e nell’organizzazione di eventi per sensibilizzare l’opinione pubblica, come il primo convegno nazionale Donna Aids a Roma nel 1991.

 <Purtroppo, ancora oggi, molti sono i pregiudizi diffusi e come associazione seguiamo quelle persone che hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro perché nel certificato sanitario si legge il nome della malattia. E’ una discriminazione assurda che stiamo cercando in tutti i modi di combattere. Come pure ci stiamo muovendo per il riconoscimento alle persone sieropositive della polizza assicurativa sulla vita, che viene spesso negata, come pure per facilitare la possibilità di accedere a mutui bancari. La nostra è una malattia cronica come tante altre e per questo non dobbiamo essere discriminati!>. E’ la battaglia quotidiana di Rosaria che da 30 anni si espone in prima persona, partecipa come relatrice a congressi internazionali (Londra e Sudafrica), organizza ogni anno campagne di prevenzione, come quella diffusa in questi giorni, con la collaborazione di Rocco Toscani, nei Musei italiani per diffondere la cultura della prevenzione e l’uso del preservativo. <E’ fondamentale evitare di trasmettere l’infezione, prendendo le dovute precauzioni, ma il messaggio che vogliamo dare è di non rinunciare per questo alla propria vita, agli affetti, alla sessualità e persino alla maternità, una gioia indescrivibile che sto provando proprio da pochi giorni con la nascita di Anita, la figlia della mia compagna!>.
La persona malata o sieropositiva deve essere attenta a non trasmettere l’infezione, con rapporti sessuali protetti, ma la stessa attenzione andrebbe raccomandata a quelle persone che, avendo rapporti occasionali non protetti, non si curano minimamente del rischio di trasmettere la malattia alle proprie mogli o partner abituali. Non a caso l’incidenza dell’infezione è in crescita esponenziale nelle donne, in coppie stabili. Il 35% delle nuove diagnosi riguarda il sesso femminile, con 1500 casi all’anno su 4000 sieropositivi. E molte di loro si accorgono, magari solo in gravidanza, con il test dell’Hiv che l’Associazione Network Persone Sieropositive ha proposto di far diventare obbligatorio. <La notizia di essere sieropositiva sconvolge la donna, che ricorre all’aborto in misura dieci volte superiore alle donne sane, come è stato confermato dallo studio Didi (Donne con Infezione da Hiv), coordinato dall’Ospedale San Paolo di Milano e dall’Istituto Spallanzani di Roma su 600 donne sieropositive>, puntualizza la professoressa Antonella D’Arminio Monforte, responsabile della Clinica di Malattie infettive dell’Ospedale San Paolo di Milano. <E questo a causa della paura di mettere al mondo un figlio malato, della scarsa conoscenza della malattia e delle potenzialità dei farmaci, che oggi si possono somministrare anche in gravidanza. Come ulteriore accorgimento per evitare di trasmettere l’infezione, alle donne con Hiv si consiglia il parto cesareo e di evitare l’allattamento>.
<L’efficacia delle terapie antiretrovirali odierne riduce talmente la carica virale da rendere impossibile la trasmissione al feto che è passata dal 25% all’1%, e riguarda prevalentemente i casi di donne immigrate, non adeguatamente controllate>, fa notare il professor Carlo Federico Perno, docente di Virologia all’Università Tor Vergata di Roma. <E’ stato anzi dimostrato che le donne sieropositive, che iniziano ad assumere farmaci in gravidanza, vivono più a lungo delle altre. Oggi esistono in particolare test molto sensibili in grado di monitorare l’infezione, valutare la carica virale e il conseguente rischio di infettività, ridotto quasi a zero grazie alle efficaci terapie. Per testare la validità dei farmaci, molti dei quali sono stati sperimentati solo nell’uomo, sono in corso alcuni studi europei di comparazione di efficacia nella donna e nell’uomo, come quello con la molecola atazanavir>.

Allo scopo di promuovere studi di farmacologia di genere e diffondere informazioni corrette sulla malattia e le sue cure, è partito il progetto europeo SHE (Strong Hiv positive Empowered woman), www.shetoshe.org. Si tratta di un programma educazionale realizzato in diversi Paesi europei (Italia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Polonia) da medici e donne sieropositive per offrire supporto e assistenza alle “nuove infette” che sono disorientate e non sanno a chi rivolgersi.

di Paola Trombetta

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