Pre-eclampsia: oggi è possibile predire il rischio già dal terzo mese di gravidanza

Che cos’è la pre-eclampsia? Con questo termine si identifica una condizione ben nota alle mamme e alle donne in gravidanza, caratterizzata da pressione arteriosa superiore a 140/90 mmHg, in almeno due misurazioni a distanza di 4 ore in donne normotese dopo la 20a settimana di gravidanza, da un numero eccessivo di proteine nelle urine (proteinuria) e altre indicazioni importanti. Questa condizione è meritevole di molta attenzione perché, se non diagnosticata e trattata tempestivamente, può causare problemi seri alla mamma e al bambino. Ogni anno è infatti responsabile della morte di 76 mila donne e 500 mila neonati, soprattutto nei paesi a scarse risorse, ma anche in nazioni industrializzate come gli Stati Uniti, dove rappresenta la seconda causa di morte materna. Nei nostri contesti può interessare fino a una futura mamma su otto, ma il suo meccanismo di insorgenza non è ancora noto: si pensa che la pre-eclampsia sia dovuta a una cattiva formazione della placenta che innesca nell’organismo materno una sorta di “non adattamento alla gravidanza”, la cui difficoltà diagnostica è determinata dall’assenza di sintomi in fase iniziale, seguita da rapida manifestazione e progressione. Tuttavia può essere prevenuta tempestivamente con visite di controllo prenatali e l’identificazione di alcuni campanelli di allarme da parte della donna, quali ad esempio aumento della pressione del sangue, mal di testa persistente, visione offuscata o sensibilità alla luce, viso e piedi gonfi.

«Particolare attenzione va prestata soprattutto alle donne nullipare, cioè alla prima gravidanza, con più di 40 anni e un indice di massa corporea superiore a 30», spiega la dottoressa Francesca Monari dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (UNIMORE). «E anche alle donne che presentano ipertensione cronica, diabete gestazionale, una storia di pre-eclampsia in precedenti gravidanze».

Per sensibilizzare a questa problematica è stato istituito dal 2017 il World Pre-eclampsia Day (22 maggio) e la ricerca è impegnata in diversi studi, tra cui uno italiano pubblicato su Pregnancy Hypertension: An International Journal of Women’s Cardiovascular Health dal titolo: “Modello di previsione del primo trimestre per i disturbi vascolari della placenta” condotto dal Professor Fabio Facchinetti, di UNIMORE, e dalla dottoressa Francesca Monari, che, grazie allo studio e confronto di specifici parametri biochimici e biofisici, tramite un sistema di analisi avanzato (DELFIA EXPRESS), ha identificato donne a rischio di sviluppare pre-eclampsia o altre gravi complicanze come la morte in utero al terzo mese di gravidanza.

«Lo studio – aggiunge Facchinetti – ha incluso tutte le donne che accedevano allo screening del primo trimestre per aneuploidie cromosomiche tramite il test combinato, il cosiddetto Bitest, alle quali è stato effettuato anche un prelievo ematico per il dosaggio dei markers biochimici appartenenti all’algoritmo della Fetal Medicine Foundation (FMF), inclusi inibina A, interluchina 6, insulina, colesterolo HDL, trigliceridi. Inoltre queste donne sono state sottoposte a specifici esami e misurazioni, come la pressione arteriosa, l’ecografia doppler delle arterie uterine e la valutazione del rischio di cefalea tramite un apposito questionario». Lo studio ha consentito di stimare che la pre-eclampsia, in Italia, possa interessare all’incirca il 2% di donne, con percentuali fino all’8% in caso di patologie della placenta. Ma soprattutto ha confermato che è possibile sviluppare un modello multiparametrico in grado di predire già nel primo trimestre di gravidanza gli esiti avversi perinatali correlati ai disturbi vascolari della placenta, tra i quali la pre-eclampsia. Informazioni che consentono così di intervenire precocemente con una assistenza ostetrica individualizzata, con la correzione dello stile di vita, la supplementazione con integratori e la profilassi con aspirina a basse dosi.

Francesca Morelli

 

 

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