Un “manifesto sociale” a difesa dei piccoli pazienti in terapia con l’ormone della crescita

Sette i punti di fondamentale importanza: istanze dei piccoli pazienti e delle loro famiglie da un lato, preoccupazioni e suggerimenti della comunità scientifica e del mondo advocacy dall’altro. È questo il contenuto di un Manifesto Sociale, firmato da un pool di esperti e di rappresentanze delle Associazioni di pazienti, che intende promuove e sottolineare i diritti alla continuità terapeutica di pazienti in terapia con l’ormone della crescita e la libertà prescrittiva da parte del medico. Due principi irrinunciabili che, invece, sembrano oggi messi in discussione.

L’ormone della crescita è una terapia a lungo termine, talvolta cronica, che viene utilizzato come sostitutivo nei casi di deficit congenito dell’ormone ipofisario, somministrato dunque a bambini e adolescenti: fasce di età delicate e fragili, sia per l’accettazione della problematica stessa e della cura, sia per la difficoltà dell’aderenza e continuità della terapia. Ma non solo: a questi problemi di carattere “personale”, variabili da paziente a paziente, esistono implicazioni territoriali, come le molte differenze che caratterizzano le prestazioni dei diversi sistemi sanitari regionali, e dunque la disponibilità dei farmaci spesso condizionata dall’orientamento prescrittivo dei medici che, in alcuni casi, deve sottostare a logiche di contenimento dei costi che impongono l’improvviso passaggio da un farmaco a un altro, “immotivato” per il paziente e la famiglia che non comprende le logiche di sanità pubblica.

«Si tratta di un problema particolarmente delicato perché i pazienti sono in prevalenza bambini e ragazzi – dichiara Cinzia Sacchetti, presidente di AFaDOC (Associazione Famiglie di soggetti con Deficit di Crescita ed altre patologi) – di fasce di età fra le più vulnerabili, che necessitano di cure e attenzioni particolari e che non possono essere esposte a repentine e inaccettabili modifiche dei regimi terapeutici». Il concetto è ben sottolineato anche dai medici che se da un lato devono (pre)occuparsi della sostenibilità economica del sistema, dall’altro devono tutelare la salute e il benessere della persona, ancora prima che del paziente.

«L’autonomia del medico, centrata sull’appropriatezza – precisa Annamaria Colao, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia -non deve mai essere in discussione, specie nel contrasto al deficit di crescita dove occorre applicare i principi della medicina di precisione personalizzata». Appropriatezza e libertà terapeutica significano per il medico poter decidere in autonomia e in accordo con il paziente la terapia e la modalità di somministrazione migliori, tenuto conto del contesto famigliare, delle condizioni di salute e di vita. Dunque anche il device (lo strumento di somministrazione) scelto sulla base delle preferenze e dell’orientamento del suo utilizzatore – ad esempio bambini più o meno avvezzi alle tecnologie e/o famiglie più confidenti con metodiche iniettive più tradizionali – può favorire l’aderenza terapeutica. «Pur nel rispetto delle logiche economiche – aggiunge Mariacarolina Salerno, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia Pediatrica  – va tutelata la libertà prescrittiva del medico e fatto ogni sforzo per perseguire una sorta di “armonia assistenziale” sul territorio». Non è infatti accettabile che un medico si veda costretto a sostituire all’improvviso una terapia che ha dimostrato di funzionare. «Nel Manifesto Sociale si sottolinea la necessità di dialogo costruttivo tra regioni, comunità medico-scientifica e pazienti –  conclude Teresa Petrangolini, Direttrice del Patient Advocacy Lab dell’Alta Scuola di Economia e Management Sanitari dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di Roma – in cui la libertà prescrittiva del medico sia maggiormente garantita e la voce dei pazienti più ascoltata, sul modello virtuoso, ad esempio, di Regione Lazio dove spesso le associazioni dei pazienti hanno potuto far sentire la propria voce anche in tema di gare di acquisto». Per favorire la migliore “cura” per il paziente e l’intero sistema.

Francesca Morelli

 

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